Si quis in hoc artem populo non novit amandi,
hoc legat et lecto carmine doctus amet.
Arte citae veloque rates remoque moventur,
arte leves currus: arte regendus Amor.
Il professore rilesse il brano scelto per la verifica di febbraio per la sua classe e mentalmente lo tradusse: “Se qualcuno ignora l'arte di amare in questa città, legga questo trattato e dopo averlo letto sarà nell'amare un esperto. Un'arte fa andare veloci le navi, a vela o a remi, un'arte fa andare i carri leggeri; e un'arte deve guidare l'Amore”.
I versi di Ovidio gli fecero tornare alla mente gli anni universitari. A quei tempi aveva nutrito una vera passione per il poeta latino sia per l’anticonformismo e per il distacco con cui guardava all’amore, sia perché aveva trovato attuali i consigli che dava su come scegliere una donna e su come ottenerne i favori, contando soprattutto sulla sfrenata libido della femmina; infine l’aveva ammirato per la sua filosofia del fallite fallentes, ingannate coloro che v’ingannano, filosofia che aveva trovato giustissima e che aveva messo in pratica. Con gli anni, poi, non si era fatto scrupolo di ingannare anche quando non era ingannato.
"Regendus... riusciranno quei somari a vedere la perifrastica passiva con il sum sottinteso? A capire, almeno, che quello è un gerundivo? Questi hanno la pretesa di tradurre senza neppure sapere l’indicativo".
Scosse la testa pensando alla classe, una quarta liceo scientifico, fatta da ragazzi così distratti e superficiali che era già molto se sapevano riconoscere un verbo regolarmente coniugato: figuriamoci ipotizzare un banale verbo essere sottinteso... Altro che cogliere il legame di natura ossimorica tra doctus e amet! Probabilmente, però, neppure i suoi giovani colleghi l’avrebbero colto: aveva notato che rimanevano sempre sul vago quando si trattava di parlare della disciplina in maniera seria, limitandosi ad annuire e a dire una parola qua e una là, mentre quando si trattava di parlare di scale di misurazione, feedback, ripartizione modulare, case method, orientamento motivazionale, problem solving, valutazione sommativa, role playing et similia allora sì che salivano in cattedra e facevano gara a chi lo aveva più lungo.
“Chi se ne frega! Ancora qualche mese e finalmente andrò in pensione. E non dovrò più rendere conto al preside del perché ho troppi insufficienti, né ascoltare madri protettive e sfacciate che mi chiedono se non posso chiudere un occhio perché, in fondo, il latino è lingua morta, e tanto mio figlio farà l’ingegnere, né sopportare colleghi appena arrivati e già pieni di pretese…”
Terminò di leggere il brano che aveva tratto dal primo libro dell’Ars Amatoria chiedendosi ancora una volta se non era troppo lungo o troppo difficile per i suoi ragazzi ma, alla fine, decise di mandare in stampa il documento preparato, perché di sceglierne un altro proprio non ne aveva voglia. Si dispose all’attesa in quanto il computer in dotazione alla sala insegnanti era lentissimo e la stampante ancora di più. E quel giorno lo erano più del solito:
“È fine mattinata anche per loro ed è dalle otto che sono continuamente in funzione…”
In effetti, aveva dovuto aspettare l’ultima ora di lezione per poter preparare la verifica, perché quel giorno c’era stato un via vai continuo attorno al pc e, per ultima, la collega di educazione fisica che si era schiodata solo a campanella suonata già da un po’ e solo quando a lui era venuta la brillante idea di dire a voce alta: “Sta arrivando il preside, lo sento parlare”. A quel punto la donna si era alzata in tutta fretta e si era rapidamente allontanata, lanciandogli un grazie di riconoscenza per l’avviso. Lui l’aveva seguita con lo sguardo non disdegnando di fissare quel sedere prosperoso, sorretto e costretto da dei pantaloni di una tuta fasciante di taglia troppo piccola.
Quello del pc e della stampante era una questione annosa. In sala insegnanti finivano vecchi catorci già usati negli uffici di segreteria e il loro funzionamento era alquanto inaffidabile; d’altra parte il preside sosteneva che per l’uso fatto dai docenti, inesperti e pasticcioni, andavano persino troppo bene. Finalmente la stampante iniziò a dare segni di vita con sinistri rumori e con strane vibrazioni, interrompendo così le considerazioni del professor Leopoldo Melis. L’uomo allungò la mano per prendere il foglio dalla stampante e rimase stupefatto nello scoprire che non si trattava del suo compito in classe di latino, ma di un dialogo avvenuto tra due utenti di una chat, bambolina_sbav e mirko. Gli bastò un’occhiata per capire il tipo di conversazione: i due stavano facendo sesso virtuale, in modo esplicito e pure abbastanza grossolano. Inavvertitamente un lungo fischio gli uscì dalle labbra.
“Altro che il pedicabo et irrumabo del buon vecchio Catullo! Questi sono andati giù pesanti…” disse tra sé e sé Leopoldo, mentre continuava a leggere con avidità le pagine e, allo stesso tempo, provava una piacevole sensazione per l’inturgidimento che la lettura gli aveva immediatamente provocato.
Era evidente quel documento che aveva tra le mani era rimasto in coda di stampa e altrettanto evidente era l’identità della calda e vogliosa bambolina_sbav: la collega di educazione fisica, senza alcun dubbio! Antonia Sele, precaria, quarant’anni, nubile. Per tutto il tempo che era stata al computer, la donna aveva digitato furiosamente sulla tastiera e quando se n’era dovuta andare aveva spento la stampante, gesto non consueto: di norma il computer e la stampante venivano spenti dai bidelli, quando passavano per fare pulizia o, in ogni caso, prima di andarsene e chiudere la scuola. Sicuramente quella sciocca aveva pensato in quel modo di eliminare il documento e di cancellare così ogni traccia.
Leopoldo Melis rise divertito mentre infilava i fogli dentro alla cartella e negli occhi gli comparve una luce maliziosa. La giornata poteva diventare interessante. Quell’Antonia non era bella, ma era morbida come piaceva a lui e - ora ne aveva le prove - sufficientemente disinibita per i suoi gusti. Già in altre occasioni l’aveva osservata con interesse per lo sguardo languido che gli occhi sporgenti le conferivano e per le labbra carnose che facevano immaginare baci avvolgenti; in passato, senza sbilanciarsi troppo, le aveva fatto qualche apprezzamento, pur non esagerando per timore di un rifiuto.
Di mezze monache ne aveva già sposata una. Sin dai primi giorni di matrimonio, sua moglie aveva dimostrato d’avere a letto la stessa vivacità di una bambola di pezza, incapace di una benché minima iniziativa e sempre a dire di no ad ogni sua proposta. Alla fine la donna aveva ottenuto quello che voleva, ovvero sia essere disturbata il minor numero di volte possibile. In compenso Leopoldo aveva sempre goduto di una certa libertà d’azione. E nessun rimorso.
Al suono della campanella, i ragazzi si riversarono all’uscita e in poco tempo la scuola divenne silenziosa. La sala insegnanti, in un attimo, si riempì di persone e, altrettanto rapidamente, si svuotò. Solo allora Leopoldo scese le scale e percorse il corridoio del pian terreno dove al fondo si trovava la palestra e dove avrebbe trovato anche Antonia. Al martedì, infatti, era previsto il gruppo sportivo e la collega si fermava sempre a sistemare gli attrezzi per l’attività pomeridiana.
-Antonia, sei qui?
-Ciao, Leo. Vieni a fare un po’ di ginnastica?
La donna, sudata e scarmigliata, si affacciò alla porta dello spogliatoio in cui stava trascinando un materassino verde; vi si appoggiò contro e riprese a parlare:
-A proposito, grazie per avermi avvertita questa mattina… Già ieri sono entrata in ritardo e ho trovato il preside nell’atrio. Non mi ha detto nulla, ma ha guardato significativamente l’orologio. Se anche oggi mi beccava, sarebbe stato un bel guaio.
Mentre parlava si chiese cosa fosse venuto esattamente a fare: a parte qualche scambio di battute occasionali, non avevano mai fatto amicizia e insegnando in sezioni diverse non avevano avuto quasi mai modo di incontrarsi. Lei, però, l’aveva notato subito: non tanto perché era un uomo attraente, ma per come Leopoldo l’aveva guardata il giorno in cui si erano presentati. Aveva provato la sensazione di essere nuda sotto il suo sguardo, tanto che aveva ragionato: “Questo, prima o poi, ci prova”. In realtà poi non era successo nulla e lei non ci aveva più pensato.
-Credo che avresti passato guai peggiori se il preside avesse trovato questi…- e nel dire ciò l’uomo aveva tirato fuori dalla cartella uno dei fogli stampati e glielo aveva dato.
Antonia aprì la bocca per parlare, poi cambiò idea e la richiuse senza dire nulla. Rimase a guardare Leo con i suoi acquosi occhi sporgenti.
-Per fortuna sono finiti nelle mie mani.
-Già, una vera fortuna per me.
L’uomo rimase spiazzato dalla reazione della collega.
-Una lettura interessante- aggiunse con un risolino che suonò falso e imbarazzato alle sue stesse orecchie.
-Insomma…
-Sì, invece. Anzi, a dirla tutta mi piacerebbe essere al posto di quel mirko.
Ci fu un attimo di silenzio, poi:
-Perché no?- rispose Antonia trattenendo un sorriso e abbassando gli occhi per nascondere un lampo di soddisfazione: voleva lasciare a Leopoldo la convinzione d’essere il grande artefice.
Di fare sesso virtuale non ne poteva proprio più.
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Menzione della Giuria del concorso letterario Premio Piemonte Letteratura, XXVII edizione, sezione racconti brevi a tema libero