Amir Issaa, «Vivo per questo»

recensioni di

Sara Vaccarino III H

Simona Cocorocchio V A

 

AMIR ISSAA: VIVO PER QUESTO (Editore Chiarelettere), 2017.

Di Sara Vaccarino 

E’ la storia di un bambino e di una famiglia sempre sull’ orlo della legalità, ma anche  un viaggio appassionante nella Roma degli anni ‘80-’90  fino ai nostri giorni. Roma è narrata prima con gli occhi di un bambino che cresce in un contesto difficile, nel degrado di una borgata, segnato da un’emarginazione profonda, poi dallo sguardo di un ragazzo adolescente che s’impegna  e s’ingegna per scrollarsi di torno un destino percepito come inaccettabile e un’ etichetta affidatagli non voluta.

Il sonno di Amir viene interrotto dall’arrivo della polizia, giunta per sfrattare la sua famiglia. Lui e Fatima, la sorella, si sentono spaventati, in mezzo ad una strada fredda senza un posto sicuro dove andare. La storia inizia da qui, un momento drammatico che segnerà la sua vita, ma che non gli impedirà di fare ciò che ama e dimostrare al mondo quanto vale.

Amir Issaa cresce a Torpignattara, periferia romana da cui pochi riescono ad emergere,  a riscattarsi ed avere un futuro migliore. Attraverso il viaggio e l’avvicinamento alla Street Art, al Writing e al Rap, il ragazzo riesce a trovare una sua dimensione personale. Questa dimensione è caratterizzata dalla lotta al pregiudizio, al razzismo, che serve anche a contrastare lo stereotipo generazionale del ragazzo di borgata dal destino segnato. Di conseguenza il ragazzo decide di  non percorrere la strada in discesa verso un futuro segnato da altri e di non voler essere delinquente per diritto ereditario.

Amir lascia un segno e, attraverso l’arte, conquista il suo palcoscenico in città. La Street Art  e la musica diventano infatti il suo modo di esprimersi, di manifestare le sue emozioni e comunicare i suoi pensieri.

Il racconto mostra come si può  trovare un’identità sociale e lavorativa e come si può trovare, in una società cosmopolita come la nostra, però nonostante tutto ancora chiusa e quasi refrattaria all’ inclusività, un proprio posto, un angolo per aiutare chi cerca il motivo della propria esistenza in un’ integrazione multietnica.

La scrittura risulta pratica, fluida, assimilabile al linguaggio di tutti i giorni e adeguata al tipo di storia raccontata.

https://www.youtube.com/watch?v=v-ktbwJdmss

Amir Isaa, Vivo per questo, Chiarelettere, 2017

Vivo per questo racconta la storia di Amir, un ragazzo che vive a Torpignattara, quartiere popolare di Roma, con la madre e la sorella maggiore. Il padre, di origini egiziane, si trova in prigione per spaccio di droga. Mentre la madre fa di tutto per dare a lui e alla sorella la possibilità di studiare, di costruirsi un futuro, Amir cerca un modo per scappare; scappare da quel quartiere, scappare dalla scuola e dalle sue rigide regole e da un destino già segnato, che lo vede in strada a spacciare o in prigione, come il padre. 

Amir sa che molti si aspetterebbero questo da un ragazzo della sua età, con la sua storia; ma a lui, questo futuro già prefissato non sta bene. Per questo inizierà a  cercare un modo per esprimere la sua rabbia, la sua frustrazione e il suo desiderio di appartenenza. Inizialmente sembra che lo skateboard sia la risposta giusta: con il suo amico Roberto, salta la scuola per andare in giro sulle ruote del suo skate, provando sempre nuovi tricks;  ben presto però, lo skate non basta più. A Roma iniziano a diffondersi i primi writers, gruppi di ragazzi che si riuniscono la notte per scrivere sui muri e lasciare il loro segno. Amir entra in uno di questi gruppi e, sebbene sia il più giovane, riesce a conquistarsi il diritto di lasciare il proprio marchio personale. 

Con il passare del tempo, Amir riesce a trovare il suo posto, il suo branco, che si riunisce a piazzale Flaminio; lotta per il riconoscimento dei diritti di chi, come lui, è italiano, anche se ha origini straniere, ma non riesce ad integrarsi; e poi arriva lei, la musica. È qui che Amir si realizza pienamente, nella musica rap. Nelle sue canzoni, racconta le sue esperienze, belle e brutte, le sue lotte quotidiane e infine riesce anche a raccontare la vicenda di suo padre: fin da piccolo, infatti, aveva sempre trovato difficile parlarne, anche con i suoi amici più stretti; sentiva che in un qualche modo avrebbero provato pietà o lo avrebbero giudicato. 

Vivo per questo non è solo un romanzo di formazione; è un romanzo di riscatto, di lotta contro i pregiudizi e gli stereotipi. Ho trovato molto piacevole questa lettura, non solo per i temi affrontati, ma anche perché descrive molti luoghi che io conosco realmente, perciò ho vissuto la storia in modo più diretto. Una figura che mi ha colpito molto, anche se rimane sullo sfondo, è la madre di Amir: una donna che si sveglia alle cinque, che fa più d un lavoro per aiutare i figli e permettere loro di fare una vita dignitosa. Ho ammirato molto la sua capacità di sacrificarsi per il bene della sua famiglia. Molto interessanti sono anche le informazioni che Amir ci da sulla storia del writing e della sua diffusone sulle scene romane, così come della musica rap. In conclusione, è un libro che consiglio a tutti, in particolare a chi, come Amir, non permette a nessuno di farsi mettere delle catene addosso.

Per quanto riguarda lo stile di scrittura, sono rimasta molto sorpresa. In fondo, Amir vive in una periferia romana, scrive le sue canzoni usando anche il dialetto e mi aspettavo che il libro fosse scritto allo stesso modo. Invece mi sono ritrovata davanti ad una sintassi praticamente perfetta e scorrevole, come se Amir avesse raccontato la sua storia a qualcuno che poi l’ha trascritta, infiocchettandola. Mi sarebbe piaciuto leggerla così come quasi sicuramente è stata raccontata.