Limite
di Francesco Settin e Cesarina Bo
Il limite permette di studiare il comportamento di una funzione in prossimità, ad esempio, di un punto. Non ha importanza se la funzione non esiste in quel punto: è possibile avvicinarsi, sempre di più, restringendo a piacere l’intorno del punto stesso.
Pat guida la sua vecchia auto senza incertezze; ha una guida sicura, veloce e, soprattutto, una destinazione precisa. Mentre guida pensa ad Alina, la sua ragazza. Ha un appuntamento con lei alla periferia della città, in un posto scoperto da poco: un fabbrica dismessa, prossima alla demolizione. C’è un buco nella rete metallica perimetrale, e una porta che permette di accedere a quelli che, un tempo, erano gli uffici. Parcheggia l’auto ad un isolato di distanza, poi prosegue a piedi. In tasca ha un sacchetto di plastica: lo tocca in continuazione, come per saggiarne la consistenza o il fruscio. Ha promesso ad Alina che, stavolta, si avvicinerà al punto di non ritorno, la farà sentire leggera come non lo è stata mai, prima; la porterà al limite, proprio come lei desidera: un punto, un luogo, una dimensione in cui si perde la coscienza di se stessi, dove i sensi si confondono e la percezione della realtà muta. Ogni volta che si incontrano lei chiede di provare qualcosa di sempre più eccitante, di sentire i brividi sulla pelle, di essere trattenuta solo all’ultimo, ad un passo dall’ineluttabile. Alina, nonostante i suoi sedici anni, è insaziabile: ha bruciato tutte le tappe, come in una rapida escalation; Pat, da parte sua, sa che deve accontentarla e stupirla, se vuole essere il suo uomo.
I lampioni della statale proiettano all’interno dell’edificio una luce diafana. Quel che basta per orientarsi, camminando a tentoni. La trova già dentro, seduta per terra. Ha in mano una bottiglia di liquore mezza vuota. Quasi non si scambiano parole: si accarezzano, si baciano, bevono a turno dalla bottiglia. Alina ride tra i denti, di tanto in tanto; poi si spogliano con gesti rapidi e meccanici; si prendono con affanno, con violenza quasi, spinti dall’urgenza. Infine Alina come una bambina insoddisfatta sospira e chiede: “E ora, Pat… Che cosa facciamo?”.
“Vedrai… ti piacerà”, risponde Pat. Un lieve tremore nella sua voce tradisce la paura del gesto. Allora le strappa la bottiglia dalle mani e ne beve una lunga sorsata, quindi prende il sacchetto dalla tasca del giubbotto e glielo infila in testa, stringendolo delicatamente attorno al collo. Dopo un po’ l’ossigeno inizia a mancare e il sangue si lega all’anidride carbonica. Alina è in fuga dalla realtà: è leggera e felice; si solleva come un palloncino del luna park, come se non avesse più corpo, come se non si trovasse più su questa terra. Col passare degli istanti sempre di più si avvicina all’agognato limite. Quasi lo vede, anzi, quasi lo tocca; e intanto avanza, e avanza; annaspa con le mani, respingendo Pat che urla: basta, Alina, adesso basta.. ancora un poco e ci siamo; solo un passo ancora.. ma dov’è, dov’è ?