Numeri amicabili: due numeri interi si dicono amicabili se la somma dei divisori dell’uno (escluso il numero stesso) è uguale all’altro.
Numero perfetto: è un numero amicabile di se stesso, cioè è uguale alla somma dei suoi divisori escluso, ovviamente, il numero stesso. 6 è un numero perfetto, infatti i divisori di 6 sono 1, 2, 3 e 1+2+3=6.
Numero palindromo: è un numero che letto da sinistra a destra e da destra a sinistra ha lo stesso valore.
Era poco più che un bambino quando fu assunto in una piccola officina, di quelle che a Torino sono chiamate “boite”, con la mansione di tuttofare. Trascorreva la giornata sempre di corsa, chiamato ora dall’uno ora dall’altro dei dipendenti: li sostituiva quando dovevano assentarsi per qualche minuto, procurava loro i pezzi che servivano e si offriva di far pulizia e manutenzione alle macchine, lavorava di ramazza per raccogliere i trucioli di ferro che cadevano a terra durante la lavorazione. Alla fine della giornata, uscito dalla boita, mangiava velocemente un panino mentre si recava alla scuola serale, dove frequentava un corso di ragioneria. Gli piaceva studiare e i numeri erano la sua segreta passione, perciò si sacrificava volentieri.
Ottenuto il diploma fu assunto come contabile presso quell’officina e, da allora, la sua esistenza iniziò a scorrere felicemente sempre uguale. Nessuna compagnia, se non quella dei numeri: gli davano lavoro, gli riempivano la vita, gli garantivano l’ordine e la precisione di cui, proprio, non poteva fare a meno. I numeri, poi, avevano la capacità di stupirlo per certe regolarità e certi legami che sapevano di strabiliante: non poteva certo essere un caso il fatto che lui abitasse al 220 e l’officina avesse come numero civico il 284, due numeri amicabili, niente meno! Coppie di numeri non facili da trovare.
Quando andava a fare delle passeggiate si divertiva a cercare delle relazioni tra il numero delle finestre o dei balconi o di altro ancora di case vicine o dirimpettaie. E, con sua grande soddisfazione, ci riusciva spesso.
Quel mercoledì mattina, come faceva da sessant’anni a questa parte, si alzò, si preparò, bevve il caffè e coprì con 361 passi la distanza che lo separava dalla fermata del 19. La combinazione per cui il numero dei passi (contati, controllati e ricontrollati) fosse il quadrato del numero del tram lo rallegrava intimamente. Scese alla solita fermata e si ritrovò nel piccolo bugigattolo che da sempre considerava il suo ufficio e che, nonostante avessero da anni costruito nuovi locali per gli impiegati, non aveva mai voluto lasciare. Era una specie di sgabuzzino cui si accedeva tramite una piccola porta, direttamente dall’officina. Con un rito consolidato s’infilò le mezze maniche nere, si sedette alla scrivania e si accese la prima delle sei sigarette che si concedeva. Ne avrebbe aspirato sei boccate. Era convinto che essendo il sei un numero perfetto quel suo unico vizio non poteva certo recargli del danno.
Aprì il libro contabile e guardò con soddisfazione quelle lunghe file di numeri scritti in bella grafia, senza neppure una cancellatura. Ne sfogliò alcune pagine facendo scorrere la mano sui fogli, quasi per toccarli. Quel giorno, però, si sentiva strano e affaticato, più del solito. Forse sarebbe dovuto andare in pensione come più volte gli avevano suggerito i figli del vecchio padrone. Corrugò la fronte a quel pensiero: ormai era vecchio e non essendo stupido aveva capito che il suo lavoro non era indispensabile. Pensò agli uffici nuovi del piano di superiore, pieni di computer, macchine da scrivere e stampanti: sapeva che era solo per riconoscenza verso la sua fedeltà, mai venuta meno anche quando gli affari andavano male e i soldi scarseggiavano, che gli permettevano di continuare a lavorare. Si riscosse da quei pensieri e aggiornò il datario che teneva sulla scrivania: 20 02 2002. Rimase a fissare la successione di cifre, affascinato da quel numero palindromo che gli era comparso davanti, come per incanto.
“Se dovessi scegliere un giorno per morire” pensò, mettendosi a lavorare, “questo mi piacerebbe proprio”. E, nel pensarlo, sorrise.
L’idea della morte non lo spaventava, anzi, ormai, soventemente ricorreva nei suoi pensieri. Si riteneva un uomo fortunato, fino a quel momento: aveva avuto dalla vita tutto quello che desiderava e aveva ancora la possibilità di fare quello che più amava. Ma era stanco e un po’ temeva il futuro.
Lo trovarono quella sera stessa alcuni operai del secondo turno, insospettiti dalla luce ancora accesa proveniente dall’ufficio del ragioniere. Aveva la testa reclinata sul libro aperto dei conti e, sul volto, un’espressione serena. Anche in quell’occasione i suoi numeri l’avevano accontentato.
Racconto tratto da “Attrazioni e distrazioni” di Cesarina Bo pubblicato da ExCogita, 2004