Fake News: rischio o opportunità?

di Andrea Muratore

Il testo Di Andrea Muratore ha vinto la sezione saggio breve del premio «La Scienza Narrata» 2018. 

La scienza Narrata è un concorso dedicato a racconti che contengano nella trama un elemento scientifico e a saggi brevi che trattino temi relativi alle sfide globali.

FAKE NEWS: RISCHIO O OPPORTUNITÀ?

ANDREA MURATORE, IV G

 1. Dematerializzazione, disintermediazione e personalizzazione

Quando si parla di fake news non si dovrebbe prescindere da questi tre termini. Prolissi, un po’ astrusi e pronunciati con non poche difficoltà, ci permettono di comprendere cosa sta succedendo al mondo dell’informazione e al suo nuovo “commilitone”, il web. Checché ne dicano i più coriacei avversatori, le fake news non sono nate con il web, né tantomeno con Facebook. C’erano già prima. Potremmo stilare una vera e propria fenomenologia delle fake news, partendo dalla notte dei tempi fino ad arrivare ai giorni nostri. L’esempio più lampante e forse anche meno ricordato è quello dei “Protocolli dei Savi di Sion”, creato artatamente dalla polizia segreta russa per sobillare la popolazione contro gli ebrei. 

Cambiano le contingenze storiche, mutano i tempi, ma l’obiettivo delle notizie false rimane sempre lo stesso: manipolare l’opinione pubblica. Il problema, ora, è costituito dal fatto che i centri di emissione disinformativa non si limitano più alla testata giornalistica o alla malevola credenza del popolo, ma approdano a nuove dimensioni, capaci di sviluppi pervasivi. Se prima, con l’acquisto del giornale, era il lettore a cercare l’informazione, ora avviene il contrario, ed è l’informazione – attraverso criptici meccanismi algoritmici o ambigue proliferazioni di notizie – a scomodare il lettore. Se prima la verità fattuale doveva essere approfondita e compresa, ora questa impone di essere condivisa e amplificata, senza che ci sia una corretta comprensione di quel che si legge. Assistiamo dunque a due sostanziali trasformazioni: il consumatore si trasforma in prosumer[1], l’informazione in infotainment [2]. Nel primo caso, colui che fruisce di un servizio informativo si trasforma al tempo stesso in produttore di notizie e finisce per personalizzarle - la personalizzazione di cui si parlava poc’anzi - a proprio piacimento. Produttore e consumatore al contempo, appunto. Con la scomparsa degli intermediari, e qui ritorna forte la disintermediazione, il fruitore gode di piena autonomia ed è quasi sospinto ad alterare o travisare la notizia, facendosi fuorviare da fonti poco autorevoli o appulcrandovi parole superficiali e addirittura inutili ai fini della comprensione. Nel secondo caso, invece, vengono a fondersi informazione e intrattenimento. La diretta conseguenza di tale fusione è una miscela,nella quale non v’è più né informazione né intrattenimento: l’eclissarsi della satira e del ragguaglio in favore del vuoto, del nulla. 

Per quanto riguarda la dematerializzazione, infine, la situazione appare assai diversa. Ai tempi dell’era cartacea tra il lettore e il giornale si frapponeva una componente emotiva e, per così dire, tattile. S’instaurava così un legame indissolubile, imperniato sulla fisicità e sulla consistenza, che raggiungeva quella fidelizzazione tra consumatore e prodotto, oggi preclusa a causa della molteplicità delle fonti che instancabilmente forniscono notizie. Il paradigma digitale ha stravolto i precedenti equilibri: nella classifica stilata dal Censis gli internauti che s’informano su Facebook raggiungono vette sino ad ora inaudite (35%), regalando al social network americano il secondo gradino del podio, subito dietro i telegiornali (60,6%), che costituiscono ancora la principale fonte di informazione per gli italiani; in questo modo i quotidiani cartacei scivolano al sesto posto, racimolando un gramo 14,2% [3].

2. La scienza non è democratica!

Il titolo di questo paragrafo rimanda all’ultimo libro di Roberto Burioni, immunologo e virologo da tempo impegnato contro la disinformazione scientifica [4]. Tra chi lo fa per comodità e chi per convenienza, è stimato che circa 15 milioni di italiani [5] fugano i loro dubbi scientifici non già recandosi dal medico di fiducia, ma anteponendo a questo le “delucidazioni” fornite dal web. È questo uno dei tanti e spinosi problemi, sollevato da internet quando decide di sostituirsi alle preparazione dei medici e alla professionalità dei giornalisti. A rigor di logica, tutti noi dovremmo sapere che non c’è il benché minimo paragone tra una informazione fornita da un qualsivoglia user distributed content (ergo un utente che propina contenuti di vario tipo) ed una fornita da un dottore, che ha dedicato gran parte della sua vita a studiare. Eppure, nel mondo “capovolto e stregato” [6] dell’informazione ai tempi del web, nulla è scontato e tutto sembra invece esulare dai dettami della logica. La tediosa ingerenza degli internauti (ma non solo) nelle questioni prettamente scientifiche ricalca la logica della personalizzazione contenutistica e della disintermediazione. Scompare il medico e appare l’user distributed content. Una delle tesi più gettonate che ha pervicacemente avversato le vaccinazioni è stata, com’è noto, quella della correlazione tra autismo e vaccini. Tuttavia, ai più fervidi sostenitori delle tesi dell’antivaccinismo sembra sfuggire una “inezia irrilevante”: colui che ha intentato guerra alle vaccinazioni, sostenendo una teoria palesemente fallace, è stato costretto a ritrattare e, peraltro, dovrà rispondere dell’accusa di frode [7]. 

Probabilmente aveva ragione il sociologo Pareto, il quale diceva che: “quando una sciocchezza è ritenuta seria da milioni di persone, diventa un’idea seria”. Noi, testimoni dei misfatti del Ventunesimo secolo, possiamo completare questa citazione, aggiungendo che tale convinzione si radica e sedimenta nelle menti quando, per esempio, ci sono talmente tante informazioni, che il povero ed inerme internauta non riesce neppure a discernere quelle vere da quelle false. Questo avviene perché, mentre una miriade di notizie ci subissa e ci travolge, noi, dal canto nostro, fatichiamo a trovare nuovi parametri di filtraggio. Umberto Eco, partendo da questo presupposto, concludeva pronunciando queste parole profetiche: “l’incapacità di filtrare comporta l’impossibilità di discriminare” [8]. 

3. Una conclusione ottimistica

Se i principali autori delle fake news rimangono impuniti è perché tutti i social network prevedono una asimmetria di responsabilità fra i diversi attori del panorama dell’informazione. Tra una giurisdizione che ancora lavora, prima di pronunciarsi definitivamente (gli USA tergiversano, ma nel frattempo Francia e Germania si sono già mosse) ed un continuo rimbalzo di responsabilità tra social e utente, tutto fa pensare ad una situazione di stallo. E’ dunque il momento giusto per ripartire, sperando che i giornali affrontino il fenomeno delle fake news come una forza propulsiva, che possa spronarli a migliorare la qualità del proprio servizio.

  

[1] M. McLuhan, B. Nevitt, Take today, the executive as Dropout, Harcourt Brace, 1972.

[2]  Neologismo anglosassone di paternità incerta.

[3] 14° Rapporto Censis sulla comunicazione «I media e il nuovo immaginario collettivo», 4 ottobre 2017. La percentuale dei quotidiani, raffrontata all’uso che ne fanno i giovani, appare ancor più raccapricciante: 5,6%. 

[4] R. Burioni, La congiura dei somari, Rizzoli 2017.

[5] Telegiornale di Rai3 il 10/05/2018.

[6] Mutatis mutandis, Marx usò gli stessi aggettivi per qualificare il mondo delle merci e del capitale. 

[7] M. Shermer, How to Convince Someone When Facts Fail, scientificamerican.com, 1 gennaio 2017.

[8] U. Eco, 21 ottobre 2013. Lectio magistralis tenuta a New York. Reperibile su “la Repubblica”, 18/02/2018, pag.18.