La lettrice di Cechov

di Giulia Corsalini

recensione di Claudio Guerrieri

... l'accadere vale in quanto tale 

È come se la vita narrasse sé stessa.... 

... dal libro

Per il narratore italiano la scrittura di Čechov è più un'aspirazione che un modello.  [...]

Il narratore che aspira a una prosa Cechoviana cerca dii trovare  il ritmo e la modulazIone di una scrittura malinconica e interiore di cui in Italia non si hanno modelli ottocenteschi nella prosa ma solo in poesia.

C'è un nucleo vitale nel discorso sulla letteratura; tutto sta a non impantanarsi in argomentazioni sofisticate; cogliere e far cogliere quanto un libro sa dire della vita di ognuno, e quanto può aggiungervi, attingendo alle infinite possibilità e configurazioni dell'esistenza umana


C’è una atmosfera trattenuta e una tensione di riserbo che attraversa le pagine di questo romanzo costruito intorno al dolore d’una separazione dagli affetti, d’un esilio imposto dal bisogno, di riconoscimenti che vengono da altri e di una gratuità che si impone silenziosa come lo scorrere del tempo.

La protagonista è una quarantenne ucraina, costretta dalle situazioni della vita a lasciare in un ospizio un marito malato, eppure amato, per sostenere gli studi di una figlia e mantenere la famiglia. E’una immigrata economica, diremmo noi, ed entrare nella sua condizione apre orizzonti inaspettati ai nostri occhi che vedono solo “la badante” e non sempre riescono a scoprire cosa si nasconde dietro quel ruolo. Nina infatti è una ricercatrice a cui si apre la possibilità di collaborare con l’Istituto di Slavistica.  Una possibilità che mette in gioco la sua vita e la trasforma, la interpella sul futuro di una esistenza già essenziale in cui sono incastrate le relazioni con il marito e con la figlia. La vita nella sua crudezza è riletta con la lente delle pagine di Cechov:

 “ Fuori sall’aula piansi a dirotto, nel via vai degli studenti, cercando di ripararmi nell’angolo d’una finestra, quindi rientrai. ‘E il guaio è che questa morte nella vita dell’umanità non è un caso né un avvenimento ma una cosa comune,’ dissi, citando a memoria dai Quaderni di Checov, e completai come un automa la lezione” (p.78).

Far entrare gli altri nella propria vita per un amore appena in gemma, coltivare un ricordo struggente del passato, ancorarsi alla speranza di non aver abbandonato l’affetto più caro che dia senso al sacrificio quotidiano, donarsi per una esigenza immediata d’un estranea di cui si comprende la condizione, perché già sperimentata, anche sacrificando ogni apparente gloria effimera conquistabile, si intrecciano nell’ordito del racconto. Un racconto sempre fluido e sempre al presente, in cui a sprazzi riemerge il ricordo e si prospetta l’angoscia e la speranza sul futuro. 

La coscienza dell’ambiguità sempre all’orizzonte nelle relazioni affettiva interroga: 

Sapevo che queste situazioni sono pericolose, a un certo punto ci si abitua a non ritenere il legame inevitabile, tutto sta a farci l’abitudine, poi uno se la tiene stretta la propria emancipazione, bisognerebbe che fosse facile, per i mortali, stringere e sciogliere e respingere gli affetti,l’ha già scritto Euripide, mi pare, o Eschilo.E poi c’è stata quell’altra dichiarazione: “Chi non odia suo padre e sua madre…” Significa che sono millenni che c’è da sbrogliare questo nodo, comunque vadano le cose, nella buona e nella cattiva sorte, sono millenni che risulta gravoso. Ma che altro resta? Che-al-tro-re-sta?” (p. 82)

Interroga tutti i personaggi del romanzo con le loro diverse vite ed i loro intrecci l’una nell’altra. Non c’è soluzione semplice o ricetta da applicare, “antichi ricordi”, “fermento delle cose nuove” si innnescano e la lettura di Cechov sembra poter dare voce a quei silenziosi moti della coscienza nelle strettoie della vita. La conclusione che se ne trae è nella retrocopertina:

“Sono stata un’appassionata lettrice di Cechov: tutto questo è come se lo avessi già presagito” 

Nina è una donna ucraina, di lingua russa, che arriva in Italia per accudire una signora anziana. Nel suo paese ha lasciato il marito malato e l'amata figlia Katja, a cui spera di poter assicurare un futuro, la laurea in medicina, il matrimonio.

La sua solitudine si divide tra le faccende domestiche e il risveglio di una passione per gli studi umanistici e per Čechov in particolare, che la spingono a frequentare l'istituto di slavistica dell'Università cittadina dove conosce il professore di Lingua e Letteratura russa, Giulio De Felice, che le offre un contratto temporaneo di docenza.

La loro relazione, in gran parte inespressa e fatta di piccole occasioni tristemente mancate, finisce tuttavia per trattenerla in Italia, compromettendo il rapporto con la figlia. Intanto, l'arrivo di un nuovo ricercatore offre a De Felice l'occasione di lasciare che Nina torni nel proprio paese.

Seguono anni di vuoto e silenzio, improvvisamente interrotti da un invito di De Felice che reclama la sua presenza a un convegno su Čechov.