“Guardati da ciò che desideri, perché potresti ottenerlo”
Ralph Waldo Emerson
-Devi stare attenta quando esprimi un desiderio, perché potrebbe avverarsi.
Ecco, l’aveva detto. Non mancava mai di dirmelo tutte le volte che mi vedeva. C’era da sclerare!
Come sempre le avevo chiesto:
-Perché, zia Penny?
E, come sempre, non avevo ricevuto nessuna risposta. Zia Penny si richiudeva subito nel suo silenzio, il viso assorto, segnato da rughe profonde e lo sguardo perso: tra le mani l’immancabile corona del rosario che sgranava instancabilmente, seduta sull’unica poltrona del suo piccolo alloggio. Non le avevo mai sentito fare un discorso: a mala pena rispondeva alle domande se le considerava innocue, altrimenti diceva le sue “frasi”. La più ricorrente era quella dell’avere attenzione nell’esprimere un desiderio, oppure c’erano quelle a sfondo religioso con un dio cattivo, capace di leggerti nel pensiero e di punirti, se il caso.
“Basta l’intenzione, ricordati”.
Da bambina ero terrorizzata da quella frase, ora reprimevo a stento un sorriso e scrollavo le spalle. In fondo zia Penny, pur essendo fuori di testa, era inoffensiva.
Vestiva –almeno per quanto ricordavo- sempre di nero con abiti stretti e lunghi fino a metà polpaccio che la facevano apparire ancora più magra di quanto non fosse e portava i capelli raccolti in una crocchia sulla nuca: dovevano essere lunghissimi, anche se non l’avevo mai vista con i capelli sciolti.
-Mamma ti manda del minestrone che ha appena fatto… Mi ha detto di chiederti se ti serve qualcosa, perché domani va al mercato.
-Non mi serve niente… Ringrazia la tua mamma.
Per rispondermi aveva per un attimo interrotto di biascicare le preghiere senza però smettere con le dita di tormentare un grano del rosario.
“Porta questa pentola a zia Penelope e mi raccomando non scappare via subito!”, così aveva ordinato mia madre. Avevo sbuffato, ma, alla fine, avevo ubbidito. D’altra parte io e mia madre eravamo le uniche persone a farle visita e, anche se non lo davo a vedere, ero affezionata a quella anziana donna. Pazienza se per quel pomeriggio non potevo ritrovarmi con gli amici in piazza e se quella gatta morta di Bea di sicuro ne avrebbe approfittato per fare gli occhi dolci al mio tipo: stasera gli avrei telefonato e, insieme, avremmo riso di quella stupida.
La vecchia Penelope era l’unica zia di mia madre ancora in vita. Di lei sapevo poco: era rimasta orfana poco più che ragazzina ed essendo la maggiore aveva dovuto fare da madre alle sorelle, tra cui mia nonna; poi si era sposata, ma era rimasta vedova dopo pochi anni di matrimonio, senza aver avuto figli. Da allora non aveva smesso il lutto ed era diventata un po’ “stramba”, come diceva la mia mamma.
Rimasi a gironzolare ancora per qualche minuto, guardandomi attorno. In quell’alloggio era come se il tempo si fosse fermato: le tendine all’uncinetto alle finestre, i ninnoli di ogni genere sui ripiani, il calendario appeso al muro con immagini religiose. Su un carrello un vecchissimo televisore che non avevo mai visto acceso e che, secondo me, ormai non funzionava più da anni. Poi, le foto dei morti sulla credenza: una sfilza interminabile, disposte in modo meticoloso, lucidissime, abbellite con piccoli fiori di stoffa fissati alle cornici.
Quando me ne andai, zia Penny si dimenticò di salutarmi.
Quella fu l’ultima volta che la vidi: una notte di pochi giorni dopo morì compostamente nel suo letto, con la corona del rosario in mano e con i capelli lunghissimi e sottili come fili di seta, sciolti sulle spalle.
Fu nel sistemare le poche cose che possedeva che ritrovai, nascosto tra le lenzuola, un diario.
Era un quaderno spesso, dalla copertina nera, scritto fitto fitto con grafia minuta. Lo misi nello zainetto e, non appena mi fu possibile, iniziai a leggerlo con curiosità.
Scoprii che zia Penelope aveva iniziato a scrivere all’indomani delle nozze con Ermanno: descriveva il suo amore per quell’uomo, i piccoli gesti d’affetto della vita quotidiana, ma sempre con lui come unico protagonista e punto di riferimento.
Man mano che leggevo faticavo a capacitarmi che era proprio zia Penny l’autrice di quelle pagine. La donna che scriveva era appassionata, piena di slanci e di curiosità.
“Quanto è bello il mio Ermanno! È forte e allo stesso tempo delicato. Mi piace quando mi accarezza, quando alla sera, una volta soli, mi riempie di baci, quando posso trovare rifugio tra le sue braccia, quando mi fa il solletico per farmi ridere. In quei momenti vorrei che il tempo si fermasse e vorrei che lui esistesse solo per me. Poi, invece, bisogna pensare all’immediato. Oggi, per esempio, è dovuto uscire per andare ad aiutare un suo amico. Ne approfitto, così, per scrivere queste poche righe. Mi ripeto che non devo essere triste e neppure egoista... Però, quanto mi è difficile!”
Pensai al mio ragazzo e mi stupii che la vecchia zia Penny potesse provare le stesse emozioni che provavo io per Luca. Non l’avrei mai immaginato!
Ripresi a leggere, ormai troppo coinvolta da quella storia d’amore. Le annotazioni, con il passare del tempo, erano sempre meno frequenti, così come i punti esclamativi e gli slanci, lasciando il loro posto a dubbi e timori.
In una pagina –circa due anni dopo il matrimonio- la zia scriveva:
“Ultimamente Ermanno mi sembra distratto e preoccupato. Ieri sera si è coricato e si è dimenticato di darmi il bacio della buona notte: è la prima volta che capita da quando siamo sposati. Mi sono avvicinata e l’ho baciato: lui ha bofonchiato qualcosa sul fatto che era stata una giornataccia. Anche per me era stata una giornata pesante, ma proprio per questo motivo avrei voluto essere baciata. Gli ho chiesto che cosa lo preoccupava e lui per risposta mi ha detto di stare tranquilla. Come faccio a stare tranquilla? Lo sento così distante…”
Continuai a leggere, assalita da una sottile angoscia, mentre sentivo formarsi un groppo in gola.
L’ultima pagina riportava la data di pochi giorni prima della morte di suo marito.
“Oggi non ho neppure più lacrime da versare.
Ho supplicato, pregato, implorato Ermanno di non uscire, di non andare da “quella”. Lui, come sempre, ha negato: ha detto che le mie erano solo delle fisse e che se andavo avanti così gli rovinavo la vita. Ha persino aggiunto: “Smettila con questa storia, altrimenti, ti giuro, che mi faccio davvero un’amante. Almeno così avrai ragione…”. Poi è uscito, spingendomi lontana e sbattendo la porta. Mi sono rialzata e sono corsa alla finestra, ancora in tempo per vederlo in fondo alla strada, mentre si allontanava con quel suo passo veloce e sicuro.
Cosa crede? Che una donna innamorata non si accorga quando il suo uomo la tradisce? Eppure è così evidente da tante piccole, piccolissime sfumature. Dall’odore che ha addosso quando torna, dallo sguardo ansioso che ha prima di uscire, dal modo di fare diverso da quello di sempre…
Quando l’ho visto allontanarsi, quasi di corsa, come se temesse di perdere minuti preziosi da dedicare a “quella” ho sentito come un morso allo stomaco che mi ha fatto piegare dal dolore.
Non so più cosa fare. Sono disperata, così disperata che in quel momento ho persino pensato che preferirei saperlo morto piuttosto che con quell’altra.
Spero che il Signore mi perdoni per questo mio orribile pensiero.”
Richiusi il quaderno e finalmente piansi, mentre nelle orecchie risentivo la sua voce: “Devi stare attenta quando esprimi un desiderio…”.