Fuoco al cielo

di Viola di Grado

qualche impressione di Maria Cristina Zerbino

C'è un fiume in Russia, il Techa, in cui, dal 1949 al 1956, sono stati riversate enormi quantità di elementi radioattivi.C'è un villaggio, Musljumovo, in Russia che il luogo più contaminato dalla radioattività del pianeta a settanta kilometri dalla città segreta, quella che ospita un impianto per la produzione di materiale nucleare destinato alla produzione di bombe atomiche. Gli abitanti si ammalano, i bambini nascono malformati e muoiono presto tra enormi sofferenze, ma il Governo paga il silenzio di tutti.

C'è una donna, Tamara, che vive a Musljumovo da quando è nata e che da bambina si bagnava nel fiume contaminato. È sola, nessuno dei suoi familiari è sopravvissuto alle radiazioni. C'è un uomo Vladimir, un cittadino, di Mosca. I genitori pensavano che sarebbe stato un grande medico, il più bel medico di tutta la Russia e invece lui sceglie di essere solo un infermiere e di andare a Musljumovo. Una storia d'amore quella tra Vladimir e Tamara, un amore malformato come tutto quello che cresce a Musljumovo.

La scrittura di Viola di Grado è spezzata, il racconto alterna tra un presente soffocante e disperato e un passato con pochi  insensati sprazzi di felicità.

La struttura della narrazione sembra faticare un po' intorno a tutta la sofferenza narrata. Il finale aggiunge, dove forse bisognava solo lasciare che il peso del dolore si sedimentasse; il testo stesso sembra subire una mutazione genetica e da realistico diventa quasi fantascientifico. Non si può non sentire uno sforzo in questa fine e la scrittrice perde forse un occasione di lasciare il peso alle cose e far parlare i fatti e i personaggi.