Scrivere... che passione!

Laboratorio di scrittura 

LE INTERVISTE IMPOSSIBILI 

I DIALOGHI IMPROBABILI 

A. S. 2022 - 2023

Fahrenheit 451 - Mildred  incontra Clarisse

di Francesca Ermeti e Isabella Piovesan, IA


Mildred: Tu dovresti essere la ragazza di cui parla sempre Guy! Clarisse, giusto?

Clarisse: Si sono io! Mi fa piacere che il signor Montag le abbia parlato di me, come mai è a piedi?

Mildred: Oh, mi è successa una tale catastrofe… la mia macchina si è rotta e avevo bisogno per forza di andare a comprare qualcosa da mangiare.

Clarisse: Se posso permettermi mi sembra una splendida giornata per passeggiare, credo la sua sia stata una fortuna, guardi che bel cielo… 

Mildred: Immaginavo fossi una strana ragazza…. comunque sarei potuta rimanere a parlare con la mia famiglia, poveri mi staranno aspettando, devo sbrigarmi.

Clarisse: Potrebbe rimanere ancora qui per un po’ a godersi il caldo e a parlare, sono sicura che la sua “famiglia” potrà capire, insomma ci parla ogni giorno…

Mildred: No, tu non puoi capire! E non ti permettere di parlare in questa maniera dei miei familiari, non li conosci! Tra di noi abbiamo un grande rapporto, non possiamo stare troppo tempo senza parlarci. Ora che ci penso, perchè sto parlando con te? Potrei essere arrivata già a casa.

Clarisse: Io credo che ci sono volte in cui dobbiamo lasciar perdere gli altri e imparare ad esplorare noi stessi, osservare il cielo, il paesaggio, tutto ciò che ci circonda e le cose che stiamo perdendo…

Mildred: Ma non dire sciocchezze, ragazza! Se desideri rilassarti e liberare la mente sali su una macchina, premi l’acceleratore  e corri, corri più velocemente che puoi! Supera i duecento, i trecento chilometri orari, supera ogni limite con quelle sfreccianti automobili.

Clarisse: No, perchè mai? I limiti non si superano con la velocità di una macchina ma con i nostri passi, le nostre esperienze, i nostri incontri, è proprio in questo modo che ho incontrato il Signor Montag: una sera eravamo assorti nei nostri pensieri che alla fine si sono rivelati molto simili.

Mildred: Basta così, non voglio più ascoltarti! Dirò a mio marito di non frequentarti più.

Clarisse: Non faccia questo, la prego! Il Signor Montag è l’unica persona alla quale interessa veramente di cosa parlo, lui sa ascoltarmi, credo ci sia qualcosa in lui di diverso, per caso legge libri? A me può dirlo…

Mildred: O mio dio, questo è troppo! Mio marito fa il pompiere, ragazzina, sai cosa vuol dire? Vuol dire che i libri li brucia, figuriamoci se li legge! Non posso perdere altro tempo, soprattutto con una persona come lei… i libri hahah…

(Mildred si allontana quando Clarisse la prende per un braccio)

Clarisse: Per favore Signora Montag, per caso ha paura che suo marito stia leggendo dei libri? Questa società purtroppo non è ancora pronta ad aprire le porte alla cultura ma io, lei e il Signor Montag possiamo essere pronti a combattere affinchè ci sia libertà!

Mildred: Come ti permetti, lasciami!

(Mildred  si allontana a passo veloce)

Clarisse: Va bene, ma non si dimentichi, possiamo cambiare il mondo solo cominciando a cambiare noi stessi!

Libriamoci 2021: Mettiamoci in gioco.

Componi un racconto che inizia cosi:

«21 Marzo 2030: quando si svegliò / mi svegliai, tutto era cambiato...».

21 Marzo 2030: quando si svegliò, tutto era cambiato.

di Diletta Capograssi, IV G


Sandro aprì gli occhi su un suolo ben diverso da dove si era addormentato. Sentiva ancora l’esplosione nelle palpebre e il tremore nelle ossa, tutto ciò che provava era una gran confusione:

Dove era il soffitto del laboratorio? Cos’era quell’odore grave che aveva sostituito quello pungente dei sieri e degli infusi? Sopra di lui si estendeva il cielo nuvoloso e sotto un ruvido pavimento durissimo, nero, come la prima fase alchemica.

Doveva essere quella magia, quel maledetto intruglio che aveva toccato, a creare l’illusione. Mai, però, avrebbe potuto creare con la mente quella realtà. Solo centinaia di anni, milioni di uomini, ore di ricerca e conflitti erano in grado di produrre ciò che vedeva.

Una strada: era stato trasportato all’esterno, su una strada che non riconosceva. Intorno a lui, palazzi che neanche nella mente del Brunelleschi potevano essere eretti: grigi e altissimi, perfettamente uguali, quasi specchiati.

Al contrario, perfettamente disomogenee erano le strane carrozze: macchinari variopinti, di varie dimensioni sfrecciavano davanti a lui, confusionarie come i suoi pensieri in quel momento. La paura si accentuò all’improvviso al rumore lampeggiante di un potente raggio blu, su una delle vetture, il cuore perse un battito.


Sentii il cuore perdere un battito quando atterrai finalmente sull’asfalto, solido sotto ai miei piedi, evitai per un soffio una macchina ancora a benzina saltando sul marciapiede e la guardai con curiosa nostalgia. Ricordai quando ero arrivato nel 2030 dal passato: era straordinario. Tuttavia, venendo dal futuro, lo ritenni ancora più meraviglioso. 

Lo schermo che ancora tutti sognavano proiettava il celebre annuncio della fine della pandemia.


Sempre più affannato, Sandro vide illuminarsi una tavola: un uomo stravagante, con la veste intonata agli edifici parlò in qualche dialetto lontano: 

«Oggi, 21 Marzo 2030, l’ultimo malato di Sars CoviM28 si è ristabilito. È la fine delle pandemie dello scorso decennio».

Indietreggiò, inciampando nei calzari di cuoio e pensò di non alzarsi più. Era il 2030, più di 500 anni avanti nel tempo. Più di 500 anni lontano da casa.

Perché suo padre avrebbe dovuto tenere una sostanza così poderosa nel suo laboratorio? Non bastavano le accuse e le scomuniche per tenerlo lontano da quella pianta miracolosa? Era forse l’anno giusto per trovarla, a 502 anni di distanza dalla peste?

E cosa stava facendo il padre ora, nel suo tempo? Senza di lui e senza l’alambicco? Probabilmente pensava a lui. Gli avrebbe infuso fiducia, poteva essere la speranza del suo progetto.

Realizzò all’improvviso che la speranza si respirava anche intorno a lui. Era negli alberi in fiore e in quelle due persone, in lontananza, che si riunivano in un abbraccio, fondendosi nel simbolo di buon auspicio del Bismuto che conosceva sin da piccolo.

Doveva trovare la pianta.


Dovevo trovare la pianta. Di nuovo, la soluzione poteva essere lì, in quell’anno di pausa, prima che riprendessero l’epidemie e la paura, in quella pianta che continuava a tormentarmi.

Respirai avido l’odore dolce del sollievo e rimasi a guardare i grandi gesti nelle strade: saluti, abbracci, persone che camminavano per mano, vestiti con la moda degli anni ‘30, anche vecchi e bambini, come nei miei primi ricordi di ragazzo, tempi lontanissimi, più di 500 anni prima. 


Aveva bisogno di risposte. Per schiarirsi le idee aveva bisogno della gestualità severa e magica degli esperimenti alchemici del padre. Di sentirla vicina a sè. Contrada Terranova non doveva essere lontana, la speranza lo fece correre veloce. Tutto quello che cercava, però, non c’era più. Un enorme e anonimo magazzino aveva fagocitato secoli di scienza, cultura e magia. 

Il legame con il passato si infranse nei suoi occhi e fuggì dalla realtà che aveva davanti. Corse, dove sapeva che il padre doveva necessariamente trovarsi. Tutto era sepolto, e allora si recò alla tomba di famiglia.

Intorno al piccolo cimitero dei suoi ricordi, era stata costruita una vera città. Nella parte monumentale rintracciò un’iscrizione sulla lapide: la donna con il sole e la luna, la morte e la rinascita. Il nome quasi non si leggeva più, ma le date corrispondevano.

Mai si era sentito così solo, nè così stanco, davanti all’illusione che diventava realtà, si inginocchiò con la testa sulla lapide. Si sorprese di trovarla calda, coperta da un muschio soffice e profumato: portandoselo al volto, le lacrime degli occhi ingigantirono la foglia: la donna era lì, coi simboli del sole e della luna.

Dei passi alle spalle lo fecero voltare. 

Si riconobbero, e all’unisono:

“Grazie papà, ci hai salvato due volte”.

21 Marzo 2030: quando mi svegliai, tutto era cambiato; lei non c’era più. 

di Caterina Isacchini 2A

La scoperta fu come una pugnalata al cuore, dolorosa e inaspettata. Stentavo a credere che fossimo riusciti a ridurla tanto male da distruggerla, renderla irriconoscibile e non lasciarle via di scampo. Era sparito il verde dai suoi occhi e anche le lacrime che avevano bagnato il suo volto erano sporche, inquinate; i segni del nostro arrivo erano sparsi su tutto il suo corpo e rovinavano con la loro crudeltà la sua angelica bellezza. 

Ricordo ancora quando avevamo promesso di salvarla; bugiardi. Ci piaceva l’idea di riuscire a sconfiggere quel nemico che ci sembrava un mostro imbattibile, con parole vuote e pochi fatti che non riuscivano a rallentare la sua avanzata, anzi, a volte la aiutavamo e diventavamo parte di quel nemico che giuravamo di fermare.

Uscii di casa con riluttanza, l’atmosfera cupa e i volti spenti e colmi di rimpianto, mi suggerirono che non ero stato l’unico a ricevere l’orribile notizia.

“Cosa abbiamo fatto?” mormorai, guardandomi intorno.

“Un errore.” mi rispose un uomo di mezza età, con un tono serio e il volto in parte coperto da un cappello elegante, “Un errore a cui dobbiamo rimediare.”

“Ma come? Guardi come l’abbiamo ridotta.” ribattei.

“Dobbiamo sperare in una seconda possibilità e quando si risveglierà, non dovremo più commettere errori. Dobbiamo amarla, rispettarla ed aiutarla a rinascere più splendente di quanto non sia mai stata. Dobbiamo imparare da questa disgrazia e non ignorare mai più il suo dolore, cogliere le sue richieste d’aiuto e per nessun motivo dobbiamo peggiorare la sua situazione. Non penso avremo mai una terza possibilità, quindi non dobbiamo sprecare quella che avremo, se ne avremo un’altra.” dopo aver detto queste parole, girò le spalle e si mise a camminare con passi lenti e a cadenza regolare, la testa balla e le mani incrociate dietro la schiena.

La sua risposta mi lasciò con una sensazione di responsabilità che non avevo provato prima e capii per la prima volta quanto inutile fosse piangersi addosso: lei aveva bisogno di noi, di tutti noi e non delle nostre lacrime e delle nostre parole vuote, ma di fatti.

Volevo vederla sorgere di nuovo, volevo vedere il verde dei suoi occhi splendere, le lacrime sparire per lasciare spazio alla sua bellezza, la sua pelle non più rovinata dal nostro passaggio e finalmente libera di non accontentare più le nostre richieste egoiste a sue spese. Volevo vederla viva, di nuovo e volevo che restasse tale per sempre.

Quel giorno, fu come se tutti ci facessimo una silenziosa promessa: l'avremo salvata e questa volta sarebbe stato per davvero.

21 marzo 2030: ha inizio la nostra missione. 

Iniziammo ad ascoltarla di più, curammo con lei le ferite che le avevamo procurato, una dopo l'altra, senza arrenderci neanche quando ci sembrava impossibile.

In fondo, non era poi tanto complicato, erano solo piccoli passi necessari. E ne valse la pena. Ogni singolo sacrificio, ogni attimo impiegato a prenderci cura di lei fu ripagato dallo spettacolo magnifico che era la sua rinascita, come quella di una Fenice che nasceva dalle sue ceneri e diventava una creatura fiera e splendente. Riconoscevo di nuovo la sua bellezza armoniosa, i suoi colori perfetti come fossero stati scelti dal migliore dei pittori e finalmente la vedevo libera dalla gabbia in cui l'avevamo rinchiusa. Ne era valsa la pena. 

“Oh, Terra, come è possibile che siamo arrivati al punto di rischiare di perderti?” sussurrai tra me e me, mentre ammiravo i fiori che erano tornati a ricoprire i prati verdi e curati che avevano sostituito l’imponente mantello di rifiuti. Quel periodo mi aveva insegnato tanto cose, come quanto un gesto che a noi sembrava prima così innocuo potesse invece contribuire alla rovina di ciò che di più importante esisteva e sarebbe mai esistito. Gesti banali: una luce lasciata accesa per troppo tempo, una lattina gettata sulla spiaggia, una stufa usata senza che ci fosse bisogno, una macchina guidata per distanze fin troppo brevi: era assurdo quanto queste cose che credevamo irrilevanti avessero invece portato la Terra al punto di renderla irriconoscibile, quasi morta.

“Sono fiero di tutti voi. Avete fatto un lavoro straordinario,” iniziò a parlare il signore di mezz’età che avevo incontrato sulla strada quel 21 marzo. “ma oggi non sono qui perché ho una cosa da rimproverarvi che non posso ignorare e vi prego di starmi a sentire. Perché per iniziare finalmente a preoccuparvi della sua salute è stato necessario vederla sull’orlo della fine? Perché non vi siete mossi prima?” nessuno gli rispose.

21 Marzo 2040: non abbiamo imparato niente, dobbiamo ricominciare tutto di nuovo. Forse almeno questa volta impareremo la lezione.