«Farai la fine del padre di Salieri se continui così!» Disse l'uomo seduto a tavola sotto la pergola.
«Che mi importa del padre di quello lì, non so neanche chi sia.» Rispose Vittorio pulendosi la bocca con il tovagliolo unto.
«Quindi non lo sai come è morto?»
«Non sapevo neanche che lo fosse. E poi che vuoi da me?» Un rutto soffocato gli gonfiò le guance.
L'altro non rispose, lo osservava in silenzio.
Una leggera brezza muoveva le foglie sopra di loro e il primo caldo indicava la fine della primavera e l'inizio di una lunga estate.
«Si stava ingozzando a tavola quando fu soffocato da un chicco d'uva, se ricordo bene.» Disse infine l'uomo.
Vittorio lo guardò.
«Sei venuto per mettermi paura? Guarda che con me non attacca.»
«Evidentemente la paura ce l'hai già, altrimenti non mi avreste chiamato.»
«Non ti ho chiamato io.»
«Lo so, ti hanno fatto una sorpresa, ma ormai, visto quanto ti costo, forse ti conviene sopportarmi
per questo mese.»
«Non lo so se ti sopporterò.»
L'uomo sospirò, gli capitava sempre così all'inizio. Poi lo ringraziavano, ma solo alla fine. Nel frattempo però più d'uno aveva cercato di ammazzarlo, facendolo sembrare un incidente. Questo Vittorio poi era più grosso della media e con una manata avrebbe potuto renderlo invalido per sempre.
Avrebbe dovuto stare molto attento, perché non è vero, come molti credono, che i grassi siano tutti simpatici.
Era una di quelle giornate perfette, il sole scaldava la fresca brezza quel tanto che bastava a renderla piacevole, il rumore del fiume si fondeva con quello del vento fra gli alberi e piccole nuvole bianche veleggiavano nel cielo blu, lasciando le loro ombre solitarie sui prati della grande pianura.
Arrivò il caffè e Vittorio lo sorseggiò con gusto raccogliendo poi con il cucchiaino le tre bustine di zucchero che ci aveva versato e che non si erano sciolte.
«Ci metti sempre tutto quello zucchero?» Stava per chiedere l'uomo, poi pensò che sarebbe stata una domanda stupida vista la mole di Vittorio, e il grosso sedere che traboccava dalla sedia. Il conto fu esagerato per due persone, e il cameriere era quasi imbarazzato a portarlo.
«Lo pago io, tanto poi te lo metto in fattura.» Disse l'uomo.
Vittorio non rispose. Stava appoggiato allo schienale e guardava la valle con gli occhi semichiusi, come se dormisse.
«Come sono arrivato a questo punto?» Si chiedeva, ma era abituato a trovare decine di risposte e centinaia di scuse. E anche se nessuna lo convinceva, era comodo prenderle per buone.
«Credo che dovremmo andare, cominceremo domani a mangiare nel modo giusto, questo era il tuo ultimo pasto scelto da te. D'ora in poi sarai impegnato a cercare di ridiventare un bel giovanotto snello e aitante.» Disse l'uomo porgendo al cameriere i soldi del conto e una mancia spropositata.
«La mancia mica me la addebiterai?» Disse Vittorio.
«Penso di sì invece, fa parte della cura.»
Si avviarono verso il cancello che dava sulla strada, salutati da un cameriere molto espansivo e ancora incredulo.
«E ora come torniamo?» Chiese Vittorio ricordandosi che all'andata erano stati accompagnati in auto da un suo amico.
L'altro non rispose e si avviò lungo la strada sterrata che portava al paese.
«Hai telefonato per farci venire a prendere, vero?» Chiese ancora Vittorio.
«E perché? Possiamo fare una passeggiata, siamo quasi arrivati.»
«Ma se non siamo neanche partiti! Ci sono quattro chilometri da qui a casa.»
«Quattro e mezzo, ho controllato.»
«Ma non dovevamo cominciare la cura domani?»
«La dieta domani, l'esercizio adesso, le energie le hai incamerate, ora consumane un po'.»
Vittorio non sapeva che dire, rimase per alcuni istanti a fissare l'uomo che si allontanava camminando nell'erba sul bordo della strada, poi sconsolato, arrabbiato con tutto il mondo, ma un pochino fiducioso che il sacrificio forse sarebbe stato utile, cominciò a seguirlo, passo dopo passo, con il cuore che batteva forte e il fiato che gli mancava ogni dieci metri.
“Non ce la farò mai.” Pensò, poi pian piano raggiunse l'uomo che si era fermato ad aspettarlo.
«Ma che passiamo per la strada vecchia?» Chiese.
«Certo, sull'altra ci sono troppe macchine, è pericoloso andare a piedi.»
«Ma qui è pieno di sassi e buche.»
«Quando non c'erano le auto e si viaggiava a piedi tutte le strade erano così, per questo abbiamo le gambe e non le ruote.»
Camminavano lungo la strada sterrata, sotto un sole primaverile che ora cominciava a scottare nonostante il vento fresco, e Vittorio sudava da tutti i pori.
Le gambe gli facevano male e le ginocchia scricchiolavano ad ogni passo. Ma non voleva arrendersi subito, non avevano neanche cominciato e lui aveva il suo orgoglio, anche se sommerso da chili di grasso. Ora procedevano in salita e ogni passo sembrava dovesse essere l'ultimo. Avevano percorso circa un chilometro, il paese stava nascosto dietro la collina e si intravedeva solo la punta del campanile.
«Va bene, adesso ci riposiamo un po'.» Disse l'uomo fermandosi e posando a terra lo zaino.
Vittorio non aveva il fiato per rispondergli perciò si limitò ad annuire e si buttò nell'erba, stremato.
«E cadde come corpo morto cade...» Disse l'uomo sedendo su un sasso.
«Ci mancavano solo le citazioni della Divina Commedia.»
«Meno male che qualcuno la riconosce.»
«Ci mancherebbe altro, sono un sedentario, e un po' di tempo ce lo passo a leggere.»
«Sempre meglio della TV.»
«Guardo anche quella, mentre mangio.»
«Cioè sempre.»
«Mentre mangio.»
«Per diventare così è evidente che mangi sempre, ingrassare è quasi un lavoro per te, anche se piacevole, almeno all'inizio.»
Vittorio non rispose.
L'uomo tirò fuori dal taschino un pacchetto di sigarette e se ne accese una con un vecchio Zippo. Una lieve puzza di benzina arrivò a Vittorio e poi il fumo che, come tutti sanno, va sempre verso chi non fuma.
«E poi fai la predica a me.»
«Lo sapevo che l'avresti detto, ma il fumo per prima cosa non fa ingrassare, anzi, e poi mica voglio diventare santo, qualcosa contro le regole bisogna farla altrimenti si diventa matti.»
«Beh, io mangio, anche se troppo. Anche questo è contro le regole.»
«Oggi non più, siete tutti grassi. Ormai è la norma.»
«Il problema è che il cibo si trova ovunque e io non riesco a resistere.»
«Quello non è cibo, è merda, confezionata bene, ma sempre merda.»
«E tu che ne sai?» Disse Vittorio osservando il fisico snello dell'uomo.
L'altro non rispose, si alzò, appoggiò la sigaretta sul sasso e si tirò su la camicia.
«Lo sai cos'è questa?» Disse mostrando una lunga cicatrice sullo stomaco.
«Un'operazione.»
«Infatti, me la fecero perché ero come te, e se avessi continuato ad ingrassare ora sarei in un cimitero, come ospite, in una cassa fuori misura.»
Vittorio non parlava e l'uomo continuò.
«Cominciai a mangiare troppo quando persi il lavoro, non avevo niente da fare tutto il giorno e ciondolavo da un pasto all'altro. Ma più ingrassavo e più diventava difficile trovare un'occupazione.»
«Lo so.» Disse Vittorio.
Una lepre sbucò da un cespuglio, li osservò per qualche istante e poi fuggì nel bosco.
«Così dovrai diventare. Magro e veloce.» Disse l'uomo.
«Questa te la sei preparata, la lepre è tua e l'hai addestrata a comparire nel momento giusto.»
«Magari, è solo che ho la battuta pronta. Il cervello dev'essere agile come il corpo, e viceversa.»
«Non lo so se ci riuscirò.» Vittorio si toccò i fianchi lardosi.
«Se farai quello che ti dirò, in un mese comincerai a vedere i risultati, e allora sarai invogliato a continuare da solo. Io posso solo darti il via.»
«Ma come l'hai trovato questo lavoro?»
«Non l'ho trovato, me lo sono inventato. Cominciai ad andare a piedi ogni volta che potevo; per non mangiare evitavo di fare la spesa, mi facevo portare solo verdura e qualche volta un po' di carne, ma non più di una volta la settimana. E uscivo senza soldi così non potevo fermarmi a mangiare porcherie in giro.»
«Bel mese mi si prepara.» Sospirò Vittorio. L'uomo continuò.
«Quando vidi che la mia cura funzionava con me, proposi a un mio amico di fare la stessa cosa, così saremmo stati in compagnia. Ma quando si trattava di camminare per giorni interi fra boschi e prati pieni di spine, lui si rifiutava e si lamentava che in fondo non era mica obbligato a farlo.»
«Infatti.»
«Allora mi venne l'idea che avrebbe risolto tutti i problemi, cominciai a farmi pagare e caro anche.»
«Lo so.» Vittorio sospirò di nuovo.
«Il fatto è che se la gente non paga, non apprezza le cose. Mi pagavano anticipato e il pensiero di aver buttato via un sacco di soldi li spingeva a fare quello che dicevo. E quasi tutti arrivavano alla fine del mese più leggeri, nel fisico e nel portafogli.»
«Vivi?»
«Su quello ci puoi contare, siamo stati progettati per muoverci a piedi, come ti dicevo prima, e per mangiare quando capita, come la volpe che prima o poi catturerà quella lepre che hai visto poco fa.
Ma intanto deve muoversi per non morire di fame. E comunque camminando non si muore.»
«E allora quelli che corrono e ogni tanto ne crepa uno?»
«Quelli sono degli idioti, probabilmente a forza di dimagrire gli è dimagrito anche il cervello.
Hanno quasi tutti i capelli bianchi e si ostinano a correre sforzando un cuore che ha già parecchi anni ma che potrebbe continuare a funzionare per molto tempo ancora, se trattato con rispetto. Ma loro vogliono ritornare giovani, è questo il loro problema, non il peso. E all'età non c'è rimedio.»
Alcune nuvole coprirono il sole e il vento si fece più fresco. Le foglie frusciavano sulle cime degli alberi e un pesante silenzio ovattava quell'angolo di mondo.
«Abbiamo riposato anche troppo.» Disse l'uomo alzandosi e riprendendo lo zaino.
Vittorio si sollevò a fatica e dovette appoggiarsi ad un albero per non cadere di nuovo.
Dopo più di un'ora arrivarono in paese e Vittorio era conciato da buttare mentre l'altro sembrava fresco come un pesce appena pescato.
Sulla piazza c'erano i soliti nullafacenti e più d'uno si sforzò per non ridere.
Vittorio li salutò con un cenno scarsamente espansivo e si rivolse all'uomo.
«Siamo arrivati.»
«Te ne sei accorto? Vedi, stai già migliorando, mensa sana in corpore sano.»
Lui non raccolse la battuta.
«Adesso che facciamo? E quasi buio.»
«Se vuoi possiamo fare un'altra passeggiata.» L'uomo sorrise.
«Preferisco prendere un caffè, offro io.» Vittorio si diresse verso il bar della piazza.
«Ci puoi giurare, io sono full credit per un mese.»
«Se non dimagrisco con questa cura, alla fine di questo mese non avrò comunque i soldi per mangiare con quello che mi costi, e quindi dimagrirò per forza.»
«Io sono pagato da tua sorella, che si preoccupa della tua salute.»
«Mia sorella non ha soldi, sono io che finanzio tutti in casa.»
«Meglio, così ti sentirai ancora più coinvolto.»
Nel bar, dietro il bancone c'era solo una ragazza che passava il tempo guardando la TV.
«Ciao». Disse vedendolo, poi si accorse dell'altro uomo e corresse il saluto in un più formale “buonasera”.
Vittorio le sorrise, poi si vide nello specchio fra le bottiglie e gli passò la voglia di sorridere.
«Caffè?» Chiese la ragazza.
«Per me sì.» Rispose e guardò con aria interrogativa l'uomo che era con lui.
«Io acqua minerale, gassata, perché stasera sono in vena di stravizi.»
La ragazza lo guardò di sfuggita, ma non sorrise, quel tipo non le piaceva e lei difficilmente si sbagliava. Vittorio cercò di farsi durare il più possibile il caffè in modo da poter riprendere fiato. L'altro finì la sua acqua e si diresse verso la porta.
“Allora, ci vediamo domani mattina alle sei e mezza, io torno in albergo.”
“Alle sei e mezza? Ma io sono in ferie!”
“Presto a letto presto in piedi il dottore mai non vedi.” Rispose l'altro, poi uscì senza neanche salutare.
“Un vero cafone. Dove l'hai trovato?” Chiese la ragazza.
“Non lo so, è arrivato ieri e mia sorella ha detto che mi rimetterà in forma.”
Lei non disse niente e continuò a sciacquare le tazzine del caffè prima di metterle nella lavastoviglie.
“Non ci credi?” Chiese Vittorio.
“Il contenuto è più importante del contenitore.” Rispose lei guardandolo. Poi senza dargli il tempo di capire prese i soldi dal banco e gli porse lo scontrino.
Vittorio prese a sfogliare gli espositori dei dolci e delle patatine fritte, come faceva sempre, ma stasera non aveva voglia di niente. La ragazza tornò a fissare la TV, e lui come al solito non si accorgeva delle occhiate che lei gli lanciava quando era di spalle.
“Non prendo niente stasera.” Disse appoggiandosi al bancone.
“Allora la cura comincia a fare effetto, di solito fai la scorta per la notte.”
“Non ho soldi, a parte quei pochi per pagare il caffè. Mi ha vietato di portarli con me.”
“Se vuoi ti faccio credito, sei un ottimo cliente.” Disse lei con il viso senza espressione.
“No, lo sai che non voglio debiti, neanche piccoli.”
“Lo so, e sei l'unico.”
“Almeno in qualcosa lo sono.” Sorrise alla ragazza e lei ricambiò il suo sorriso e gli occhi le brillarono sotto i faretti della vetrina.
“Sì, credo di sì.”
Era uno di quei momenti che capitano di rado, quando due persone riescono a comprendersi senza troppe parole. Quei momenti che ricorderai anni dopo e ti chiederai che sarebbe successo se avessi fatto o detto una cosa diversa.
Ma poi, come sempre, entrò il guastafeste che non poteva vivere altri cinque minuti senza una birra, e il momento passò.
“Allora, ciao.” Disse Vittorio.
“Ciao, e grazie.” Rispose lei.
Il sole era tramontato ma non era ancora notte. Le ombre coprivano piano i vicoli antichi e i lampioni si accendevano, dondolati dal vento ormai freddo. Una luna grande come un'arancia si preparava a percorrere il cielo nero e a nascondere le stelle dietro il suo chiarore.
Vittorio camminava lento e stanco verso casa e il sudore gli gelava la schiena un po' curva.
Andò a dormire subito, senza neanche lavarsi, tanto a chi importava ormai? Steso nel letto che scricchiolava ogni volta che si girava, Vittorio ripensava al suo primo giorno di ferie. Perché si era lasciato coinvolgere in quella storia? E poi chi lo conosceva quel tipo? Per quanto ne sapeva lui poteva essere un ciarlatano che gli avrebbe spillato un bel po' di soldi e forse senza alcun risultato. Però sapeva essere convincente, e in fondo lui sperava davvero che alla fine del mese la sua vita sarebbe stata diversa, quella vera e non solo la circonferenza dei suoi fianchi.
Aveva da fare un mese di ferie perché era stato costretto a prendersele tutte insieme visto che ne aveva diverse accumulate dall'anno prima.
Non aveva posti dove andare e appena uscito dall'ufficio già pregustava un mese intero sdraiato a mangiare e leggere tutto quello che gli pareva. Ma l'arrivo di quel tipo aveva cambiato tutti i suoi programmi, come capita spesso a coloro che sono così ingenui da farne.
E così quella sera si ritrovava con le ginocchia doloranti, i piedi gonfi e le spalle indolenzite. “Non finiva mai quella salita.” Pensò ricordando il percorso dal ristorante fino al paese e si ricordò di quando da bambino lo faceva tutto di corsa e arrivava senza il minimo sforzo. Allora non lo chiamavano “arancino con i piedi o culone” e le ragazzine gli giravano attorno, litigando per farsi accompagnare a scuola.
Ma era stato un bel po' di tempo fa, e ormai erano tutte sparite, molte andate verso la città in cerca di una vita se non migliore almeno più varia di quella che le aspettava in quel piccolo paese. Ma tanto a lui interessavano poco, perché quella che gli piaceva e per la quale avrebbe fatto qualunque cosa stava ancora lì.
Ma il tempo passa e solo quando è tardi ci accorgiamo che quasi sempre è meglio esporsi e ricevere un rifiuto piuttosto che aspettare che le cose si risolvano da sole. E che le persone non capiscono noi più di quanto noi comprendiamo loro.
Poi un giorno partì per l'università, perché suo padre, analfabeta, voleva che suo figlio studiasse per diventare qualcuno e che gli altri non potessero approfittarsi di lui solo perché era ignorante. Rimase fuori per cinque anni e quando tornò era un'altra persona.
Portava con sé una laurea, e settanta chili di troppo.
«Bravo che hai portato il cocomero!» Fu la prima frase che si sentì dire appena sceso dalla corriera. Un suo ormai ex amico gli tastò la pancia e non aggiunse altro solo perché vide nei suoi occhi qualcosa che lo dissuase.
La ragazza del bar, con la quale si erano scritti delle lunghe lettere, lo guardò dalla porta, senza dire una parola.
“Ecco perché non mi ha mai voluto spedire una fotografia.” Pensò, poi distolse lo sguardo, cercando di vedere ancora quel ragazzo che se n'era andato tanti anni prima e che lei aveva immaginato ogni sera rileggendo e consumando quei fogli scritti con la sua calligrafia piccola e ordinata. E adesso gli tornava quello lì, tutto diverso. Ma è più importante il contenuto che il contenitore, aveva concluso, ed era andata verso di lui per salutarlo, anche se le braccia non le sarebbero bastate per stringerlo a sé.
Fra sterpaglie e sassi la prima settimana finì.
“Spero che domani piova, così almeno mi riposo.” Aveva pensato Vittorio il quarto giorno vedendo le nuvole nere che si ammucchiavano all'orizzonte.
E infatti la mattina dopo pioveva di santa ragione. Si alzò dal letto con grande sofferenza e trascinò fino alla finestra il suo corpo pesante e indolenzito. Fuori l'acqua scorreva nel vialetto e formava un piccolo fiume che trascinava con sé le carte dei dolci che egli gettava ogni sera dalla finestra prima di addormentarsi, le carte non i dolci.
Il cielo era di quel grigio che promette pioggia per tutto il giorno e neanche un solo sprazzo di
azzurro faceva sperare in un miglioramento.
“Meno male!” Disse Vittorio, poi se ne tornò a letto, deciso a starsene finalmente a riposo.“Ci vuole, dopo quello che ho passato.” Disse a sé stesso, poi allungò la mano verso il comodino e raccolse dal cassetto una manciata di nocciole glassate.
Un libro, la sua lampada e di fronte la finestra, con la sua luce grigia dalla quale intravedeva i rivoli di pioggia che con frastuono cadevano nelle pozzanghere.
Con un occhio leggeva e con l'altro sonnecchiava, indeciso fra l'una e l'altra cosa. E come sempre quando si è indecisi, la mente vagava verso pensieri che non c'entravano niente.
Ma durò poco perché una lunga scampanellata arrivò ad interrompere le sue fantasie.
Nessuno andava ad aprire perché tutti si aspettavano che ci andasse lui che dormiva al piano terra. Quindi dovette posare il libro, inghiottire le noccioline che stava gustandosi lentamente passandole da un lato all'altro della bocca e alzarsi.
“Beh? Ancora non sei pronto?” Chiese il suo “allenatore” affacciandosi sulla soglia.
“Ma non lo vedi che è cominciato il diluvio universale?” Rispose Vittorio indicando il cielo nel quale le nuvole si accavallavano vorticose.
“Non credo, c'è già stato tempo fa, questo è solo un acquazzone estivo.”
Stava fermo sotto la pioggia, infilato in un impermeabile giallo che gli arrivava ai piedi e con un cappellone da pompiere che colava acqua da tutti i lati.
“Io non ho impermeabili, mica posso venire a camminare per il bosco con l'ombrello.”
L'altro fece un sorriso furbo.
“Credi che non li conosca i tipi come te?” Disse porgendogli un sacco di plastica.
“Che è?” Chiese Vittorio, anche se temeva di conoscere la risposta.
“I miei ferri del mestiere, perché credi chi mi porti dietro tutte quelle valigie?”
Vittorio prese il sacco grondante e fece cenno all'uomo di entrare.
“No, grazie, rimango qui così farai più in fretta a prepararti.”
La pioggia aumentò e un tuono lontano rotolò fra le montagne, presagio di cose non buone.
Nel sacco c'erano degli stivali di gomma, un cappello d'incerata e un impermeabile.
“Come fai a sapere che mi andrà bene?” Chiese Vittorio.
L'altro si asciugò un po' d'acqua dal viso e mostrò di nuovo il suo sorriso bagnato.
“Io lavoro con i ciccioni, cosa credi? Le conosco le misure. Dai, sbrigati che potrebbe venire a piovere.” Disse.
Neanche si lavò il viso, tanto ci avrebbe pensato la pioggia, indossò l'impermeabile giallo che lo faceva assomigliare ad un gigantesco anatroccolo, si riempì le tasche di cioccolato e noci, per eventuali momenti di debolezza, e svogliatamente seguì l'uomo dentro il diluvio.
“Non mi piace molto che mi chiami ciccione.” Disse Vittorio mentre si avviavano.
“Ecco un'altra cosa che dovrai imparare, a sopportare le offese.”
“Questo non c'entra con il dimagrire.”
“Lo dici tu.” Rispose l'uomo, poi si avviò lungo la provinciale.
“Oggi viaggeremo su strada visto che il resto del mondo è fango.” Disse poi.
“Stai parlando di politica?”
“No, è proprio fango vero, fatto solo con acqua e terra. Arriveremo laggiù.” Disse indicando il paese vicino che si intravedeva fra le nuvole basse.
Vicino per modo di dire visto che distava più di dieci chilometri.
Vittorio si sentì sconsolato, ma poi pensò che almeno non sarebbe stato in salita, o peggio in discesa quando le ginocchia gli dolevano sotto il suo peso.
Una cosa che gli era sempre piaciuta erano i lavori ripetitivi, quando poteva staccare la mente dal corpo e pensare ai fatti suoi. E anche camminare stava ormai ridiventando per lui una cosa che faceva senza pensarci. Ed era bastata una settimana.
Vittorio si frugò le tasche, poi entrò nel bar con tutti gli spiccioli che aveva, per rifornirsi di dolciumi.
«Brutto stupido, se ricominci ad ingrassare non farti più vedere da me.» Disse la ragazza.
«E perché dovrei farmi vedere da te?» Chiese lui, poi finalmente capì quando vide che, senza ricordarsi dello specchio, lei si era voltata per asciugarsi alcune lacrime.
Vittorio non trovava mai le parole, ma quella volta il suo gesto di buttare nel cestino i suoi acquisti disse molto di più.
Uscì, mentre la ragazza si soffiava il naso con un tovagliolo di carta e controllava se il rimmel non le fosse colato sulle guance.
Lui camminava al centro della strada, e il vento fresco faceva svolazzare la sua camicia che cominciava a stargli larga.
Nel prezzo della cura era compresa anche una bilancia pesapersone.
“Ma non osare pesarti più di una volta al giorno, solo appena sveglio, poi basta.” Gli avevano detto, senza spiegargli il motivo.
E lui ligio alle regole si pesava ogni giorno appena metteva i piedi sul pavimento freddo, ma finora non aveva visto cambiamenti, anzi una mattina era risultato di mezzo chilo più grasso.
“Stai tranquillo, a volte capita, vedrai che poi comincerai a perdere peso tutto insieme, specialmente se smetterai di mangiare di nascosto.” Aveva detto l'uomo.
Vittorio aveva cercato di negare, ma le sue tasche gonfie l'avevano tradito.
“Ma io ho fame, non posso smettere così all'improvviso.” Si era lamentato.
L'uomo aveva lanciato lontano nel bosco i dolciumi che lui aveva comprato la sera prima. Poi l'aveva guardato con lo sguardo assente, come perso in un ricordo che sapeva solo lui.
“I cambiamenti non avvengono gradualmente, è una convinzione che hanno in molti, ma è sbagliata. Le cose cambiano all'improvviso, che ci piaccia oppure no. E' come quando stai cercando di imparare qualcosa, studi ma non capisci, leggi e rileggi ma niente, poi a un certo momento d'improvviso vedi la madonna e tutto diventa chiaro. Prima no e un istante dopo sì.”
Vittorio continuava a guardare nel bosco per cercare di identificare dove fossero caduti i suoi zuccherosi acquisti.
L'uomo continuò.
“Per i cambiamenti è la stessa cosa, non puoi cambiare un po' per volta; non ci riesce nessuno. E' come smettere di fumare, non puoi farlo diminuendo di una sigaretta al giorno, devi troncare tutto in una volta se vuoi sperare di farcela.”
“E tu allora perché non smetti, visto che sai tutte queste cose?”
“Semplicemente perché non mi va di smettere. Se devo morire almeno sarà per una cosa che mi piace.”
“Ti piace il tumore ai polmoni?”
“Non intendevo quello, e poi mica è detto che non mi capiti qualcosa prima. Insomma, fumare fa male, ma tutto è nocivo, anche l'aria che respiriamo, altrimenti vivremmo in eterno.”
“Non mi hai convinto per niente, e se riuscirò a dimagrire sarà solo perché ho un sacco di vestiti che mi piacciono e così potrò rimetterli.”
L'uomo sorrise. “Saranno fuori moda ormai. C'è un motivo più valido, ma tu non sai vederlo perché il grasso ti ha offuscato anche gli occhi oltre che la mente.”
Vittorio rimase senza parole, quell'uomo gli leggeva nel pensiero.
“Che ne sai tu di me? Ci conosciamo da neanche una settimana.”
“Siete tutti uguali voi grassoni, non ci vuole niente a capire il vostro adiposo cervello. Dai, andiamo.” Rispose l'altro avviandosi senza aspettarlo.
Vittorio represse la voglia di staccargli la testa solo perché non riuscì a stare al suo passo e quando finalmente l'ebbe raggiunto l'arrabbiatura gli era passata.
Ma intanto, a forza di maltrattamenti, di perquisizioni corporali alla ricerca di cose mangerecce, di camminate sempre più lunghe, qualche risultato si cominciava a vedere davvero.
Un giorno provò da solo a salire le scale che portavano in cima al paese e si rese conto con meraviglia che ebbe bisogno di fermarsi solo due volte. Erano anni che non vedeva dall'alto il posto in cui viveva e fu come quando rileggi un libro letto da ragazzo. Ti piace ancora, anche se ne conosci la storia e il finale.
Il suo allenatore, ormai lo chiamava così, non si era visto quel giorno e forse era partito per affari suoi e lui ne aveva approfittato per girellare un po' da solo.
Adesso che era arrivato in cima, si strinse la cinta dei calzoni che cominciavano a stargli lenti e decise di spingersi fino alla pineta.
I posti non cambiano l'odore e a tornarci si possono ritrovare i ricordi del tempo passato che sono rimasti ad aspettarci. E in mezzo agli alberi che disegnavano pezzi di cielo, fra l'erba e nel fischio del vento fra le cime, rivide due bambini che si rotolavano nel prato, ignari e indifferenti a vipere e ragni. Lui era magro e lei era bella. Ma nessuno dei due sarebbe rimasto così.
Lui adesso era quel grassone che faticava a mettere un passo dietro l'altro, anche se si illudeva di stare migliorando, lei era rimasta la stessa di quei pomeriggi d'estate, quando Vittorio pensava che da grande avrebbe sposato lei o nessun'altra. Ma adesso non era più quella ragazzina che parlava continuamente e che gli raccontava tutto di sé.
Adesso era taciturna, passava le giornate nel bar a servire vino scadente a persone scadenti e se diceva qualcosa era solo per lavoro.
“Se non le fai se le inventano, perciò da me non sapranno più niente.” Aveva detto un giorno, e lei era il tipo che manteneva le promesse.
Ed era questo che lasciava accesa una fiammella in Vittorio. Il fatto che un giorno, in quella estate a metà fra la fanciullezza e la vita vera, gli aveva promesso che l'avrebbe amato per sempre. E lei era una che le manteneva le promesse.
Sedette su un masso in mezzo agli alberi, che nessuno avrebbe mai saputo spiegare come fosse capitato fin là, lo stesso sul quale sedevano tutti e due tanti anni prima.
“Come ho fatto a diventare così?” Si chiese di nuovo, ma lo sapeva benissimo.
Un giorno mangi un dolce di troppo, il giorno dopo lo fai di nuovo, e si fa presto a prendere i chili quando chi comanda è la gola, perché ingrassare non capita d'improvviso, all'inizio allenti un po' la cinghia, poi ti accorgi che le giacche non ti entrano più, ma tanto sono fuori moda ed è la scusa per ricomprarle. E dopo indossi quasi sempre maglioni che non tirano da ogni parte come le camicie.
Maledisse quelli che lo conoscevano e non l'avevano avvisato in tempo. Ma come si fa a dire a uno
che è uno schifoso grassone? E alla fine glielo dissero solo per deriderlo.
Ma ormai era troppo tardi e più ingrassava più gli veniva fame.
Fu così che scoprì che la gola non è solo una parte del corpo, ma qualcosa che non va nella propria testa.
“Avrò perso a malapena dieci chili, non ce la farò mai a tornare come prima.” Disse parlando a voce alta ai pini, che non si interessavano affatto a lui e che già avevano i loro problemi con le processionarie.
Gli veniva da piangere, ma non l'avrebbe fatto mai perché ancora credeva che i veri uomini non dovrebbero piangere. Ma che altro rimane a chi non vede vie d'uscita?
Perché per dimagrire davvero nel corpo bisogna prima dimagrire nell'anima, e avere un motivo valido. E prese a piangere come quando era bambino, prima che tutti cominciassero a sfotterlo e chiamarlo femminuccia.
Singhiozzava forte e anche se qualcuno fosse arrivato non gli importava più.
E fu così che non si accorse che il suo motivo valido si era avvicinato, e adesso ferma fra l'erba lo guardava senza espressione, perché a volte qualunque cosa si faccia è quella sbagliata.
Se ne accorse solo quando lei spezzò un rametto che aveva raccolto.
“Oggi il bar è chiuso. Ho fatto una passeggiata.” Disse.
Vittorio si asciugò gli occhi con la manica.
“Anche io, avevo da pensare.”
“E l'hai fatto?” Lei si avvicinò.
Lui non rispose. La guardò. Stava in piedi, fra la luce e l'ombra e a parte che era un po' più alta, non era per niente diversa da quella che poco prima rotolava con lui nell'erba della sua memoria. L'unica differenza era che non rideva.
“Oggi sono da solo, quello lì non si è visto.” Disse lui.
“Lo so, e non lo vedrai più per molto tempo.”
“Perché?”
“Era un imbroglione, si fingeva medico, l'hanno preso ieri sera, c'ero solo io nel bar e ho visto mentre lo portavano via.”
Vittorio non rispose. Solo il vento faceva il suo rumore triste fra i rami dei pini.
“E adesso?” Disse poi.
“Adesso dovrai fare da solo, ma hai cominciato, mi pare.” Rispose lei.
Si avvicinò per sistemargli il colletto della camicia che lui portava sempre in disordine, poi, visto che c'era gli accarezzò i capelli e gli tirò un orecchio.
Lui si alzò e si girò verso di lei.
“Da domani non ti venderò più schifezze, dovrai andare a comprartele da un'altra parte se proprio le vuoi.” Disse la ragazza.
“E chi li vuole?” Rispose lui, poi si frugò nelle tasche piene di dolci e altre cibarie e lanciò nel prato tutto quello che trovò, comprese le chiavi di casa.
Allora lei lo abbracciò e lo strinse forte, in silenzio, perché le cose da dire erano troppe e non è vero che bisogna sempre dirsi tutto.
Nella tasca della gonna aveva ancora quello che rimaneva del suo libretto di risparmi ormai vuoto.
Aveva preteso parecchio quello lì per andarsene, ma tanto che te ne fai del denaro se è la sola cosa che hai?
Il vento smise per un istante di soffiare e gli uccelli di fare chiasso. Nel silenzio, si tenevano stretti e lei riusciva solo a pensare che le sue mani abbracciandolo potevano di nuovo toccarsi.
E finalmente, dopo tanto tempo, sorrise.
Francesco Pomponio