In quell’ufficio, che pareva un museo per via di alcune vecchissime bilance chiuse in polverose teche di vetro, Enzo guardava preoccupato la collega addetta allo sportello. Già da diverso tempo la stava osservando e cercava di carpire, non visto, stralci di conversazione tra lei, Elena, e la sua amica Luisa che lavorava nell’ufficio accanto, quello dei Metalli preziosi. Da qualche mese Elena appariva triste e preoccupata, e pure smagrita.
Nonostante fossero colleghi da quattordici anni non erano mai andati al di là di discorsi legati a questioni lavorative forse per via del fatto che Enzo era il capoufficio, forse perché timido, o forse per quel suo essere così pignolo e preciso, tanto da apparire arido. Un sacco di ipotesi, ma nessuna certezza se non quella che Enzo era veramente affezionato ad Elena e, modo suo, anche innamorato.
Non era mai stato il tipo da fare la corte ad una donna, figurarsi, poi, ad una donna sposata! Si era sempre sentito a disagio con il sesso opposto sin da ragazzo e ora, con il passare degli anni, la situazione non era migliorata. Talvolta –quando era giovane- aveva cercato di immaginare delle possibili conversazioni con una “lei” senza però riuscire a concepire una frase che ritenesse soddisfacente e che non gli suonasse terribilmente ridicola. Da quegli ingenui esperimenti aveva concluso che non sapeva esprimersi con parole dolci e romantiche, né sapeva pronunciare lunghi discorsi: così, alla fine, aveva deciso di tacere lasciando che la timidezza e l’insicurezza verso le donne prendessero il sopravvento, indirizzandolo verso una vita solitaria.
D’altra parte Enzo amava la precisione e l’ordine e si trovava perfettamente a suo agio tra gli strumenti, le unità di misura, le tare, le rettifiche e aveva volentieri dedicato tutto il suo tempo al lavoro. Così, alla fine, era rimasto solo: aveva accettato il suo destino, riuscendo persino a scherzare tra sé e sé, come quando immaginava un suo possibile complimento rivolto ad una donna: “Cara, lo sai che sei proprio bella? Le tue misure sono perfette, così come potrei stabilire -con un piccolissimo margine d’errore- usando questo metro a nastro. È un gioiello di precisione! L’ho confrontato personalmente con il metro campione che abbiamo depositato in ufficio ed è precisissimo!” Poi, sorrideva amaramente a quelle sue fantasie.
Elena, però, era un discorso a parte: Enzo l’aveva scelta come compagna immaginaria della sua vita. In fondo trascorrevano insieme otto ore al giorno, per cinque giorni alla settimana, per almeno quarantanove settimane all’anno e questo da quattordici anni e non gli sembrava poca cosa. Si rispettavano e non avevano mai avuto un diverbio o, anche solo, un battibecco. Era pur vero che parlavano quasi esclusivamente di lavoro, ma ad Enzo questo non importava: lui era felice nell’averla accanto e nel vederla serena. Per il resto ci pensava la sua immaginazione.
Ultimamente, però, Elena era cambiata, all’inizio quasi impercettibilmente, poi in modo sempre più evidente. Enzo n’era rimasto turbato ed aveva capito, da certi discorsi sentiti tra Elena e Luisa, che doveva avere problemi con suo marito. Aveva colto alcune frasi: “credo che mi tradisca”, “non sono più bella come quando ci siamo sposati”, “non mi guarda più” e altre affermazioni dello stesso tenore. Ma anche senza sentire quelle frasi la crisi di Elena era evidente ai suoi occhi per l’espressione triste, per una certa trascuratezza nel vestire, per l’apatia con cui affrontava le giornate lavorative, quasi avesse deciso di sopravvivere e non di vivere.
Ci aveva pensato su a lungo, cercando di farsi venire qualche idea. Aveva subito scartato la possibilità di parlarle direttamente: a parte il fatto che la sola idea lo spaventava, poi non era sicuro di essere in quel modo utile.
Stava rimuginando sulla questione durante la sua pausa pranzo mentre passeggiava per le strade limitrofe all’ufficio. Fu attratto da una libreria: pensò –fu una sorta di lampo- che in quel mondo di parole forse avrebbe trovato quelle giuste per la sua Elena. Decise, così, di entrare. Subito una commessa gli andò incontro e gli chiese se poteva essere d’aiuto.
“No, no...do solo un’occhiata in giro, se posso”, rispose imbarazzato.
Quei libri contenevano milioni di parole: tra tutte avrebbe trovato quelle che facevano al caso suo. Si diresse verso il reparto romanzi e rimase per un po’ fermo a guardare tutte quelle copertine lucide ed attraenti. Prese in mano un libro, uno a caso, e iniziò a sfogliarlo leggendo qualche frase qua e là. Lo posò e ne prese un altro, poi un altro ancora. L’ora di pausa trascorse velocemente. Enzo uscì soddisfatto con una bella frase mandata a memoria: gli sembrava scritta proprio per Elena. Prese un foglietto dal block notes che si portava sempre dietro e la trascrisse in stampatello, in chiari e ordinati caratteri:
L'uomo non può mai smettere di sognare. Il sogno è il nutrimento dell'anima, come il cibo è quello del corpo. Molte volte, nel corso dell'esistenza, vediamo che i nostri sogni svaniscono e che i nostri desideri vengono frustrati, tuttavia è necessario continuare a sognare, altrimenti la nostra anima muore... (1)
Nel ritornare in ufficio passò di fianco all’auto parcheggiata della donna e, senza stare a rifletterci, mise il foglietto piegato a metà sotto il tergicristallo, poi rientrò al lavoro. Fu, per Enzo, un pomeriggio molto strano: commise persino alcuni errori, cosa davvero insolita per lui, mentre continuava a chiedersi se avesse fatto bene a lasciare quel biglietto. Fu assalito dal dubbio che la sua azione potesse servire a qualcosa e gli balenò pure alla mente la possibilità che potesse nuocere anziché aiutare. Poi, guardando le spalle chine di Elena e il suo volto pensoso, decise che avrebbe proseguito ugualmente per un po’ di giorni: peggio di così non sarebbe potuto andare.
Il giorno successivo, non appena furono le tredici, salutò frettolosamente i colleghi e si precipitò in libreria. Si diresse verso la sezione poeti ed iniziò a sfogliare i libri. Di tanto in tanto consultava l’orologio e lanciava sguardi alla commessa, ricevendone in cambio delle occhiate sospettose e poco amichevoli.
“Non ha trovato nulla di suo gradimento, signore?”
“Sono ancora indeciso, signorina. Prima di comprare mi piace essere ben certo della scelta fatta”, disse uscendo dalla libreria dopo un’ora di frenetiche consultazioni.
Appena fuori prese il block notes e scrisse un verso che gli era particolarmente piaciuto:
Alle zolle gelate sempre ritorna la legge invisibile della primavera, con l'erba, i fiori e i frutti estivi e il grano. (2)
Di nuovo mise il biglietto ripiegato sotto il tergicristallo e rientrò in ufficio.
Nei giorni successivi Enzo continuò a rubare (così aveva definito il suo comportamento) le frasi in libreria: ormai la commessa manco più gli chiedeva se aveva trovato qualcosa di suo gradimento o se desiderava consigli per l’acquisto. Si limitava a guardarlo con aria di rimprovero, scuoteva la testa e lo teneva d’occhio. Un giorno borbottò: “Per le consultazioni esistono le biblioteche”, ma Enzo si guardò bene dal ribattere. Iniziava a vedere qualche risultato e non intendeva certo rinunciarci per via di una commessa insofferente.
Da qualche giorno, infatti, Elena sembrava più allegra: Enzo aveva notato che quando si stava per avvicinare l’ora di chiusura sembrava impaziente di uscire. Inoltre era tornata ad essere più sorridente e disponibile.
Ripensò all’ultima frase lasciata, la più bella a suo avviso. L’aveva trovata per caso, dopo una ricerca infruttuosa, quando ormai temeva di non trovare nulla di adatto:
Immagino che sia proprio così la vita. Una lunga catena di attimi. E immagino che tutto ciò che si può fare è cercare di viverli uno per uno, senza star troppo a pensare a quelli appena trascorsi o che stanno per arrivare (3)
Sperò che Elena la facesse sua e che smettesse di macerarsi troppo dentro.
Quello era l’ultimo giorno di lavoro, poi l’ufficio sarebbe rimasto chiuso una settimana in occasione delle feste di Natale.
Enzo guardò l’alberello addobbato in modo approssimativo con un filo d’argento mezzo spelacchiato e con alcune palline di varia provenienza, scartate perché vecchie ed opache. Nell’ufficio adiacente i colleghi stavano festeggiando con un panettone ed una bottiglia di spumante; ad un certo punto sentì la risata di Elena e sorrise dentro di sé.
“Enzo, non vieni a mangiare una fetta di panettone con noi?”, gli chiese Elena affacciandosi alla porta dell’ufficio.
Si alzò e raggiunse i colleghi in tempo per il brindisi e lo scambio di auguri. Rimase a guardarli ad andar via, alla spicciolata, felici e frettolosi, come i ragazzini alla fine della scuola.
L’ultima ad andarsene fu proprio Elena. Prima di uscire gli si avvicinò. Enzo stava tendendo la mano per farle gli auguri quando, all’improvviso, la donna si sollevò in punta dei piedi e posò per un attimo le proprie labbra sulle sue; poi sussurrò “Grazie”, si voltò e uscì quasi di corsa.
Enzo spense le luci, chiuse a chiave la porta e, lentamente, scese le scale. Si diresse verso la libreria e si soffermò davanti alla vetrina illuminata. Aveva visto un libro, un volume di ottocentoquindici pagine, che lo aveva attirato parecchio e pensò che, ora, poteva farsi un regalo di Natale.
Entrò, si recò con passo deciso verso lo scaffale dove l’aveva visto e lo prese senza il minimo indugio. Poi si avvicinò alla cassa e lo diede alla sbalordita commessa:
“Ecco! Cercavo proprio questo!Finalmente l’ho trovato…”
La signorina incartò “Strumenti e Metodi di Misura” di Doebelin e mentre gli augurava buon Natale pensò che quel tipo non doveva essere del tutto a posto.
(1) Il cammino di Santiago di P. Coelho(2) Continuità di W. Whitman(3) L’uomo che sussurrava ai cavalli di N. Evans