Il fruscio dell'erba selvaggia

di Giuseppe Munforte

recensione di Claudio Guerrieri

Il romanzo di Munforte, vincitore del Premio Procida 2019, è costruito ad atti e scene ad incastro con una disposizione narrativa che richiama il flash back e che lascia il lettore nella sospensione per ricomporre solo alla fine il tracciato della storia. Perdizione e redenzione, speranza e disperazione, possibilità di riscatto e scelta radicata del delitto si presentano come poli alternativi ma compresenti della storia. Tutto è ambientato in una periferia milanese in cui il dramma delle esistenze si consuma in un silenzio di sottofondo, in un “nero”, per usare il titolo delle parti in cui il romanzo è articolato, che accomuna e cancella le differenze e fa affondare ogni scelta. 

C’è un suicidio, ultimo atto d’una vita d’abbandono degli affetti e di consegna di sé ai margini della legalità. C’è l’ardua scelta di abbracciare la vita religiosa e di dedicarsi agli altri e la delusione di veder fallire la propria dedizione. C’è la scelta di darsi alla vita criminale come unica vera possibilità di vita ed il rischio di perdere tutto, anche la vita, per un incontro in una stanza di ospedale. 

Le domande sottese alla narrazione restano tali, la concitazione che vorrebbe prender corpo in alcune situazioni resta intrappolata nella solitudine dei personaggi chiusi in scelte arbitrarie e senza uscita. Il bene ed il male vanno in tangenza ma non si incontrano in una città che sembra vuota ed in cui ogni scelta resta del tutto contingente se non insensata. 

Quest’atmosfera da introspezione psicologica s’articola nel tessuto del romanzo non sempre risolvendosi in fluidità linguistica seppure con una capacità di disegnare la quotidianeità con una commozione trattenuta, quasi anestetizzata, che s’articola in una prosa piana, senza sobbalzi e deviazioni improvvise, che accompagna il lettore in una fruizione “fredda” degli avvenimenti. Resta l’amaro della sconfitta di non riuscire ad entrare nel personaggio e di vedere sempre “da fuori” gli avvenimenti. La costruzione intera così viene ad essere una composizione di un puzzle troppo completo e lineare rispetto alle aspettative iniziali in cui sembrava prevalere il desiderio di entrare nelle motivazioni profonde delle scelte degli altri che ci si impongono. Così il lettore resta al termine del romanzo nella stessa sospensione iniziale di uno dei protagonisti da cui prende le mosse il tracciato del racconto ed il mistero delle scelte, della loro inconsistenza e tragicità, resta come domanda metafisica sottesa.