Monet a Roma

COMPLESSO DEL VITTORIANO 

19 OTTOBRE 2017 - 3 GIUGNO 2018


Recensione di Giulia Greffi

“Una buona impressione si perde così velocemente...” diceva Monet, ma sicuramente l’artista francese è riuscito a cogliere quell’attimo fuggente e ad imbrigliarlo nei suoi bellissimi quadri, che si possono ammirare nella mostra ospitata a Roma, nella sede del complesso del Vittoriano fino al 3 giugno. 

Le opere presenti (60) provengono dalla casa dell’artista a Giverny e furono donate dal figlio al Musée Marmottan Monet di Parigi. L’ambiente espositivo è un po' piccolo e affollato, soprattutto nelle prime sale, ma è compensato dai bellissimi affacci su Piazza Venezia e dalle installazioni multimediali.

All’inizio si è accolti da pannelli con frasi dell’artista e un piccolo filmato introduttivo sulla vita e le opere di Monet. Si passa poi in un tunnel in mapping, che proietta video che ricostruiscono il ponte giapponese della casa di Giverny, dando l’impressione di essere immersi in un mare di ninfee.


Le opere, molto rare, attraversano varie fasi della vita di Monet, anche se si concentrano prevalentemente sull’ultimo periodo. Le prime sono le famose caricature degli anni ’50 dell’800, quando l’artista era ancora giovanissimo, che colpiscono per la loro forza comunicativa e la capacità di cogliere tratti della personalità umana, enfatizzando quelli fisici. 


Sono esposti poi i ritratti dei figli e vari paesaggi rurali e urbani di Parigi, Londra, Vétheuil, Pourville tra cui “Vétheuil nella nebbia”, “Londra. Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi”, “Il treno nella neve. La locomotiva”. 


Il secondo piano dello spazio espositivo è dedicato alla natura e alle grandi tele delle ninfee, dei glicini, dei salici e del ponte del suo giardino a Giverny, dove visse per più di quarant’anni, e che lui amava profondamente. 

Nelle ultime opere, dipinte da Monet quando è ormai quasi cieco, lo stile si fa sempre più astratto, si intravede il bianco della tela e i riferimenti spazio-temporali si perdono.

Un corridoio in discesa su cui è proiettata l’immagine di uno stagno con le ninfee, accompagna il visitatore alla fine della mostra, dandogli l’impressione di camminare sull’acqua.

La dimensione immersiva di quest’esposizione, ricreata grazie agli effetti multimediali e alle opere scelte, che attraversano tutta la vita dell’artista, permette di cogliere l’evoluzione artistica del padre dell’impressionismo.

Nero abolito, è Monet a Roma

Livia Di Giannantonio - III Q

In esposizione al Complesso del Vittoriano 60 opere del padre dell’Impressionismo provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi

Una suggestiva “immersione” nelle opere di Claude Monet, attraverso un tunnel in cui vengono proiettate immagini tra le più belle e le più famose, introduce alla mostra ospitata nell’Ala Brasini del Complesso del Vittoriano a Roma. Si tratta di un vero e proprio viaggio nella vita dell'artista, nella sua idea di giardino, attraverso le opere che egli conservava nella sua amatissima dimora di Giverny, in Normandia. Qui ideò e rese realtà il suo celebre giardino e si fece costruire anche il famoso laghetto delle ninfee, prendendo come spunto i motivi delle stampe giapponesi, all'epoca molto diffuse a Parigi e da lui molto amate perché capaci di dare la giusta importanza ai colori e alla luce. Così le ninfee e le altre piante acquatiche, gli alberi e i fiori, quel posto magico con il suggestivo ponte sospeso in mezzo ai salici, divennero il suo laboratorio “en plein air”, all’aria aperta, dove il suo genio, tra la luce assoluta e la pioggia fitta, tra le minime variazioni atmosferiche e il sole e gli effetti delle ombre date dalle diverse ore del giorno – motivo per cui ripete molte volte lo stesso soggetto - riuscì a tramutare i colori e tutte le sue sfumature, senza mai usare il nero, in vera e propria energia. 

“Il mio giardino è l’opera d’arte più bella che io abbia creato” (Claude Monet)

La mostra è strutturata in sei sezioni. Inizia con la sezione "Una famiglia-Un Museo", dedicata appunto alla famiglia e al suo importante ruolo nella vita di Monet, che vede esposti i ritratti dei figli Jean e Michel. Continua con "Le caricature", a partire dagli anni del collegio a Le Havre e che spesso corrispondono a persone realmente esistite, come la Vecchia normanna (1857) e la “Giovane donna al piano verticale” (1858). Prosegue con la sezione "Monet cacciatore di motivi", dedicato ai suoi continui viaggi, dove Londra e la sua nebbia furono rappresentati in quadri-simbolo del suo percorso artistico, come Il Ponte di Charing Cross (1901), anche nella versione avvolto nella nebbia (1902) e Londra, Il Parlamento, Riflessi sul Tamigi (1905). Poi "I ponti giapponesi e salici piangenti" (Il ponte giapponese, 1918-1919; Salice Piangente, 1921-1922), le "Ninfee" grandi, dai colori evanescenti e sfumati (Ninfee e Agapanti, 1914-1917 - Ninfee, 1916-1919), e infine gli splendidi "Pannelli monumentali" (Ninfee, 1917-1919) un vero paradiso per gli occhi degli amanti delle tele più “floreali” del pittore.

Un’attenzione particolare merita Le Rose (1925-1926), un quadro di grande formato – l’ultimo di Monet - nel quale il colore è un tutt’uno con la forma: rose e foglie in un ramo proteso in un cielo azzurro, abbagliante.

Ma i glicini e soprattutto le ninfee del suo laghetto, sono i soggetti preferiti degli ultimi trent’anni dell’artista, riprodotti in modo ossessivo in circa duecentocinquanta opere nelle varie sperimentazioni cromatiche. 

Quei fiori così particolari, simboli della sua pittura, catturano l'attenzione che viene completamente assorbita dal gioco di luci e di colori che rendono “l’impressione”, suscitando un effetto di ammirazione mista ad attrazione, provocando una delicata emozione.

Monet arriva a Roma!

di Federica Maccaroni, 5A

L'Impressionismo sbarca a Roma dal 19 ottobre al 3 giugno nel complesso del Vittoriano che ospita uno dei più grandi impressionisti: Monet. La mostra espone 60 opere provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi, i cui dipinti a loro volta provenivano dalla casa di Giverny dove l'artista e il figlio le conservavano. Al Vittoriano viene illustrato il percorso di Monet e l'evoluzione della sua pittura, dagli anni giovanili a Le Havre fino alle ultime tele raffiguranti le  ninfee.

Già all'età di 15 anni, Monet si cimentò per la prima volta nel disegno e specialmente nella caricatura. Dopo la prima sala , dedicata alle  caricature giovanili e ai ritratti dei figli e della moglie si passa nella seconda dove si è avvolti dai paesaggi rurali e urbani di cui il primo è “Il treno nella neve”. Nel dipinto Monet rappresenta al tempo stesso la velocità e il progresso  di una società che stava cambiando profondamente. Egli ha intuito l'importanza dei giochi luminosi ed ha impiegato un nuovo metodo di pittura che comprendeva l'utilizzo di ombre colorate, pennellate fugaci e  il rifiuto del colore nero. Monet tenta di fissare l'istante, imbevuto di una particolare condizione luminosa . Da un soggetto urbano dove la fugacità ha il ruolo principale si passa alla “Spiaggia di Pourville”, dove a prendere il posto dominante sono i colori che si mescolano tra loro ma che al tempo stesso riescono a dare grande profondità all’ambiente.  Nella sezione successiva, una Londra tristemente riflessa sul Tamigi sembra perdere ogni consistenza, sorgendo come un'apparizione nel quadro “Londra. Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi”.

Fonte d'ispirazione di molti  capolavori dell’artista fu Giverny, località nella quale Monet si trasferì nel 1890  e dove si diede alla creazione di un giardino acquatico: deviando il corso di un torrente, riuscì a formare uno stagno in cui iniziò a coltivare molte varietà di fiori, tra cui le ninfee che diventeranno uno dei suoi soggetti preferiti, dedicandosi allo studio degli effetti della luce sull’acqua.  Del suo giardino lo stesso Monet afferma: " Il mio giardino è l'opera d'arte più bella che io abbia creato".                                                                                        Monet, tenendo ancora fede alla lezione impressionista, dipinse il “Ponte Giapponese” caratterizzato da un sapiente uso dei colori e dall'effetto di luce che quest'ultimi riescono a regalare. Immerso nella vegetazione, il ponte di legno in stile giapponese diventa il protagonista indiscusso in uno spazio continuo privo di coordinate spaziali.

La guerra e i problemi con la vista lo porteranno a dipingere il “Salice piangente” riempiendo la tela di onde colorate. Nel dipinto  le “Rose” la forma quasi si disgrega lasciando posto ad una visione più astratta; nonostante la sua incompiutezza, il quadro avvolge lo spettatore in una sensazione di serenità e pace. I colori si sfiorano, si mescolano dando luminosità; una realtà filtrata dagli occhi dell'artista dove la natura diviene lo specchio delle passioni umane.

Una mostra unica che  permette di immergersi in un viaggio nell’arte con le sue mille sfaccettature, grazie anche all’uso della tecnologia come strumento che avvicina e  pone il pubblico a diretto contatto con le opere. Monet fece della pittura ‘en plein air’ uno stile di vita riuscendo a cogliere, ogni volta, tutte le variazioni della luce e dei colori.  Nessuno come Monet ha saputo cogliere la realtà  riproponendola sulla tela con eleganza e delicatezza singolari. Si rimarrà  affascinati da una tale bellezza.

Monet: Il fascino senza tempo dell'Impressionismo

 Chiara Zingoni e Sara Di Gaetano IV D

Ai più interessati all'arte, proponiamo l'affascinante mostra di Monet a Roma al Complesso del Vittoriano; mostra che ha riscosso così tanto successo da essere stata prorogata fino al 3 giugno 2018! 

L’allestimento delle opere è curato; descrive in ordine cronologico le tappe fondamentali della vita dell'autore Monet, partendo dalla giovane età quando disegnava delle caricature fino a poi arrivare alla vecchiaia con le sue opere più astratte. La mostra è preceduta da un corridoio costituito da pannelli su cui vi sono proiettate le opere più belle e più significative della vita dell'artista. 

Claude-Oscar Monet nacque a Parigi nel 1840 e morì a Giverny nel 1926; è stato un pittore francese, considerato uno dei fondatori dell'Impressionismo. Cominciò a dipingere fin da piccolo e questa passione lo accompagnò per tutta la vita. Si iscrisse all'Académie Suisse dove perfezionò la sua tecnica. Si interessò alla natura e inizialmente le sue opere vennero contestate anche dalla Critica che le riteneva dei semplici bozzetti, in quanto non definiva i soggetti rappresentati. 

Sono esposte molte opere, tutte con caratteristiche  comuni come l'acqua e la natura. Il soggetto preferito di Monet infatti era l'acqua poiché riflette molteplici colori e sfumature diverse che lo stesso pittore si divertiva a ricreare con la sua tavolozza, scomponendoli; nelle sue opere creava la prospettiva con il colore e non definiva gli elementi strutturali, per permettere all'osservatore di concentrarsi sulla percezione del paesaggio. 

Mostra di Monet

di Martina Tecce III H

"Io devo forse ai fiori l'essere diventato pittore."


Luogo di esposizione: Complesso del Vittoriano - Ala Brasini, Roma

Durata dell'esposizione: 19 ottobre 2017 - 3 giugno 2018

Opere esposte: 60 opere provenienti dal "Musée Marmottan Monet" di Parigi

L’Esposizione è divisa in ordine cronologico in base a quelle che sono state le tappe artistiche fondamentali del pittore. La comprensione dei quadri è facilitata grazie alla spiegazione e illustrazione di questi ultimi attraverso le audio-guide che sono incluse nel prezzo iniziale del biglietto d'ingresso.

Nella prima sala sono esposti i primissimi esperimenti di Monet: le caricature e alcuni ritratti dei figli, grazie ai quali iniziò a farsi conoscere e a guadagnare.

Nella seconda sala vengono mostrati i primi dipinti dell'artista, i quali rappresentano già una evoluzione della tecnica. La principale ragione di questa variazione tecnica è dovuta all'invenzione dei colori a tubetto; scompaiono le pigmentazioni naturali  e i nuovi colori ad olio sono più resistenti e facili da stendere sulla tela, oltre ad essere più luminosi. 

Monet inizia a dipingere paesaggi, abbandonando del tutto la ritrattistica. Il pittore utilizza i colori chiari come base, gli effetti di prospettiva sono successivamente aggiunti con colori più lucenti. 

Una fase successiva dello stile pittorico di Monet, è quella in cui dipinge uno stesso soggetto più volte. Prende ispirazione dai primi film che iniziavano ad acquisire popolarità; replicando il quadro cercava di imitare proprio i brevi cortometraggi dell'epoca. Questa nuova tecnica aveva come scopo quello di rappresentare lo "scorrere del tempo" e lo "svolgimento dell'esistenza". La scelta delle serie deriva dalla filosofia che anima la pittura di Monet: quella di ritrarre la natura così com’è, sempre in mutamento, per cui anche riprendere sempre lo stesso soggetto non significa riprodurre lo stesso dipinto in quanto luce, vento e ombre restituiscono agli occhi dell’artista un soggetto sempre nuovo.


L'ultima fase pittorica di Monet è forse la più famosa, quella delle “Ninfee”. Furono gli anni più intensi della sua carriera artistica ma anche della sua vita privata. Non uscì quasi più di casa, trascorreva intere giornate a dipingere lo stagno nel suo giardino che si era fatto appositamente costruire, nel quale erano coltivate le ninfee. Negli anni immediatamente successivi, intorno ai primi del Novecento, l'artista ebbe gravi problemi di cataratta, che lo resero quasi cieco. Fece diverse operazioni agli occhi, tre per la precisione, ma furono tutte fallimentari. Nonostante la cecità quasi totale, Monet pagava sei giardinieri affinché ogni giorno curassero il suo giardino, per poter prendere la massima ispirazione possibile dalle piante.

Gli ultimi suoi quadri sono confusionari, astratti, ma non si ha la certezza che li abbia dipinti in questo modo a causa della mancanza della vista o grazie ad un'altra delle sue ispirazioni geniali ed innovative. Secondo alcune testimonianze, dopo il terzo intervento agli occhi riuscì a recuperare parzialmente la vista e, non appena ne ebbe l'occasione, bruciò le sue ultime tele perché non le ritenne sufficientemente belle.

Ninfee (1916-1919)

Olio su tela, 130x152 cm; Parigi, Musée Marmottan Monet; © Musée Marmottan Monet, Paris; © Bridgeman-Giraudon / presse 

L'intero percorso della mostra è arricchito da proiezioni multimediali che catturano l'attenzione dei visitatori, da piccoli oggetti appartenenti alla vita quotidiana di Claude Monet, come i suoi occhiali e una tavolozza, e da citazioni dipinte sulle pareti delle varie sale, alcune dello stesso artista, altre dalle quali prendeva ispirazione mentre dipingeva.

Tra gli impressionisti, Monet ha realizzato tanti lavori di grande importanza ed oggi sono tra i quadri più belli di sempre. Ho apprezzato la mostra sia per la scelta delle tele esposte, sia per l'allestimento generale. Non sono presenti solamente le opere più famose, bensì nel palazzo del  Vittoriano possono essere ammirati quadri anche meno conosciuti, ugualmente belli. Secondo il mio punto di vista, la collocazione di alcune citazioni sui muri ha un'utilità non indifferente: arricchiscono la visita, in quanto non si osservano solamente i dipinti, ma si scoprono anche curiosità aggiuntive che non riguardano l'ambito lavorativo del pittore; d'altra parte, "spezzano", per così dire, il susseguirsi continuo di quadri regalando al visitatore una breve pausa. 

Per quanto riguarda l'illuminazione, posso affermare che sia l'unico punto debole dell'allestimento. Alcuni dei quadri esposti, specialmente quelli che raffigurano luoghi innevati e che quindi tendono ad essere molto chiari, non possono essere osservati in modo pienamente soddisfacente a causa della luce troppo bianca che nasconde e offusca i piccoli dettagli.

La mostra ha avuto senza dubbio una forte impatto sulla città di Roma e sui suoi abitanti, ma non solo, in quanto attira anche un numero notevole di turisti. Monet è un pittore molto apprezzato, perciò l'esposizione dei suoi quadri in un luogo storico così importante non poteva che avere un risultato positivo, tanto da essere stata prorogata di circa quattro mesi.