G. Zagrebelsky

Diritti per forza

Einaudi 2017

di ANDREA MURATORE  4G


Diritti per forza è un libricino tascabile, facilmente maneggiabile, a stento supera le 100 pagine, ma in un così breve pamphlet si concentrano svariate idee innovative. Da un giurista della levatura di Zagrebelsky, impostosi nello scenario politico italiano per la strenua opposizione al “Sì” nella campagna referendaria dello scorso 4 dicembre, ci si aspetterebbe un saggio oltremodo erudito e difficilmente comprensibile, ma non è questo il caso. Zagrebelsky, con grande maestria, riesce ad esprimere concetti ineccepibili, ma che in molti, dai politici ai cittadini, faticano a comprendere ed utilizzare correttamente. Il suo è prima di tutto un appello ai cittadini ed un monito alla classe politica dominante.

 “Perché oggi, dice Zagrebelsky,  la rivendicazione di diritti, invece che promuovere diversità e diversificazione, spinge all’uniformità e all’omologazione”. 

Paradossalmente e drammaticamente coloro che rivendicano i propri diritti rischiano di finire sotto il giogo dei potenti, che si servono dei diritti come slogan da adottare in campagna elettorale a soli fini propagandistici.  Zagrebelsky stigmatizza  grandi discorsi, proclamazioni, convegni e trattati, che nulla hanno fatto per migliorare le condizioni dell’umanità ed insiste sul fatto che  bisogna prendere coscienza della “valenza aggressiva dei diritti accampati da chi può nei confronti di chi non può”. Il diritto del quale si abusa maggiormente è quello al proprio “stile di vita”,  sulla cui legittimità in tutta Europa va ingaggiandosi una lotta che sembra voler rivendicare i più disparati diritti d’ogni tipo ma che, alla fine, vede minati i più significativi. Zagrebelsky sottolinea la tendenza dell’uomo a voler  ignorare che l’essere umano può avvalersi del diritto di adottare un certo stile di vita solo ed esclusivamente se esso non interferisce con lo stile di vita degli altri e nella misura in cui non lede gli altri. 

Attualmente, coloro che affermano di poter difendere un proprio stile di vita, sono parimenti incapaci di garantire la tutela di quello degli altri. 

Una conclusione, suggerisce Zagrebelsky, è che “l’identità fa la sua apparizione come diritto dei popoli”; l’identità di un popolo, assumendo connotazioni aggressive, si scontra con quella degli altri popoli, facendo sorgere uno scontro identitario  nel quale nessuno riesce più a riconoscersi. 

Dal libro emerge quasi una sorta di  preoccupazione nei confronti del diritto, che è ambivalente e presenta una doppia faccia, una doppia funzionalità. Infatti, i diritti sembrano essere strettamente legati alla concretezza materiale di un individuo ma  se tale individuo possiede una concretezza materiale che gli consente di soddisfare i propri bisogni fisiologici ed esistenziali, allora userà i diritti per la sua “autoaffermazione ai danni degli oppressi”. Se invece  l’individuo non possiede una concretezza materiale sufficiente a garantirgli il soddisfacimento dei bisogni fisiologici ed esistenziali, allora notiamo come l’unico scopo della rivendicazione del diritto sarà quella di “liberazione dall’oppressione concreta”

E’ triste constatare che, sulla scorta di queste considerazioni, colui che è oppresso, prima di ambire al raggiungimento di diritti  inalienabili che dovrebbero essere connaturati alla sua esistenza (come ricorda la Dichiarazione d’indipendenza del 1774: life, liberty and the pursuit of happiness), debba affrancarsi da una qualche condizione di sottomissione giuridica, come la schiavitù o il mancato riconoscimento di alcuni diritti fondamentali, che è una forma di schiavitù. 

Nel testo abbondano vere e proprie perle d’analisi sociologica e antropologica, che testimoniano la grande cultura di questo giurista che in questo libro pare volersi destreggiare tra le rigide e severe formule giuridiche - che talora gli impediscono di avere una visione d’insieme - per addentrarsi in un’analisi della società più ampia e, soprattutto, più attenta alle contraddizioni che scaturiscono dall’esercizio dei diritti.