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VERSO UNA LINGUISTICA ATTIVA

VERSO UNA LINGUISTICA ATTIVA[1]

0. Introduzione

Cominciamo l’articolo con l’affermazione che occorre un pensiero differente da quello comune per pensare ciò che intendiamo interrogare in questa sede; e con il riconoscimento delle essenziali difficoltà ad esso connesse. Il modo di pensare comune e dominante è passivo e spazializzante; quello che noi cerchiamo è un modo di pensare differente, che sia attivo e temporalizzante (i nostri moventi dovrebbero risultare chiari nel corso dell’articolo). Intendiamo delineare una svolta nella direzione del pensiero, un movimento dal pensiero “orizzontale” verso un pensiero “verticale” o “trans-spaziale”[2]. Il nostro punto di appoggio sarà il concetto di differenza.

Partiremo dall’idea che l’essenza della realtà sia il differenziarsi che è un’attualizzazione. Distinguiamo qui tre momenti del nostro domandare: (1) differenziazione in senso ampio che comprende tre aspetti: presente, passato e futuro – si vedano le sezioni 3, 4 e 5; (2) differenziazione in senso stretto che comprende l’aspetto futuro come senso intimo della differenziazione – si veda la sezione 5; e (3) ente che si è fatto adeguato alla differenziazione in senso stretto – si veda la sezione 10. Affermiamo che il terzo momento passa attraverso il rapporto linguistico[3] e per vederlo più chiaramente proponiamo un’analisi della nascita del rapporto linguistico che riconduciamo al rapporto strumentale.

Sosterremo allora che il rapporto linguistico rende possibili, parlando in modo generale, due evoluzioni alternative: l’una secondo la quale l’ente linguistico (“uomo”) sarà superato da un altro ente, e l’altra secondo la quale si farà tutt’uno con il differenziarsi universale. Le chiameremo rispettivamente linguistica passiva e attiva. Interrogare la linguistica attiva significa domandare : come dispiegare al massimo la potenza del rapporto linguistico? Proporremo varie indicazioni su come sia possibile farlo e menzioneremo doppie dita e doppia negazione (sezione 8) – dove in un certo attimo (Augenblick) vengono abbandonati le dita e i “no” –, e la morte e l’amore – dove in un certo attimo l’essere-per-la-morte si abbandona nell’amore. L’amante è colui/lei [M1]che incarna il terzo [M2]momento (adeguatezza alla differenziazione; sezione 10). Alla fine ritorniamo all’inizio e diciamo che l’amante è un “rompiscatole” per tutto ciò che è passivo: rompe tutte le fissazioni (le “scatole”), proprio come il differenziarsi in senso stretto (tutti gli enti da lui generati sono temporanei).

1. Pensiero comune e pensiero differente

Il pensiero comune parte dalla stasi che è rappresentata dal “corpo”. Il corpo è immobile, delimitato e identico a sé. Il corpo è sostanza e il movimento gli sopravviene come un accidente. Questo è il nostro modo quotidiano di interagire con il mondo, dove per facilità, velocità ed efficienza dell’azione presupponiamo la permanenza (oppure il mutamento omogeneo) delle “cose” che in principio sono identiche a sé. A scopi pratici facciamo una netta distinzione fra cose statiche e movimenti o mutamenti che gli sopravvengono. E, più precisamente, rappresentiamo le cose secondo il modello dei solidi (Bergson 1959: 489, 611-635) – perché i solidi più prontamente si prestano alla nostra attività. È molto più facile manipolare una pietra che non l’acqua oppure un gas, o ancora “un temporale”. I nostri strumenti di lavoro sono tipicamente dei solidi[4]. Come vedremo in seguito (sezione 6), questo modo di pensare esprime il mondo chiuso di un certo ente, dell’ente linguistico.

Tuttavia sarebbe sbagliato trasferire questo modo di pensare dell’agire pratico nella sfera della speculazione. L’agire pratico riguarda una certa parte del mondo ed è per questo relativo. Il suo unico giudice è l’efficienza, e non ci si deve preoccupare della sua relatività o universalità. Ma la speculazione riguarda il Mondo intero e l’efficienza non è un criterio sufficiente. Se cadono le esigenze dell’azione, tutto cambia. Come ha dimostrato Bergson (1959: 332-337), è a causa dei bisogni dell’azione che vengono creati dei “corpi”, cioè delle entità con dei limiti precisi tagliate fuori dalla continuità dell’universo. L’universo è continuo, ma per agire un ente deve necessariamente stabilire delle discontinuità: cominciando dal proprio corpo, e proseguendo con la delimitazione degli altri corpi. Queste delimitazioni rappresentano la dualità dei bisogni e degli oggetti di quei bisogni. La speculazione invece non parte più dai corpi, ma dai movimenti dai ritmi diversi; non dallo spazio, ma dal tempo, perché solo il tempo sopporta il peso dell’universalizzazione, come subito vediamo.

2. Differenza

Tutto trae origine dalla Differenza. All’inizio sembra dunque che la differenza sia tra certe cose. Nella prassi quotidiana prendiamo (almeno) due cose e le compariamo, per vedere se sono differenti o se sono simili. Si parte dall’identità (le cose/gli enti come qualcosa di identico e di pre‑dato) e se ne deriva la differenza che non è che un certo grado di similitudine, una similitudine piccola. Ma se non abbandoniamo subito la Differenza per l’identità e restiamo fedeli alla Differenza stessa[5], allora tutto cambia. Perché la pura Differenza implica anche la differenza di se stessa. Per rimanere una differenza che è differente di se stessa deve differenziarsi continuamente. La concezione spaziale della Differenza si trasforma qui in una concezione temporale: la Differenza è un differenziarsi. La Differenza differenziante è l’Essere stesso. L’Essere o la Differenza non è già tra gli enti, ma gli enti sono dei prodotti del differenziarsi universale. Qui non si parte più dagli enti, ma dall’essere, a partire da cui tutti gli enti sono creati: la differenza “interiore”[6] di ogni ente è responsabile della sua creazione, persistenza e morte.

La differenza non è dunque un concetto spaziale, ma temporale, una differenziazione. Questo significa che la Differenza, differenziandosi da se stessa, è sempre “avanti se stessa”. Qui vediamo una struttura tripla con tre aspetti: (1) ciò che viene così gettato nel futuro; (2) ciò sulla base di cui si effettua il gettare; (3) la loro articolazione che garantisce contemporaneamente (a) che il gettato si stacca dalla sua base e (b) che la base non abbandona mai quanto viene gettato a partire da essa.[7] L’articolazione è il nesso grazie alla quale i primi due aspetti si appartengono, in un gioco di “via” e “verso” l’un l’altro[8]. C’è una differenziazione in senso ampio, che comprende sia ciò che si differenzia che il fondamento di questo differenziarsi. Poi c’è una differenziazione in senso stretto che articola ciò che si differenzia e il suo fondamento. Quest’ultimo aspetto è il senso proprio di tutta la differenziazione. Nel caso dell’evoluzione parliamo così di tre aspetti : (1) corpo attuale presente; (2) memoria virtuale o “forma” ideale e atemporale che un ente cerca di esprimere o di “incorporare”; (3) formazione, creazione delle forme, attualizzazione della forma virtuale. Queste dimensioni sono rispettivamente quelle del presente, del passato e del futuro (v. sezioni 3, 4 e 5).[9]

L’evoluzione biologica (che è estendibile sia all’indietro verso i rapporti fisici e chimici, quando il rapporto sensibile non esisteva ancora, che in avanti, verso il rapporto linguistico e oltre[10]) è un buon esempio del processo di differenziazione. L’origine dell’evoluzione è il differenziarsi in senso stretto, un puro differenziarsi rispetto a se stesso (terzo aspetto). In questo processo viene creato ogni ente con il suo corpo (primo aspetto, che si slancia avanti, come la lama del coltello) e la rispettiva memoria (secondo aspetto, sulla base di cui si attua lo slancio, come la parte non tagliente del coltello che rende possibile la parte tagliente – infatti, la parte tagliente non ne è che la parte più stretta). Con l’evoluzione i corpi diventano sempre più “stratificati” (vediamo subito in che senso) e la memoria sempre più potente. In seguito (sezioni 3-5) parleremo di questi tre aspetti (presente, passato, futuro) che insieme costituiscono il primo momento e dei quali il futuro prende su di sé il peso degli altri e costituisce il secondo momento.

3. Presente, corpo

Il corpo consiste di una serie di contrazioni di vari livelli: ogni cellula contrae delle sostanze chimiche, ogni sostanza chimica a sua volta contrae delle sostanze fisiche, e così via. Ogni corpo consiste almeno di due livelli: un livello contraente, che fa la contrazione, e un livello contratto. Il livello contraente superiore di ogni ente lo chiamiamo forza direttiva. La forza direttiva si sottopone una moltitudine di forze del livello più basso. La forza direttiva contrae degli eventi più piccoli, li confonde in uno. Questo stato di cose ha varie conseguenze. La forza direttiva stabilisce un piano a velocità più bassa. Accoglie su di sé, su una “superficie” indivisa, una molteplicità di movimenti più veloci. Contrae movimenti indiscreti del livello inferiore in movimenti discreti e indivisibili[11] sul livello superiore. Ogni momento[12] sul piano contraente ha in uno sguardo d’insieme una grande moltitudine di momenti del piano contratto. Così il piano contraente è più lento, e questa lentezza gli permette una certa libertà nei riguardi dei singoli avvenimenti del piano inferiore[M3], perché non è determinato da un tale avvenimento, ma da un gruppo o fascio di essi. Questo fascio forma un insieme ed avrà delle qualità del tutto diverse dai singoli avvenimenti (come le oscillazioni delle onde di luce e la percezione della luce; come il bisogno di determinate sostanze nelle cellule e il sentimento di sete o di fame dell’organismo). Ogni corpo è in questo senso “fascista[M4]”.

Siamo di fronte a una causalità doppia: secondo una causalità “materialista” sono le forze contratte a produrre la forza direttiva che senza di loro non è niente; secondo una causalità “idealista” è la forza contraente a creare la dimesione propria del corpo che non si può dedurre meccanicamente dalle sue cause materiali. Possiamo distunguerle e chiamarle rispettivamente causa e ragione. Così per esempio il rapporto chimico si opera in una dimensione nuova rispetto al rapporto fisico: l’importante non è più la costituzione fisica degli atomi, ma la loro configurazione spaziale. La configurazione spaziale o “spazializzante”[13] fa la differenza tra grafito e diamante. Il rapporto chimico si opera dunque in una dimensione nuova che non è in contradizione con quella vecchia (rapporto fisico), ma che non è adeguatamente determinabile a partire da questa dimensione “contratta”; anzi, ne dà ragione. Questo cenno era necessario per indicare che il contraente e il contratto sono due aspetti dello stesso fenomeno. Si può dire che il contraente si sottopone il contratto, ma altrettanto giustificatamante si può dire che il contraente esprime la volontà del contratto di essere superato, di formare un corpo più complicato.

Il piano contraente può essere a sua volta contratto da un nuovo piano contraente e così via. Ogni forza superiore determina le forze inferiori a funzionare in una nuova configurazione, privandole di una parte della loro libertà. Con questa stratificazione o complicazione i corpi diventano sempre più “rigidi” e lenti; ogni piano superiore si allontana un passo dalla plasticità e velocità del piano inferiore[14]. Ma, mentre la libertà “materiale” diminuisce sempre di più, la libertà “ideale” o “spirituale” cresce, nel senso che si allarga la portata dello sguardo contraente. Un ente più complicato si figura come un punto di vista superiore e il suo sguardo si stende più lontano. Ciò significa che il dominio delle sue contrazioni si espande, l’estensione delle sue azioni virtuali cresce. Cresce la sua potenza d’azione.

Ma quale è la ragione di questa stratificazione, di questa complicazione? Nei soli termini del corpo in quanto sistema di contrazioni non è possibile dare una risposta. Un sistema di contrazioni funziona nella sola modalità del presente. Ci sono degli eventi contratti che sono “ricordati” e ci sono delle richieste o pretese rivolte verso il futuro, ma si tratta sempre di un ricordo e di una pretesa attuali; nel presente. Ma la descrizione della stratificazione evoluttiva dei corpi o anche del perdurare di un corpo non è possibile nei termini dell’attuale, perché l’evoluzione e il perdurare sono un’attualizzazione. Il presente non è sospeso nell’aria, come anche non c’è coltello con il solo margine tagliente. La descrizione dei corpi come un sistema già pronto di contrazioni è del tutto astratto e insoddisfacente. Il problema è come si formano questi sistemi. Questa formazione ha sempre una base.

4. Passato, memoria

Questa base, che garantisce l’attualizzazione dell’attuale, è la memoria virtuale. È grazie alla memoria che ogni momento si prolunga nel prossimo. Oltre al momento nuovo che viene, si deve ricordare il momento passato. La memoria garantisce il loro contatto : altrimenti ci sarebbero solamente dei momenti gli uni accanto agli altri senza che nessuno possa avere notizia dell’altro. Allora il tempo non potrebbe sorgere, perché si scioglierebbe in polvere nel momento stesso in cui vorrebbe nascere. La memoria raccoglie insieme la “polvere” e rende possibile il tempo, il passare. Nel caso dei corpi come delle contrazioni nella modalità del presente, ogni momento è una ritenzione degli eventi contratti e una protenzione verso quelli che abitualmente gli seguono. Ma adesso, nel caso della memoria, si tratta di una contrazione di quei momenti stessi. Perché ci sia un seguire dei momenti, perché ci sia in generale un momento “seguente” bisogna che sia ricordato il momento precedente. Questo ricordare si fa nella dimensione della memoria o del “passato puro”. “Puro” nel senso che si tratta di una dimensione ontologica; è un passato che non è stato mai presente. Il passato puro non è il momento attuale, né quello passato, ma è “tra” di loro come una dimensione pura che rende possibile il loro contatto e la loro differenza. Il passato puro garantisce la continuità del tempo; dà ragione del presente e del suo passare.

Dunque, ciò che è non è limitato soltanto a ciò che è attuale; l’essere non è sinonimo con l’essere attuale. Ogni corpo attuale si basa su una memoria virtuale. Questa memoria garantisce che insieme con la presenza attuale si trovino le presenze passate. Ogni momento trascina nella sua scia tutti i momenti passati, o meglio, diventa possibile sulla loro base, come il margine tagliente del coltello esiste grazie a tutta la lama che è dietro di lui. Il tempo (il durare, il passare) è continuo, il che significa che la memoria conserva momenti precedenti – non soltanto il momento immediatamente precedente e non soltanto taluni momenti, ma tutti i momenti. Tutto il passato è contemporaneo al presente. Il presente è allora soltanto la forma più contratta del passato, il margine più affilato del coltello. Il piano più disteso del passato comprende tutti gli avvenimenti di un ente, che al limite è il passato dell’intero universo. Tra queste due estremità della contrazione del passato, tra il piano più contratto e il piano più disteso, si trovano tutti i gradi di contrazione del passato. Bergson rappresenta lo schema della memoria con un cono che sta in piedi sul vertice (cioè, il presente; Bergson 1959: 293, 302).

Ogni corpo ha un “cono” di memoria che gli spetta. Ma ogni corpo è allo stesso tempo una parte dell’universo come intero. Oltre al cono della memoria di un particolare ente c’è il cono cosmico che comprende tutta la storia dell’universo. Vuol dire che il piano più ampio del passato (il passato puro) è comune a tutti gli esseri; è la base del cono della Memoria cosmica che garantisce l’unità del tempo di un cosmo. La memoria di ogni corpo[15] è costruita sul passato puro; i corpi sono ontologicamente in comunione tramite questa dimensione del passato puro.

In termini biologici possiamo dire che la cellula (o un organismo) rappresenta il primo aspetto (il presente) ed il DNA, il codice genetico rappresenta il secondo aspetto (il passato, l’eredità). Nei geni di un organismo è “contenuta” la forma ideale dell’organismo. Questa forma virtuale dirige lo sviluppo dell’embrione, è come se l’embrione tendesse verso quella forma. Ma questo è un punto molto importante: il DNA stesso non fa niente, rappresenta una struttura inerte. Per costruire un organismo si ha bisogno di tutto un apparato di “traduzione” o interpretazione di questo codice. Con la scoperta dei geni ha cominciato a diffondersi una nuova forma di determinismo o meccanicismo. Si vuole scoprire un gene dietro tutte le manifestazioni dell’organismo. Ci sarebbe un gene della criminalità, un gene della bontà ecc. Oltre al fatto che questa concezione è pericolosa eticamente (non sono responsabile io, ma i miei geni), non è corretta anche teoricamente. La si può attaccare in vari e migliori modi, ma indichiamo qui solo il fatto che così si dimentica il ruolo dell’organismo presente : i geni sono usati per esso e in vista di esso. I geni non sono un’istanza trascendente che ci determina, sono soltanto la nostra causa (nel senso precisato sopra).[16] I geni sono una struttura virtuale, che però viene usata nell’attualità; questa struttura ha senso solo nell’attualizzazione. Qui ci imbattiamo di nuovo in un’insufficienza. Il passato puro o la memoria virtuale in se stessa non può spiegare l’evoluzione, l’attualizzazione.

Con la stratificazione del corpo, il vertice del cono diventa sempre più appuntito, il margine tagliente del coltello sempre più affilato. Questo implica una stratificazione anche nella memoria. La potenza d’azione dell’ente cresce, ma questo significa anche che deve essere diretta più precisamente.[17] Per questo si fa una scelta nella memoria, la maggior parte della quale viene soppressa, in vista della facilità e precisione nell’uso della parte rimasta. La parte usata della memoria la chiamiamo il conscio e la parte soppressa l’inconscio. L’inconscio psicoanalitico sarebbe allora soltanto un particolare caso dell’inconscio (vale a dire, quello che caraterizza l’ente linguistico). Una pietra ha quasi tutta la memoria cosmica a sua disposizione, ma non sa che cosa farsene. Un ente vivente ha una memoria molto più ristretta, ma in compenso la usa molto più intensamente. La “storia personale” è quello che fa dell’ente vivente un tutto autonomo e rende possibile l’apprendimento. E, infine, l’ente linguistico ha limitato la sua memoria ancora di più, ma in compenso usa il resto ancora più intensamente, essendo capace di ricordare a volontà gli avvenimenti passati. Ma di nuovo : la memoria virtuale in se stessa non è sufficiente per spiegare la stratificazione del suo uso.

5. Futuro, spirito

Il presente, che viene sempre lanciato verso il futuro (un momento passa e ne viene un altro), ha bisogno di una base per questo lancio. Questa base gli è fornita dal passato puro che tiene insieme il tempo. Ma questo passato è una virtualità pura ed è completamente sterile, non fa niente. Si ha bisogno di un terzo aspetto, quello più importante, che è il lanciare o saltare stesso. Questo è l’aspetto dell’attualizzazione creativa, punto di squilibrio fondamentale – l’attimo (su questa nozione torneremo nella sezione 9).

Le teorie secondo le quali lo scopo o la fine dell’evoluzione sarebbe uno stato di equilibrio (la “legge” della crescita universale dell’entropia) si basano sugli stati attuali e scartano l’attualizzazione (perché non hanno il concetto della virtualità), si svolgono nello spazio ed eliminano il tempo reale. L’entropia si misura con la temperatura, cioè nei termini del rapporto fisico-chimico, e si riducono tutti i rapporti superiori (sensibile, linguistico) a questo livello più basso. Ma un livello superiore non è determinabile adeguatamente a partire dal livello inferiore; o meglio, si può spiegare così la causa, ma non la ragione dell’ente – la ragione della sua forza direttiva e formatrice. L’ente superiore crea un ordine di tipo superiore e che cosa abbiamo guadagnato se lo misuriamo nei termini dell’ordine di livello inferiore? Soltanto il fatto di infilare una filosofia nichilista nella scienza. Si scarta una parte dell’universo (rapporti superiori a quelli fisico-chimici) e si vuole costruire una teoria universale! Tutt’al più si può affermare che l’entropia fisico-chimica cresce, lasciando fuori altri tipi di ordine[18].

Con la nozione della virtualità, del passato puro, vediamo che quello stato di equilibrio non è possibile[19] e che l’evoluzione o l’essere in generale è caratterizzato invece da uno squilibrio fondamentale. La memoria cosmica (che garantisce la continuità del tempo) deve crescere, il corpo deve essere gettato nel futuro. Questo significa l’autosuperamento e l’autopoiesi dell’universo. In questo processo di vera creazione vediamo la realtà e l’effettività del tempo (del durare o divenire) e l’evoluzione biologica ne è una bella manifestazione. Vi si manifesta la potenza della virtualità: attualizzare ciò che è virtuale, sviluppare ciò che è inviluppato.[20]

Se il corpo è attualità e la memoria è virtualità, lo spirito è attualizzazione, la messa in atto della virtualità, l’incarnazione della memoria. Se guardiamo le cose da vicino, allora potremmo dire che ciò che abbiamo prima chiamato il presente è in realtà passato immedato: il presente del piano superiore risulta da una serie di eventi passati che sono stati contratti insieme. Questo presente è sempre un po’ in ritardo in confronto agli eventi. E il Presente vero e proprio, nel senso assoluto (e non soltanto dal punto di vista di un piano direttivo), è quello che abbiamo nominato (nella sezione 2) il futuro. Il Presente è il punto “futurista” del differenziarsi in senso stretto.

A questo punto possiamo dire che il passato puro non esiste. La virtualità stessa non esiste; la virtualità non è altro che l’attualizzazione stessa. O meglio, la forma ideale-virtuale (p. es. di un animale) viene in ogni momento interpretata e creata di nuovo, nella vita concreta. La forma incarnata nel corpo si trasforma incessamente. Se l’abbiamo presentata come una forma immutevole, si trattava di una semplificazione, un’astrazione. Il concetto del passato puro è necessario speculativamente, per fare la distinzione tra l’attuale e l’attualizzazione. In realtà si tratta di una differenza dentro il presente (il passato immediato e il passato puro ad esso contemporaneo), e il Presente “vero e proprio” è questa differenza stessa, questo differenziarsi del presente (passato immediato) e del passato puro. Il Presente è un presente raddoppiato (ma per chiarezza di esposizione useremo in seguito di nuovo le nozioni di presente, passato e futuro per i tre aspetti).

Possiamo andare oltre e affermare che non ci è dato neppure il terzo aspetto, cioè la differenziazione futurista in sé stessa. Ci è dato soltanto il terzo momento – quello dell’ente che si apre a questa differenziazione e che chiameremo l’amante (si veda la sezione 10).

6. Sfere di attività locale, passività generale (“scatole”)

Come abbiamo parlato finora, un ente è un “cono” di memoria e la sua coscienza è concentrata nel vertice (il presente). Alla stratificazione (differenziazione) della memoria corrisponde la stratificazione del corpo, alla potenza di memoria la potenza d’azione. Le richieste dell’ambiente sono determinanti per ogni ente. La selezione naturale è il “principio di realtà” nell’evoluzione. Il suo correlativo “soggettivo” nell’ente è quello che Bergson chiama l’ “attenzione alla vita” (dove “vita” deve essere intesa nel senso di “azione presente”).

Il principio di realtà è che viene eliminato o emarginato ogni ente che non è in grado di funzionare nella cornice del suo ambiente. Tanto più semplice l’ente è, tanto più è adeguato all’ambiente. Con la complessità cresce anche la possibilità di fallimento dell’ente. Ciò vale anche per l’uomo nel cui caso abbiamo tanti criteri diversi di “adeguatezza”, cosicché tante persone sono, se non eliminate fisicamente, in un modo o nell’ altro emarginate socialmente. Certo, il margine può diventare a sua volta creativo, come è successo spesso nel corso dell’evoluzione biologica e sociale, in una dialettica di centro e periferia, che nel corso del tempo si scambiano di posto. Ma la discriminazione persiste.

Un corpo ha una certa potenza d’azione che determina il carattere e l’estensione della sua sfera d’attività. Una sfera d’attività rappresenta l’utilità virtuale che il corpo può trarre dall’ambiente. Il “principio di realtà” è così forte che tutto l’ente è mobilitato in vista dell’azione. Alla potenza d’azione corrisponde la potenza della memoria, ma la memoria è sottoposta alle esigenze dell’azione. Si attualizzano solo ricordi che sono in qualche maniera utili per l’azione presente. Certo, con gli enti più complicati i criteri che determinano l’utilità diventano sempre più numerosi e perciò cresce la zona di indeterminatezza nel decidere se il ricordo è utile o no. Ma anche allora il corpo funziona da “morsa” (secondo la metafora favorita di Bergson), e tutta la memoria è catturata dentro la sua apertura. Con la stratificazione del corpo l’apertura può diventare più grande, ma rimane sempre tra le ganasce della morsa.

Il criterio di utilità nell’attenzione alla vita significa che l’ente “vede” nell’ambiente solo quello che gli può essere utile in una maniera o altra. Riduce tutto l’universo a pochi punti o poche zone “interessanti”. Tutte le cose rivolgono verso di lui la loro faccia utile[21] (Bergson 1959 169-223; si veda anche Uexküll 1992). Dunque, ogni ente crea un proprio “mondo” che è un’immagine virtuale della totalità dell’universo e che rappresenta i suoi bisogni di azione. “Vediamo” veramente quello a cui prestiamo attenzione[22] e la regola per gli enti è prestare attenzione alla “vita”, cioè all’azione presente per trarre un risultato utile. Un ente non tocca l’altro, perché quello con cui ha a che fare, è soltanto l’immagine dell’altro[23]. Nella comunicazione “diretta” o “cosciente” ogni ente ha necessariamente ridotto gli altri ad immagini utilitaristiche e manca una comunicazione reale.

Ma così un ente è “attivo” soltanto nella cornice del suo “mondo”, dentro la propria sfera di azione, che è come una bolla di sapone (Uexküll 1992: 319, 339). Dunque si tratta di un’attività solo relativa. Dal punto di vista dell’intero universo (cioè, in senso assoluto), l’ente è passivo. Comanda più o meno nella sua sfera d’azione, ma non comanda la sua sfera stessa. Ogni ente cerca di stabilizzare il mondo (la costanza del bisogno è l’origine del concetto dell’identità) e di stabilizzare se stesso (come soggetto dei bisogni), ma l’instabilità fondamentale gli sfugge. Può impadronirsi delle cose che sono differenti da lui, e di sé stesso come identico a lui, ma gli sfugge il suo differenziarsi da sé stesso. Quel differenziarsi, che però è il suo essere stesso. Ciò che lui stesso è, ciò che lui diviene, gli sfugge, perché non è una cosa utile, né il soggetto che determina l’utilità, ma ciò che crea contemporaneamente l’ente e il suo ambiente.

7. Rapporto linguistico

Per i nostri scopi vale la pena di indagare l’avvento del rapporto linguistico. Vediamo nel rapporto strumentale, al quale corrispondeva la lingua gestuale, la sua origine.

Il rapporto strumentale indica il rapporto in cui gli strumenti sono stati esteriorizzati e hanno formato una sfera indipendente. Anche il corpo sensibile può essere inteso come uno “strumento” e più precisamente il sistema locomotorio e digestivo come “strumenti” del sistema nervoso. Ma in questo caso gli strumenti non sono indipendenti, perché sono indissolubilmente legati con chi li usa (p. es. il sistema locomorio con il sistema nervoso). Ci sono casi di uso degli strumenti anche nel regno animale, per esempio quando un uccello usa un bastoncino per cercare vermi. E nel caso degli animali superiori la scelta degli strumenti è spesso considerevole e in qualche caso si verifica pure una messa in catena degli strumenti (la scimmia sale sulla cassa per poter stendere il bastone fino alle banane; abbiamo qui la catena di strumenti cassa > bastone). L’ultimo caso assomiglia già molto al rapporto strumentale, ma manca comunque un passo ulteriore e le catene rimangono limitate. Il rapporto strumentale diventa indipendente nel momento in cui diventa iterabile all’infinito. Il progresso tecnico degli uomini esprime questa iterabilità.

Il rapporto strumentale contrae il rapporto sensibile. Vediamo, in quale maniera. Lo strumento[24] è una cosa sensibile per manipolare altre cose sensibili; è fatto per trasferire delle forze nel mondo sensibile. Lo strumento è un trasferimento del mondo sensibile dentro quel mondo sensibile stesso. Il rapporto strumentale offre dunque un piano superiore alla sensibilità che rende possibili le manipolazioni dentro di essa. La sensibilità dello strumento è evanescente; lo strumento è tanto migliore quanto meno si nota la sua sensibilità (la si nota soprattutto quando lo strumento si rompe, cioè, quando non funziona più da strumento, ma si riduce allo stato di una cosa sensibile). Lo strumento è essenzialmente per (Heidegger 1993: 69).

Che il rapporto strumentale sottopone i corpi sensibili, risulta chiaramente dal caso esemplare (cioè, in cui si manifesta l’indipendenza di questo rapporto) in cui si fanno strumenti per fare altri strumenti. Allora il corpo sensibile deve rinunciare al piacere immediato, nella speranza di maggiore o più sicuro piacere nel futuro. Si tratta di una contrazione verso il futuro. Ma allo stesso tempo l’insieme degli strumenti allarga il passato, forma un patrimonio “culturale” che oltrepassa la memoria di un individuo meramente sensibile. Così il rapporto strumentale sottopone il mondo sensibile alle sue manipolazioni e disciplina il corpo sensibile (fa valere gli interessi più larghi della comunità rispetto alla volontà dell’individuo di soddisfare subito i suoi desideri).[25]

Affinché gli strumenti siano indipendenti, c’è bisogno del patrimonio culturale portato da una società di individui. Il rapporto strumentale raccoglie gli individui più strettamente insieme e ci vuole un mezzo per compiere questa contrazione. Questo mezzo è la lingua, che all’inizio è stata probabilmente gestuale. La lingua, o la comunicazione linguistica, è un complemento necessario del rapporto strumentale. C’è una comunicazione, un certo sistema di segnali anche nel caso degli animali, ma siccome i loro strumenti rimangono limitati, anche i loro segnali rimangono limitati. Perché la comunicazione diventi indipendente, come avviene nella lingua, c’è bisogno che diventi prolungabile all’infinito (come anche gli strumenti diventano indipendenti quando diventano iterabili all’infinito). La lingua è il “corpo” della comunicazione che contrae un certo numero di corpi “sensibili”.

Perché la lingua diventi indipendente, ci vuole una soppressione radicale della sensibilità (abbiamo visto come è ridotta negli strumenti). Consideriamo l’esempio semplice di indicare col dito. Perché l’indicare sia possibile, non dobbiamo guardare il dito stesso, ma prolungarlo mentalmente e dirigere la nostra attenzione nella direzione verso cui punta questo “dito” prolungato.[26] Dunque l’indicare è caratteristico di un nuovo rapporto, non più di quello sensibile, ma di quello linguistico (di cui il rapporto strumentale-gestuale è la prima forma). Il rapporto linguistico implica la sopressione del piano sensibile (“dimentichiamo” il dito materiale, per “vedere” il dito mentale). Ogni indicare di tipo linguistico contrae – di diritto – tutto il mondo sensibile. L’indicare opera un trasferimento (“metafora”) del mondo sensibile e l’indice sensibile ne è l’appiglio ambiguo: indicante (io) < indice (parola) > indicato (mondo).

Cioè, l’indicare crea un piano per dei trasferimenti nel mondo sensibile. L’elemento centrale è l’indice o la parola che è un ente sensibile la cui sensibilità è stata essenzialmente soppressa, contratta. Ciò è necessario per l’esordio di un nuovo piano, non più fisico, ma meta-fisico. Si tratta dell’Urverdrängung linguistica. Le tre dimensioni della struttura linguistica, o le tre direzioni di movimento dentro questa struttura, corrispondono alle tre dimensioni principali della lingua: designazione (parola verso il mondo); manifestazione (parola verso l’io); significazione (parola verso altre parole) (Deleuze 1969: 22-35).

Con la nozione del rapporto linguistico (o strumentale) vorremmo contestare la concezione biologica dell’uomo. L’unità funzionale nel caso del rapporto linguistico non è un individuo della specie homo sapiens, ma piuttosto una comunità linguistica (la lingua implica una comunità e una comunità richiede la lingua). Inizialmente non siamo ancora degli individui; dobbiamo diventare individui singolari.

8. Linguistica attiva e linguistica passiva

Ogni ente è relativamente attivo (dentro la sua sfera d’azione) e assolutamente passivo (secondo il suo essere). “Attivo” e “passivo” secondo [M5]la “linguistica” vanno intesi nel senso assoluto. Linguistica passiva è quella che limita la sua azione dentro la sfera d’azione che spetta al rapporto linguistico. Questa sfera è spettacolarmente ampia, ma rimane pur sempre relativa. L’evoluzione generale va differenziandosi, stratificandosi. Appartiene all’essenza di ogni forma raggiunta nel corso dell’evoluzione di essere superata da un’altra forma. Questo è il corso naturale delle cose. Anche il rapporto linguistico sarà superato da un altro rapporto e possiamo supporre che quest’ ultimo verrà in qualche maniera dall’unione del corpo sensibile e dello strumento (la cui forma perfezionata è la macchina[27]). Forse il rapporto “digitale” è il rapporto di transizione in quanto rende possibile un incontro, su un piano comune, tra la macchina e il corpo sensibile (ambedue sono riducibili in forma digitale a 0 e 1[28]). Finora la loro relazione è stata esteriore e rozza, ma i progressi di info- e biotecnologia aprono delle prospettive molto più ampie e sottili[29]. La linguistica passiva è passiva nel senso che si lascia trascinare dalla corrente naturale dell’evoluzione, dalla sua attività relativa, con cui inevitabilmente coopera nell’essere superata da un nuovo rapporto. Non vogliamo dire che sia male; pericoloso sì, come è pericoloso e crudele ogni stratificazione, ogni avvento di un rapporto nuovo. Sarà semplicemente un ente di tipo diverso, ma nessun ente può danneggiare il differenziarsi globale[30].

Questa passività è la regola per ogni ente. Ma il rapporto linguistico è particolare perché qui è aperta un’altra possibilità: la possibilità di essere attivo nel senso assoluto.[31] Questa possibilità viene aperta dal fatto che un ente linguistico non è determinato soltanto dal rapporto linguistico, ma rimane attualizzato anche il rapporto sensibile. Inizialmente e perlopiù siamo determinati dalla lingua, ma possiamo ritornare al corpo sensibile. Se è un ente linguistico a fare questo ritorno (cioè, se il rapporto linguistico non è semplicemente cancellato), allora il punto di arrivo non è l’animale (rapporto sensibile), ma l’amante (si veda la sezione 10), puro rapporto[32] o puro rapportarsi, differenziarsi. Si va indietro, ma si arriva ancora più lontano che andando avanti. La linguistica passiva va avanti, ma con questo aiuta soltanto il proprio superamento da un altro rapporto.

L’ente linguistico è un ente sensibile diretto dalla forza direttiva della lingua. Di solito esso muove nella lingua e non ha modo di vedere né la lingua stessa (perché è dentro di essa) né la sensibilità (che è sottomessa). Da un lato non percepisce il proprio corpo, perché tutti i concetti con i quali lo pensa o immagina sono dei concetti linguistici o comunque degli immagini strutturati simbolicamente (cioè, dalla lingua). Dall’altro non concepisce la lingua in quanto tale, ma semplicemente la usa. Infatti è la regola che un ente non può raggiungere i due piani (contraente e contratto) che lo costituiscono e lo limitano. Ma con l’ente linguistico è raggiunto una complessità critica ed è possibile per l’ente andare verso i propri limiti od estremità: l’ente linguistico è potenzialmente estremista.

Accenniamo questa potenziale con l’esempio di due dita. Come abbiamo detto nella sezione precedente, quando si indica col dito, dobbiamo “dimenticare” il dito sensibile e “vedere” l’indice ideale. Ma qui sono possibili dei “paradossi”: che cosa accade se indichiamo con un dito un altro dito che lo indica a vicenda?[33] Un indicare indica un altro indicare che indica di nuovo un indicare... all’infinito. Il cerchio dell’indicare si aumenta e in un certo senso distrugge se stesso. Davanti all’assurdo dell’indicare vuoto non abbiamo più niente da vedere. Il dito non indica nessuna cosa utile e non ci rimane altro che il puro indicare stesso. Dall’altro lato l’attenzione cade sul dito sensibile: nell’indicare abituale il significato del dito indicante, cioè l’indicato, cancella il dito – ma siccome adesso non c’è nessuna cosa indicata oltre il puro indicare, l’attenzione può ritornare sul dito. In questo modo questa situazione assurda è pieno di senso. Da un lato “tocchiamo” il puro indicare e dall’altro la sensibilità, che di solito sono entrambi irragiungibili. Appare qui la differenza tra linguistica e sensibilità. Linguistica e sensibilità sono diversi ordini di differenze. Appare dunque la differenza delle differenze, la forma della differenza in generale; nel rapporto linguistico non appare soltanto una differenza particolare, ma la pura differenza. Con il rapporto linguistico si aprono contemporaneamente “due” rapporti: rapporto linguistico e puro rapporto.

Si tratta della funzione poetica della parola, quando la parola (il messaggio) non è diretto verso il parlante, né verso il mondo o l’ascoltatore, ma verso sé stessa. Nella comunicazione abituale la significazione rimane aperta: le parole si riferiscono ad altre parole e queste ad altre ancora, e l’inizio e la fine di questa catena si perdono nel buio. Ma nel caso dell’uso poetico la significazione forma un cerchio chiuso. L’effetto indiretto è che in questo modo risorge la sensibilità. Questo è il senso in quanto “quarta dimensione” della lingua (Deleuze 1969: 31-35)[34]. Non si può ridurre il senso a nessuna dimensione della lingua (manifestazione, designazione, significazione) e a nessun piano (piano della forma sensibile; piano della significazione pura). Il senso è piuttosto quello che permette ai diversi piani di funzionare insieme. Abitiamo nella lingua (anche se l’abbiamo essenzialmente dimenticato), ma il senso è un movimento verso il limite comune della lingua e del corpo sensibile.

La linguistica attiva di cui abbiamo parlato dovrebbe essere adeguata al terzo aspetto, al differenziarsi futurista (o al Presente reale). Abbiamo detto che la linguistica attiva è un movimento verso il limite comune di lingua e sensibilità. Secondo la nostra supposizione un ente linguistico parte dalla lingua; però come arriva al limite, e non soltanto presso di esso? Qui sorge un controsenso: per essere al limite della lingua deve rinunciare alla lingua e al contempo mantenerla. Per risolvere questo controsenso abbiamo portato l’esempio di due dita che si indicano a vicenda, cosicché il rapporto linguistico è riflesso in se stesso e messo in circuito rientrante[35]. Abbiamo affermato che così si manifestano la pura lingua e la pura sensibilità, o meglio, il loro limite o la loro articolazione.

Possiamo ripetere questo esempio con la parola “no”. Questa piccola parola indica il momento quando la lingua diventa infinita e indipendente – ricordiamo l’enorme scoperta del bambino quando si rende conto che può dire “no” a tutto. Nessuna cosa sensibile e nessuna promessa può appagare questo “no” ontologico. Ciò che il bambino vuole, non è qualcosa d’altro, ma vuole qualcosa di completamente altro (vuole l’alterità stessa piuttosto che una cosa; vuole l’altro stesso e non l’altro ridotto a un’immagine). Si può dire “no” a tutto – incluso a “no”. Questa doppia negazione è la preparazione o il montaggio del circuito rientrante dove la lingua (i suoi contenuti particolari) si consumeranno. Ma una volta che il circuito ha cominciato a funzionare, viene detto un “no” silenzioso anche alla doppia negazione. La negazione, avendo fatto il suo lavoro, scompare. La differenza tra la tripla negazione di Nietzsche e la doppia negazione di Hegel consiste nel fatto che Hegel si è limitato con (oppure, ha messo l’accento su) il lavoro della negazione, mentre per l’amante, per il convalescente, anche il lavoro (il “leone”) è superato come una malattia passata (Nietzsche 1994: 305-312, “Der Genesende”).[36]

9. Attimo

Abbiamo detto che l’ente percepisce del suo ambiente solo ciò di cui sa trarre qualche utilità. Ogni ente è proiettato sugli suoi oggetti utili. Questi rappresentano dei punti fissi[37] che lo legano al suo mondo, alla sua sfera d’attività. Ogni ente si indirizza a una serie di fissazioni, legate ai bisogni di azione (al “l’attenzione alla vita”). Gli enti si muovono incessamente da una fissazione all’altra. Questo è il movimento “orizzontale” dentro un mondo. Ma abbiamo visto come nel caso del rapporto linguistico si possono creare delle direzioni “vuote”, senza utilità. Sono dei circuiti rientranti che riconsumano il proprio output. In questo caso l’ente linguistico non ha nessuno scopo immediato. L’ente linguistico può fermare il movimento orizzontale ed avviare il movimento “verticale”, verso i propri limiti.

Questo movimento parte da rapporti concreti (sensibilità e linguistica), ma quello che ne risulta è il puro rapporto. Il movimento rispetto ai rapporti particolari è un movimento assoluto. Da un lato è certo che non tutti gli enti linguistici lo fanno, e dall’altro lasciamo aperta la domanda se anche enti di altri rapporti possono farlo o no. Ma una cosa è sicura: che nel rapporto linguistico è insita la possibilità del movimento verticale assoluto. Abbiamo portato due esempi, con il dito e con il “no”. Il loro effetto comune è di creare perplessità, assurdità, paradossi. Così si va al limite della lingua e del corpo e l’attenzione (il “tendere verso”) si libera dai contenuti particolari: adesso si può dirigere l’attenzione a volontà. L’attenzione è l’occhio dello spirito. Adesso si può prestare attenzione anche a sé stessi e cominciare a cambiare-creare sé stessi. Se la tensione dello spirito è bassa (nel caso degli enti passivi), l’attenzione è sempre dominata dalle fissazioni (oggetti utili). Se la tensione dello spirito cresce, l’attenzione si libera e comincia a sciogliere le fissazioni.

Questo movimento verticale, la crescita dell’attenzione non avviene nel presente, ma in un attimo senza durata. L’attimo è la differenza dentro il presente, la differenza tra il passato immediato e il passato puro (si veda la sezione 5). L’attimo è il Presente, il punto di creazione del presente a partire del passato puro. Questo punto si tende verso il futuro, verso la differenziazione. Nell’attimo tutti gli enti vengono creati, lasciano indietro il vecchio e accolgono la novità. L’attimo è il punto di creazione, formazione, distruzione.

10. L’amante. Gioia

Di solito gli enti sono dominati dalle proprie fissazioni, ma per l’ente linguistico almeno c’è la possibilità di sciogliere le fissazioni con l’aiuto dell’attenzione (che contemporaneamente si libera e fa liberi). Questo è la linguistica attiva: affermare la differenziazione, l’alterazione. Ricordiamo che abbiamo distinto tre momenti: (1) differenziazione in senso largo che comprende i tre aspetti del presente, del passato e del futuro; (2) differenziazione in senso stretto con il solo aspetto futuro; e (3) ente che si è fatto adeguato alla differenziazione in senso stretto. Adesso siamo giunti al terzo momento, che chiameremo “amante”. L’amante è colui/lei che si lascia differenziare.

Da un lato è una verità lapalissiana, perché tutti gli enti si differenziano. Ma l’amante è colui/lei che afferma questo differenziarsi, gli dice di sì.

In altre parole, in questo cortocircuito vengono distrutte tutte le forme fisse e quello che rimane (in negazione tripla) è la formazione stessa, la pura differenziazione che si muove nella dimensione futura, nell’ignoto. Così un ente può fare tutt’uno con il differenziarsi che di solito gli è nascosto ed estraneo. Questo implica un salto nell’ignoto, un abbandono di sé stesso (della sua forma fissa, della sua “entità”), per conquistare sé stesso (il proprio essere). Saltando nella dimensione futura, l’ente è sempre più grande di quel sé stesso che si dà nella presenza corporale. Quel sé stesso più piccolo lo seguirà fedelmente. Ma siccome conoscenza e coscienza sono nel presente, l’ente non ha più alcuna base per la sua conoscenza del mondo e di se stesso. Questa base gli viene tolta e posta nella modalità futura, cioè nell’attenzione crescente del circuito rienrante.

Questo salto non si fa nel presente, ma in un

(perché si tratta della differenza dentro il presente, la differenza dentro il tempo). Le forme svaniscono instantaneamente e rimane solo la formazione, la creazione.[38] Così facendo l’ente trae esplicitamente (e non solo controvoglia o all’insaputa come nella modalità passiva) fuori di sé più di quanto non c’era; questa potrebbe essere la definizione generale della creazione[39]. Il punto di rottura quando si diventa attivi, si svolge nell’attimo senza durata, in un “batter d’occhio”[40] che è essenzialmente fuori dal tempo storico. Si tratta di un mutamento nel modo di essere o del punto di vista. È sempre già successo o non ancora, ma non si può mai dire che sta succedendo. Quando ho capito questa o quella cosa? L’ho già capito o non lo capisco ancora. Si può collocare questo evento nella storia, ma l’evento del capire, secondo la sua determinazione intrinseca, è successo fuori dalla storia. Non ha uno svolgimento “orizzontale” nel presente, ma è un evento “verticale” dentro il Presente (tra passato immediato e passato puro), nel punto di creazione del presente e di interpretazione del passato.

9...

Questo è l’amore, l’abbandono agli enti[41]. Fare qualche cosa (cooperare con gli enti) e, in più, amare (prestare attenzione al loro essere, differenziarsi).

Che cosa rimane dunque dopo la terza negazione? Nessuna cosa, ma la forza del differenziarsi. Ogni ente si differenzia, sì, incessamente, ma di solito all’insaputa, e perciò il differenziarsi rimane debole e frainteso (l’ente vede sempre le fissazioni, ed i cambiamenti lo sorprendono, lo colpiscono alle spalle). Il differenziarsi non può essere saputo, ma può essere affermato, voluto – e allora diventa una forza. Il coraggio di questa volontà si chiama amore. L’amore significa: volere la Differenza, il divenire, l’ignoto. Dunque, nell’attimo in cui la morte si abbandona (cioè quando avviene la terza “negazione”), essa si trasforma in amore. La morte ha fatto il suo lavoro ed è lasciata alle spalle. Questa è l’ “attenzione alla morte” (parafrasando l’ “attenzione alla vita”) e la libera crescita dell’attenzione nell’amore.

10. Terzo momento, Amante

L’ente ha il suo “patrimonio”, la sua memoria. La memoria è ciò in base a cui l’ente si tiene insieme. E in base alla sua memoria viene lanciato verso il futuro. Il tempo è possibile solo sulla base della memoria che significa la conservazione di tutto il passato e la contemporaneità di questo passato col presente (si veda la sezione 4). Dunque la memoria cresce incessamente e il tempo o il durare è il meccanismo di trarre fuori di sé più di quanto non c’era. Questo esprime la potenza della memoria e la forza dell’attualizzazione: quello che sorgerà nel prossimo momento, adesso non c’è ancora attualmente; esiste solo virtualmente, cioè in attualizzazione, tendendo verso l’attualizzazione. Il terzo aspetto, la differenziazione in senso stretto (si veda la sezione 5) esprime la messa in atto della potenza della memoria virtuale. Non l’attuale e il funzionamento, ma l’attualizzazione e la formazione – la genesi incessante dell’attualità (che non è spiegabile nei soli termini dell’attuale).

L’ente porta tutto il suo passato “addosso”, ma si muove per così dire a ritroso, prestando attenzione a quello che è appena passato (il presente come il passato immediato: si veda la sezione 5). La sua attenzione è fissata sull’agire e sull’utilità potenziale che con le sue azioni può trarre dall’ambiente. In questo senso l’ente è “reattivo” (o, ancora una volta, globalmente passivo). L’ente muove nella sua sfera d’azione, che gli è nota e più o meno sicura (stabilizzata). E qui c’è solo un uso utilitaristico della memoria in vista delle azioni presenti. Di diritto tutto il passato è conservato e di diritto tutto il passato è accessibile all’ente, ma di fatto il corpo con la sua attenzione alla vita lascia passare una piccolissima parte del suo passato. Così si forma l’ “immagine del mondo”, nella quale tutto l’universo ha rivolto verso l’ente interessato la sua faccia utile. Ma la ragione di questa sfera rimane del tutto oscura, deve rimanere nascosta ad ogni ente. Si tratta di un ignoto essenziale. Bisogna che la cosa mostri il suo volto [M6]vero, cioè il suo modo di muoversi nell’ignoto, la sua trasformazione idiota[42].

L’ente linguistico contrae o sopprime tutta la sensibilità. Abbiamo delineato anche una modalità attiva dove la sensibilità risorge. Ciò significa, in altre parole, che la lentezza dell’ente linguistico diventa ancora più grande e che esso contrae, di diritto, non soltanto tutta la sensibilità, ma anche questa contrazione stessa. Ciò significa che l’attenzione contrattiva non si muove in avanti verso degli scopi utili e relativi, ma che ritorna indietro verso di sé, formando un circuito rientrante, un circuito in un continuo superamento di sé, che lascia indietro il vecchio sé e saluta ogni momento il nuovo sé.[43] Il nuovo sé viene inevitabilmente per tutti gli enti, ma la questione e di volere questa venuta, di prestare attenzione a questa verità atemporale.

Questo definisce lo sguardo dell’amante che è differente ogni istante. L’amante è sempre differente e vuole la differenza. Quello che guarda adesso non è più quello che guardava un momento fa. Lo sguardo comune, invece, è identificante; adesso ricorda l’immagine di prima e vede tramite quell’immagine. Se a un momento scopre qualcosa di nuovo, il momente seguente, accontentandosi di quel poco, comincia a ridurre tutte le sensazioni a quello che già possiede. È uno sguardo che fa schiavo (“so chi sei, ho la tua immagine”), perché ogni immagine è già passata rispetto alla persona viva, è in ritardo in rispetto alla sua differenziazione. Ma l’amante non sa chi è colui/lei che ama, l’amore e l’ignoto sono in stretta corrispondenza. Perciò lo sguardo dell’amante rende liberi; può liberare anche l’altro dalla propria immagine di se stesso; gli rende o gli offre il proprio ignoto intimo che aveva forse dimenticato. L’amante va ad un incontro con uno sconosciuto.

La strada della conoscenza ha tre tappe o trasformazioni: asino, leone e bambino (Nietzsche 1994: 67-75). L’asino rappresenta il lavoro, l’accumulazione necessaria del sapere e dell’esperienza. Ma ogni acquisto è una fissazione e qui subentra il leone che scarta le fissazioni (doppia negazione[M7]). Il leone vuole solo la differenza e per questo fa la guerra contro ogni ente passivo, contro ogni fattore o istituzione che favorisce la passività (con tanta più assiduità quanto più grande è). Di qui la lotta di Nietzsche contro il cristianesimo e il platonismo. Ma c’è un’ulteriore trasformazione, il bambino – che è l’Amante[44]. Questi è libero da ogni negazione (incarna la “terza negazione[M8]”). Si tratta della conoscenza che ha raggiunto il suo vertice e che vede tutti gli altri livelli sotto di essa e pertanto è capace di affermare la relatività della verità nel senso che ognuno ha la verità che merita, che corrisponde alla sua potenza. Per questo l’Amante riconosce la bontà di tutta la creazione; non solo il terzo aspetto (come fa il leone), ma tutti gli aspetti. Perché il terzo aspetto “in sé” non esiste, esiste solo tramite quello che produce (gli enti con corpo e memoria, “in carne ed ossa”).

Ma se ama tutto, significa che ama anche la passività? No. L’amore è amore della e per la Differenza. L’amore esiste solo nel differenziarsi. Ma la passività si basa sull’identità – e così si rinuncia da sé alla possibilità di amare ed essere amato. La passività non esiste per l’Amante, che vede solo la Differenza, il differenziarsi. La passività, la reattività si condannano a morte da [M9]. Sono delle fissazioni, ma ogni fissazione è inevitabilmente temporanea e viene spazzata via, prima o poi, dal divenire. L’amante vede solo ciò che dura eternamente – la differenziazione. Ma l’Amante offre la possibilità della redenzione a tutti (anche se non tutti l’accettano). Lo sguardo dell’amante è mite e libera tutti gli enti che sono asserviti in una “scatola” di immagini - virtualmente li ha già liberati tutti.

Il leone ha ancora l’illusione (inevitabile per condurre la sua lotta) che ci sia qualcosa d’altro. Lotta per l’immanenza, ma questa lotta stessa rimane l’unica trascendenza; lotta contro le fissazioni, ma la lotta stessa è l’ultima fissazione. A partire da questo stabilisce una gerarchia di enti secondo il loro potenziale di differenziazione. Il leone è prigionero della seduzione di azione, della propria lotta. Il bambino o l’Amante, invece, si è abbandonato completamente al differenziarsi, non considera necessario “aiutarlo” in qualche modo – semmai lo aiuta già attraverso la propria esistenza. Lo sguardo dell’Amante è più ampio (e “lento”) e la sua mitezza non proviene da una debolezza o ignoranza di prima del leone, ma di una forza e sapienza di dopo il leone. L’Amante sa e vede che tutto quello contro cui il leone lotta perirà da sé – nessuna fissazione può durare per sempre.

12. Conclusione

Abbiamo cercato di delineare una svolta nel modo di pensare. Pensare non a partire dagli enti e dallo spazio, ma a partire dall’essere e dal tempo. La prima modalità l’abbiamo definita come pensiero comune, la cui forma purificata è “la scatologia”; la seconda è il pensiero differente o “l’escatologia”. Abbiamo posto la domanda sul rapporto linguistico e, tramite il concetto della differenza, abbiamo delineato due modalità di questo rapporto: una passiva e l’altra attiva. Il rapporto linguistico è una tappa dell’evoluzione che (parlando in modo generale) sottomette il rapporto sensibile. La prima modalità si accontenta di essere un ente più potente grazie al nuovo rapporto, rimanendo pur sempre un ente particolare che riduce il tutto dell’essere ai propri bisogni. La seconda modalità fa un passo di più (che è un passo indietro) e giunge fino al limite del rapporto linguistico, laddove sensibilità e linguisticità si incontrano. Tra queste due si schiude una verità eterna, una verità dell’attimo o del punto sempre-mobile della creazione, il senso. Mentre tutti gli enti particolari sono dei complessi di presente che passa e di passato che ne è il fondamento, ciò che li produce, il loro essere, è la modalità futura di differenziazione e autosuperamento. Questo punto com‑plicante (l’essere) è comune a tutti gli esseri, ed è un punto assoluto o non-dualistico (i dualismi sono suoi prodotti). Un ente linguistico può sospendere la lingua e arrivare al limite di corpo sensibile e lingua; grazie alla sua differenza interiore tra lingua e corpo può distruggere tutte le forme fissate e attingere a questo punto creativo e per così dire continuare la creazione cosmica. Allora un ente può, almeno temporaneamente, essere degno della differenziazione in senso stretto, in quell’attimo non crea solo se stesso, ma tutto il mondo (o tutto il mondo lo crea): è l’amante.

Bibliografia

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[1] [Pubblicato in : M. Käsper (ed.). L’image en questions. Tartu: Tartu Ülikooli kirjastus, pp. 99-130. Ringrazio il sig. Daniele Monticelli per le correzioni di lingua e per i suggerimenti di contenuto.]

[2] Raymond Ruyer ne ha avuta un’intuizione molto chiara, distinguendo tra la dimensione “orizzontale” del funzionamento e la dimensione “verticale” (o “trans-spaziale”) della formazione. Una cosa è sapere come un organo o un organismo funziona, un’altra cosa è sapere come si è formato colui che funziona. Il funzionamento attuale ha dietro a sé tutto un percorso della formazione, dell’attualizzazione. La dimensione puramente spaziale della morfologia va sottoposta alla dimensione temporale della morfogenesi (Ruyer 1958).

[3] Per “rapporto” si intende qui “forza direttiva” nel senso specificato in seguito (sezione 3). Nell’articolo menzioneremo rapporto fisico, chimico, sensibile, linguistico (entro il quale distinguiamo il rapporto strumentale) e digitale. In linea di principio potremmo distinguerne infiniti altri. “Linguistica” è per noi sinonimo di “rapporto linguistico” e “sensibilità” di “rapporto sensibile”.

[4] Basta vedere come sono strutturati i nostri discorsi sulla lingua. Secondo Lakoff e Johnson abbiamo qui a che fare con una metafora complessa con tre elementi: 1) meanings are objects; 2) linguistic expressions are containers; 3) communicating is sending. Per esempio: “It’s hard to get that idea across to him” o “It’s difficult to put my ideas into words” (Lakoff&Johnson 1980: 10-11).

[5] “Für Hegel ist die Sache des Denkens der Gedanke als der absolute Begriff. Für uns ist die Sache des Denkens, vorläufig benannt, die Differenz als Differenz” (Heidegger 1996: 37).

[6] Questa parola è tra virgolette perché non si tratta di una interiorità preliminare; anzi, sia l’interiorità che l’esteriorità sono prima creati a partire il differenziarsi. Questa differenza ontologica non si trova né nell’Umwelt di un ente, né nella sua interiorità, ma è ancora più esteriore e interiore : è il suo differenziarsi di se stesso, la sua esistenza temporale – che lo costituisce come un ente con i suoi alentours.

[7] “Dieser [cioè, der Unterschied] vergibt erst und hält auseinander das Zwischen, worin Überkommnis und Ankunft zueinander gehalten, auseinander-zueinander getragen sind” (Heidegger 1996: 57).

[8] “[D]as Aus- und Zueinander” (ibid.); “das Wesen des Seins [ist] das Spiel selber” (Heidegger 1996: 58).

[9] Nell’intenzione dell’autore di quest’articolo, quei tre aspetti corrispondono alle tre sintesi del tempo descritte nella “Differenza e ripetizione” di Deleuze (1968: 96-128), anche se la terza sintesi corrisponde piuttosto al nostro “terzo momento” (si veda la 10. sezione).

[10] Su questi diversi rapporti torneremo ancora in quanto segue.

[11] Indivisibili di fatto, non di diritto. La nostra descrizione dimostra, appunto, che sono divisibili; che hanno un movimento od oscillazione interiore.

[12] Nella sezione 0 abbiamo usato la parola “momento” in senso logico; qui, invece, lo usiamo in senso temporale come “unità minima di tempo” e un’unità minima di tempo è il minimo lasso di tempo dove si percepisce differenza. Quei momenti dipendono dalla specie: p.es. il momento umano è ca 1/18 sec., quello della chiocciola è 1/4 sec., quello del pesce combattente è 1/50 sec. (Uexküll 1992: 340-341).

[13] La forma verbale è preferibile, perché per esempio il carbone “n’est pas quadrivalent, il n’a qu’ “une très forte probabilité de tétraédrisation”. ... L’atome de carbone, et c’est vrai pour tous les autres corps, n’est pas une structure, il représente une activité structurante” (Ruyer 1958: 58).

[14] Se si guarda nel piccolo, invece, i limiti degli enti diventano sempre più fluidi così che al limite si fondono in uno, formando una continuità o un “gioco di forze”.

[15] Si tratta di un modo di dire. Conformemente a quanto abbiamo detto, sarebbe più preciso dire: il corpo della memoria, il corpo che è possibile sulla base della memoria.

[16] Così si sono proposti dei meccanismi attraverso cui anche l’organismo può influenzare il suo codice genetico, si veda Kull 1999.

[17] Per esempio; un’ameba si muove con tutto il suo corpo, ma in un mammifero la motilità è canalizzata in quatro estremità che permettono un’attività più diversificata e precisa.

[18] Qui si nota anche un capovolgimento nella costruzione dei termini. Nella lingua corrente si parte dall’ordine e si capisce il disordine alla sua base (con il prefisso privativo); ma nella lingua scientifica si parte dal disordine (entropia) e si costruisce l’ordine (neg-entropia) alla sua base. Il punto di partenza, quella decisione di capire l’ordine e disordine in questo modo rimane fuori dalla scienza.

[19] “Daß die Welt nicht auf einen Dauerzustand hinauswill, ist das Einzige, was bewiesen ist” (Nietzsche 1918b: 472; 1062. frammento della “Volontà di potenza”), “Hätte die Welt ein Ziel, so müßte es erreicht sein. ... Wäre sie überhaupt eines Verharrens und Starrwerdens, eines “Seins” fähig, hätte sie in allem ihrem Werden nur Einen Augenblick diese Fähigkeit des “Seins”, so wäre es wiederum mit allem Werden längt zu Ende, also auch mit allem Denken, mit allem “Geiste”. Die Thatsache des “Geistes” als eines Werdens beweist, daß die Welt kein Ziel, keinen Endzustand hat und des Seins unfähig ist” (Nietzsche 1918b: 224; 639. frammento). “Il divenire non ha nessuno stato finale, non sbocca in un “essere”“ (Nietzsche 2003: 58). Nietzsche contrappone l’ “essere” spaziale (attualità) e il divenire temporale (attualizzazione). Il divenire è la “volontà di potenza” o l’autosuperamento universale.

[20] Possiamo verificarlo per esempio in uno stato d’animo. Se gli prestiamo attenzione, distinguiamo una più grande varietà di sfumature e con questo lo stato d’animo sarà cambiato. Prima dell’attualizzazione e della distinzione queste sfumature c’erano in forma virtuale, in un modo confuso (si veda Deleuze 1966: 35). Così Deleuze, analizzando Bergson, può fare la distinzione importantissima anche nella propria filosofia tra molteplicità attuale e virtuale: la prima è spaziale o “numerica” e non cambia nel processo della divisione (ivi, pp. 31-42).

[21] Bergson evoca la posizione che vuole criticare : “la perception a un intérêt tout spéculatif ; elle est connaissance pure” (Bergson 1959: 179), dimostrando che la percezione ha inizialmente e perlopiù un interesse pratico.

[22] In un modo conscio o “inconscio”, che rappresentano diversi criteri di utilità.

[23][W]ie wesentlich Ersindung und Einbildung ist, worin wir bewußt leben” (Nietzsche 1918: 496; 676. frammento della “Volontà di potenza”)

[24] In quanto segue parleremo dello strumento in senso stretto, cioè dello strumento esteriorizzato e indipendente.

[25] Siamo del parere che la svolta descritta da Freud in “Totem e tabù”, quando l’associazione dei fratelli (nei nostri termini, la comunità “strumentale”) ha ucciso il padre dell’orda primitiva (l’individuo meramente “sensibile”), è un modo di descrivere la sovrapposizione del rapporto strumentale a quello sensibile (Freud 1938: 915-916)

[26] Perciò rimaniamo confusi nei confronti di piccoli bambini che non guardano lì dove mostriamo e guardano invece il nostro dito. In quel caso non c’è alcun modo possibile per fargli capire quello che vogliamo, perché non manca soltanto una conoscenza particolare, ma tutta una dimensione del conoscere. O meglio: questa dimensione non è ancora stata dispiegata.

[27] La macchina incarna l’indipendenza degli strumenti.

[28] I computer funzionano sulla base di codice binario e il codice biologico, il DNA, è composto da quattro acidi elementari, ognuno dei quali è rappresentabile in forma binaria.

[29] Indagate dalla fantascienza, p. es. nei film “Matrix”, “Existenz”, “Nirvana” ecc. che provocano nuove domande (o vecchie domande con una nuova formulazione): qual’è la realtà “reale”, che cos’è l’immortalità ecc.

[30] Questo è l’aspetto “ottimista” della concezione qui proposta. E` vero che i risultati del progresso tecnico possono essere utilizzati male e a scopi egoistici, p. es. da qualche tiranno o terrorista. Ma nel momento stesso in cui egli ha postulato uno scopo egoista, cioè una forma fissa, ha segnato la propria condanna a morte, perché nessuna forma è eterna e ogni forma è temporanea e verrà distrutta prima o poi. Anche se tutta l’umanità e tutta la vita biologica venissero fisicamente distrutte, sorgeranno nuova vita e nuovi “uomini” (si veda anche la sezione 10).

[31] Ogni ente in quanto è ente, è per definizione passivo. Ma la questione è che può essere anche attivo, anche se non lo può essere esclusivamente. In quanto enti lavoriamo per il nostro superamento nel prossimo ente, ma almeno per l’ente linguistico c’è la possibilità di superare ogni ente. “Superare” non nel senso di diventare “qualcosa d’altro” (cioè, un altro ente), ma essendo l’ente che è, facendosi adeguato al proprio essere o differenziarsi.

[32] Nella “Malattia per la morte” Kierkegaard definisce lo Spirito come il rapporto (di corpo e di anima) che si rapporta a se stesso. Il “rapporto semplice” sarebbe nei nostri termini il rapporto linguistico in generale e il “doppio rapporto” sarebbe la linguistica attiva (Kierkegaard 1905: 124).

[33] Lo stesso accade se viene semplicemente mostrato l’indice – nella tradizione dello zen c’è un maestro tutto l’insegnamento del quale risiedeva semplicemente nel mostrare l’indice.

[34] Questo modo di interpretare la quarta dimensione della lingua è nostro.

[35] Il termine (reentrant circuit) è preso a prestito dalla neuropsicologia (si veda Edelman, 1992).

[36] Cf. con la nozione shinjin datsuraku del filosofo giapponese Dogen: “scartare [secondo “no”] e lasciar cadere [terzo “no”] il corpo e la mente”. Se si lasciano cadere le fissazioni del corpo e della mente, si va nel loro punto di articolazione, che noi abbiamo chiamato “lo spirito”.

[37] Questo non dice niente sul contenuto di quei punti: infatti un punto fisso può essere “motilità”, per esempio quando la taccola non percepisce la forma della cavalletta, ma solo la sua motilità (Uexküll 1992: 347). Quei punti fissi sono di due tipi secondo Uexküll: i segni percettuali (Merkzeichen) provocano dei segni operazionali (Wirkzeichen), che ambedue trovono il fattore unificante nell’oggetto esteriore, investendo l’oggetto rispettivamente di Merkmal e di Wirkmal, di cui il secondo estingue il primo, p.es. mangiare l’erba estingue la percezione dell’erba (Uexküll 1992: 322-324).

[38] Questo potrebbe essere il senso del detto buddistico “la forma è vuota, il vuoto è la forma”, dove il vuoto non deve essere inteso in senso spaziale, ma in senso temporale come la virtualità che contiene in un modo inviluppato tutte le forme, che genera tutte le forme. “Dietro” questa generazione non c’è niente, nessuna sostanza e nessun dio; il vuoto genera da se stesso con la messa in atto della potenza della memoria. Così si manifesta il ruolo effettivo, creativo del tempo.

[39] La combinazione è spaziale, la creazione è temporale.

[40] Øieblikket di Kierkegaard (Kierkegaard 1980: 82 sqq.) o Augenblick di Heidegger (1993: 344).

[41] La parola Gelassenheit di Heidegger è stata tradotta in italiano come “abbandono” (si veda Heidegger 1989).

[42] La trasformazione ovvero il differenziarsi di se stesso è idiota in doppio senso: ogni ente è idiota, ignaro in rispetto alla propria trasformazione; e in questa trasformazione diventa sempre più se stesso, idios.

[43] Si veda il Simposio 207d (Platone 1991: 142): “ ‘η θνητη φύσις ζητει, κατα το δυνατόν, ‘αεί τε ειναι και ‘αθάνατος. Δύναται δε ταύτηι μόνον, τη γενέσει, ‘ότι ‘αεί καταλείπει ‘έτερον νέον ‘αντι του παλαιου” (“[L]a natura del mortale cerca inquesta maniera come può, essere eterno e immortale. Può farlo solo con la generazione, così che sempre un altro nuovo rimpiazza il vecchio”).

[44] Forse lo Zarathustra-bambino è più grande del Nietzsche-leone?

[M1] Adesso si usa anche in italiano queste forme dove si cura a introdurre pure il femminile, come in inglese dove in vari testi si vede “his/her”?

[M2] Terzo momento, come indicato nel paragrafo precedente. Ma forse il “momento” ha un senso più strettamente temporale di quanto accade in francese e inglese, dove può significare anche “tappa”, “elemento” ecc.? E forse crea confusione che nella sezione 3, invece, uso il “momento” nel senso temporale come “unità di tempo”, un nyn greco o nüüd estone (nyn – nyn – nyn – nyn,...)

[M3] Qui c’erano punti interrogativi: ho sostituito “contratto” con “inferiore” – non so se rende il senso più chiaro. Poi ho sostituito “singolari” – che veramente era fuorviante – con “singoli”.

[M4] Qui ho veramente bisogno di consiglio – forse questa parola, usata qui in senso etimologico, comunque disturba un lettore italiano? Voglio pure implicare l’aspetto violento – ma se le connotatzioni storiche sono troppo forti, è meglio cancellare questa parola. Sicuramente non voglio fare una propaganda del nazismo e neanche del fascismo. Poi (nella sezione 5) uso in senso etimologico un altro termine di storia italiana (adesso culturale) e parlo del “futurismo” degli enti.

[M5] Sicuro che il “secondo” significa “järel”? Riferisco qui al titolo della sezione 8.

[M6] Originariamente intendevo un gioco di parole (forse inutile): universo ha volto la sua faccia... che la cosa faccia vedere il suo volto.

[M7] Doppia, perché la fissazione è una negazione del divenire, e il leone nega le fissazioni/negazioni. Dovrei spiegarlo anche nel testo? Ho parlato sopra della negazione doppia e tripla nel caso di “no” e della “morte”.

[M8] Veda il commento precedente.

[M9] Una volta ho detto precedentemente che l’ente è “reattivo”. E si condannano a morte (cioè, ad essere mortali) perché la passività significa fissazione, ma ogni fissazione è temporanea e mortale, come dice la frase seguente. Ma forse lo esprimo in modo confuso?