Cristo si è fermato a Eboli

di Virginia Vaccari

CRISTO SI E’ FERMATO A EBOLI (di Francesco Rosi, 1979 Italia)

incontro ASL del 9 aprile  2018 

progetto: CINE900

di Virginia Vaccari


Cristo si è fermato a Eboli è un romanzo autobiografico dello scrittore Carlo Levi scritto tra il dicembre del 1943 e il luglio del 1944. Dal romanzo nasce il film diretto da Francesco Rosi del 1979.

Lo scrittore negli anni del fascismo fu costretto al confino per le sue attività antifasciste in Basilicata: l’incontro con il mezzogiorno lo conduce a nuove esperienze, raccontate in questo romanzo.

Il film si apre con il protagonista che racconta le sue esperienze a Gagliano, un paesino sperduto dell’entroterra lucano, iniziata in agosto accompagnato da due ufficiali. Il primo impatto con questa nuova cultura fu molto brusco, sia per la nostalgia di casa sia per il luogo chiuso e sperduto che gli suscitava l’idea della morte. 

Nella prima passeggiata in paese, il protagonista incontra il podestà e i due medici del paese i quali non avevano nessuna competenza medica, tanto che i cittadini iniziarono a richiedere consulenze al protagonista stesso. Gli incontri successivi furono con la sorella del podestà ed il parroco del paese, assegnato a Gagliano per la sua tendenza alla pedofilia. A causa dei frequenti incontri e all’arrivo di sua sorella, Levi cercava un po’ di solitudine, trovata nel cimitero del paese. In questo luogo Levi ritrova la sua serenità, e inizia a dipingere ispirato dal paesaggio. 

A causa della morte di un parente fu costretto a tornare a Torino. Il ritorno nella sua città natale e l’incontro con i parenti e gli amici non gli suscitano nessuna emozione positiva ma un sentimento di distacco, in quanto si rende conto che la sua esperienza al confino e la conoscenza dell’Italia meridionale gli hanno profondamente cambiato la vita.

Al suo ritorno in Lucania lo aspettano alcune novità come l’arrivo del nuovo parroco. 

Qualche tempo dopo, in mezzo all'euforia fascista per la conquista dell'Etiopia e al dispiacere dei contadini, Levi riceve la liberazione dal confino con due anni di anticipo e, con la descrizione del suo triste viaggio in treno, termina il romanzo ed il film.  

Il nuovo mondo scoperto da Levi è un mondo primitivo, pieno di superstizioni. Il contatto con i contadini, che non giudica ma comprende, schierandosi dalla loro parte, si risolve con la decisione di diventare il loro medico al posto dei medici locali, nonostante sia laureato in medicina ma non abbia mai esercitato la professione.

Il titolo è molto importante, Eboli è il paese campano dove, una volta abbandonata la costa, si fermano la strada e la ferrovia; superato tale punto, si arriva nelle terre aride, desolate e dimenticate da Dio della Basilicata. I contadini di questa terra non appartengono ai comuni canoni di civiltà, ma sono inseriti in una Storia diversa, che ha un sapore magico e pagano, una Storia nella quale Cristo non è mai arrivato.

Il film è pervaso da una sensazione di immobilità rurale, di assenza di tempo, il regista è bravo a cogliere con pochi segni una mentalità così lontana da quella cittadina, una realtà che lascia scoprire al protagonista un mondo a lui sconosciuto. I discorsi del Duce, la guerra, tutto resta desolato e lontano agli occhi della popolazione della Basilicata spesso legata alla superstizione, dando così modo a Levi di riflettere sulla funzione dello Stato, dei cittadini e sulla questione meridionale. Un film sobrio, essenziale diretto con maestria.

La qualità dell'interpretazione è elevata sia da parte del protagonista, Gian Maria Volonté, sia dai personaggi marginali. Il ritmo è avvincente e il rigore storico ne fanno un film da godere ed un film da cui trarre un insegnamento. Ciò che mi ha colpito è la dignità con cui ogni personaggio viene descritto, dignità che nonostante l’ignoranza ed il forte legame con la superstizione non viene mai meno.

Tutto il film, La pellicola, come il romanzo stesso è caratterizzato dalla presenza dei paesaggi della Basilicata, che rendono l’atmosfera del film molto piacevole sia per lo spettatore che per il protagonista stesso poiché permettono di distaccarsi dalla monotonia e la desolazione di Gagliano.