“E’ pronto?”, chiese a voce alta il marito entrando nell’appartamento. La donna ebbe un sussulto, lo sguardo corse all’orologio appeso in cucina: era la mezza passata da qualche minuto e lei non se n’era neppure accorta.
Approfittò del fatto che il marito si fosse soffermato nello studio per posare la ventiquattrore e stese in fretta la tovaglia a quadretti sul tavolo, sopra ai fogli sparpagliati. A quel punto non sarebbe certamente riuscita a ritirarli senza essere scoperta.
“Quasi”.
In quel mentre il marito entrò in cucina e aggrottò, perplesso, la fronte.
“Ma che ti succede? Ti ho fatto licenziare proprio perché non avessi problemi nel tuo lavoro di casalinga, invece è ancor peggio di quando facevi la dattilografa in quell’ufficetto” .
“Scusa, caro”.
Per fortuna aveva del cibo avanzato dai giorni precedenti. Le venne un po’ di rimorso pensando che era il quarto giorno consecutivo che riscaldava l’arrosto cucinato la domenica precedente. Apparecchiò il tavolo e stappò una bottiglia di barolo. Suo marito era un fine intenditore di vini: forse quella bottiglia l’avrebbe indotto a non borbottare per il misero pranzo.
Lei si sentiva in colpa come se lui l’avesse sorpresa con un amante nel letto coniugale mentre compiva chissà quali atti peccaminosi.
Era così agitata che nel servire le fettine d’arrosto, dall’aspetto e dall’odore ben poco invitanti, urtò inavvertitamente il bicchiere colmo del prezioso vino. Come una scena al rallentatore vide la macchia rossa allargarsi sulla tovaglia. Impallidì e si chiese se il vino avrebbe reso illeggibile i fogli. Aveva passato l’intera mattinata a scrivere quelle pagine, aveva portato dei ritocchi che riteneva d’importanza fondamentale e, ora, se ne stava come impietrita a guardare quel vino che veniva assorbito lentamente dalla stoffa e, soprattutto, dalla carta.
“Oggi sei proprio sbadata!” commentò indispettito il marito. Poi vedendola così pallida e con l’aria stravolta addolcì il tono:
“Non te la prendere. Questa tovaglia non è così preziosa e poi si sa che se il vino è buono non lascia macchia. Su, siediti, però il vino lo verso io…”, concluse con una risatina compiaciuta per la sua uscita.
Mangiarono in silenzio, seguendo il notiziario in televisione. La donna servì il caffè e il marito si accese una sigaretta.
“Certo che questo vino è veramente ottimo, peccato per quello versato sulla tovaglia. Un vero spreco!”
“Hai ragione”.
La donna, intanto, rimaneva seduta, inerte, con gli occhi fissi sulla macchia.
“Non sparecchi?”
“Lo faccio dopo, quando sarai uscito. Preferisco stare un po’ con te, ora”.
Rimasero così seduti in silenzio per altri cinque minuti ancora. Poi l’uomo si alzò, depose un bacio a labbra chiuse su quelle della donna e uscì di casa.
“Finalmente!”, pensò la donna e prese velocemente a sbattere i piatti e i bicchieri nel lavello, incurante dei sinistri rumori prodotti dalla sua attività forsennata.
Sollevò con estrema delicatezza la tovaglia, quasi fosse una garza posta su una profonda ferita, e, inorridita, guardò quei fogli colore vinaccia. Avrebbe dovuto consegnarli all’editore alle diciassette di quel pomeriggio: erano ancora leggibili, ma, in quelle condizioni, impresentabili.
Era la sua grande occasione: amava scrivere e, in modo del tutto fortuito, aveva avuto modo di conoscere un editore che l’aveva presa in considerazione. Aveva letto i suoi lavori ed era rimasto colpito da uno in particolare, tanto da proporle di pubblicarlo su di una rivista.
La proposta l’aveva resa orgogliosa e felice, ma aveva sollevato un problema non da poco: suo marito non sapeva di questa sua passione. Anzi: non lo doveva proprio sapere! Già vedeva la faccia incredula, il sorriso ironico e immaginava le battute che, di certo, non le avrebbe risparmiato.
E pensare che lei aveva faticato non poco per la stesura di quel lungo racconto ed aveva rinunciato a tutti i suoi momenti liberi. Anche quando era in coda dal macellaio, tra due etti di trippa e un pezzo di bollito, aveva incessantemente pensato al suo protagonista. Talvolta si sentiva in colpa per averlo lasciato in brutte situazioni, come quando l’aveva mollato per lungo tempo fermo davanti ad una villa misteriosa ed incerto sul da farsi.
Mentre si trovava dall’estetista e si stava rilassando con un piacevolissimo massaggio aveva elaborato l’incontro con una donna fatale (stranamente assomigliante a lei) e, appena possibile, era corsa a casa per fargli avere un memorabile amplesso.
“E ora?”, si chiese disperata guardando quei fogli fradici di vino.
No, non avrebbe permesso che un incidente così stupido compromettesse il suo sogno. Corse a prendere la vecchia macchina per scrivere, cercò di consolarsi ricordando che al corso di dattilografa era sempre stata tra le migliori (vantava un record personale di trecentocinquanta battute al minuto, a quei tempi almeno) e si mise all’opera. Batté furiosamente su quei tasti, senza sollevare il capo, senza farsi impietosire dai miagolii del gatto che pretendeva la sua quotidiana razione di crocchette.
Alle 16.29 scrisse la parola “Fine” e, dolorante per la scomoda e fissa posizione che aveva tenuto in quelle ore, si alzò e si stiracchiò voluttuosamente. Corse a cambiarsi e con i fogli in mano uscì dall’appartamento ignorando ancora una volta i miagolii, ormai disperati, del gatto: “Appena torno ti darò una razione doppia”, gli promise mentre chiudeva la porta.
Com’era facilmente prevedibile tutti i semafori scattavano sul rosso appena lei si approssimava all’incrocio. Nonostante questo alle 17.05 entrò trafelata nell’ufficio dell’editore.
“Scusi il ritardo, ma il traffico mi ha bloccata…”
L’editore la tranquillizzò, le confermò che il racconto sarebbe stato pubblicato sul prossimo numero della rivista e le chiese se aveva scelto lo pseudonimo con cui firmare il lavoro. Ovviamente lei non gli aveva parlato di suo marito, ma, semplicemente, gli aveva detto che preferiva un nome meno banale del suo. Quella scelta, in realtà, si era rivelata un parto difficile e dolorosissimo. Aveva pensato a centinaia di nomi scartandoli uno ad uno e, alla fine, aveva scelto un anonimo nome straniero. Lo comunicò all’editore, il quale, scuotendo leggermente la testa, disse:
“Ne è proprio certa? Mi permetto di insistere che sarebbe meglio se usasse il suo vero nome: le assicuro che è adatto, bello, particolare, facile da ricordare. Guardi che sono vecchio del mestiere e, se permette, un po’ me ne intendo”.
La donna scosse lentamente la testa, arrossì, ma si mostrò irremovibile.
Con in tasca il suo compenso in tasca (poche decine di euro) e la promessa di portare in futuro altri suoi lavori uscì dall’ufficio. Si fermò in una gastronomia dove a malincuore spese gran parte di quanto ricevuto per rimediare la cena e tornò a casa.
I giorni successivi trascorsero lenti e monotoni. Di tanto in tanto si sentiva in colpa nei confronti del marito e, soprattutto, temeva di venire scoperta, ma subito si rassicurava dicendosi che mai e poi mai suo marito avrebbe letto quel racconto: in vent’anni di matrimonio lo aveva sempre visto con in mano Il sole ventiquattrore e alcune riviste specializzate su problemi finanziari ed economici.
Finalmente venne il giorno tanto atteso. Corse in edicola e comprò tre copie della rivista. Vedere il suo racconto stampato su quelle lucide pagine e corredato da un’immagine stilizzata in cui venivano ritratti un uomo e una donna mentre si scambiavano un bacio le procurò un immenso piacere. Rimase più di un’ora a contemplarlo con un sorriso ebete stampato sul volto e, infantilmente, controllò anche nelle altre copie a pagina ottantanove… Sì c’era: era proprio il “suo” racconto!
Per sicurezza nascose quelle riviste nel cassetto in cui teneva la sua biancheria. Le mise al fondo e sopra dispose in bell’ordine reggiseni, slip, canottiere. Richiuse il cassetto con un sospiro soddisfatto.
Erano trascorsi ormai tre mesi dalla pubblicazione quando una sera il marito rientrò a casa tenendo in mano una rivista tutta sgualcita. La donna la riconobbe subito e, a malapena, riuscì a trattenere un’esclamazione di sorpresa rimanendo, però, con la bocca spalancata.
“Ti ho portato una cosa da leggere veramente divertente! Oggi sono stato dal barbiere. L’attesa è stata lunga ed avendo dimenticato in ufficio il mio giornale per ingannare il tempo mi sono messo a leggere una vecchia rivista che c’era sul tavolino…”
“Hai fatto bene, caro”
“Non ci crederai…”
“A cosa, caro?”
“Ho letto un racconto, niente di particolare a dire il vero, se non per una cosa: la protagonista femminile ti assomiglia in modo impressionante. Usa le tue espressioni, ha il tuo stesso modo di fare l’amore: gli stessi approcci, addirittura le stesse parole. Ti rendi conto? Se non fossi più che convinto che è una cosa impossibile, penserei che l’autrice ti conosce veramente bene”
“Hai ragione, caro, una cosa proprio impossibile. Solo una divertente coincidenza….”
Gli diede un bacio: “Vieni, caro, la cena è pronta. Poi, stasera, vedrò di cambiare un po’…” e, sorridente, gli lanciò un’occhiata maliziosa.