Paradiso nr.3

di Andrea Muratore

Recensione di: Paradiso N°3 di Hyok Kang

Qualche mese fa mi è stato regalato da un mio carissimo amico “Paradiso N°3”, ed avendo già letto qualcosa sulla detenzione in campi di lavoro ho deciso di presentarvelo, perché possiate conoscere quello che sovente ci viene taciuto.

Protagonista è l’ autore del libro, Hyok Kang, un ragazzo nord-coreano che, dopo essere fuggito dal suo paese natio, accetta di raccontare la sua esperienza al giornalista Philippe Grangereau, che trascrive le parole del giovane ragazzo in forma diaristica- memorialistica. Il flusso di parole dei due autori si dipana senza particolari accortezze stilistiche, per rendere la terribile storia di Hyok ancor più credibile. 

La sua famiglia vive in un paese del nord-est della Corea, nel terzo ban (blocco). Le provincie della Corea sono infatti divise in ku (quartieri), e in ban. E’ un mondo rurale; si vive di piccoli lavori manuali e, soprattutto, di agricoltura. L’inquietante particolarità che emerge dalla descrizione del paese è che le strade non hanno un nome. Questo per impedire agli stati stranieri di raccogliere informazioni precise o localizzare eventuali disertori. La capacità di comunicazione interna ed esterna, infatti, presenta un quoziente di difficoltà parecchio elevato. 

Essendo la Corea un paese socialista, tutto appartiene al popolo e nulla all’individuo. Cibo, energia, abitazioni, soldi: tutto è nelle mani dello stato. L’assetto governativo statale non è democratico e il potere è concentrato nelle mani del leader. La Corea del Nord è forse una delle poche nazioni che ancora, nel XXI secolo, si caratterizza per il culto del leader. Gli studenti di tutte le età sono costretti ad imparare a memoria gli scritti dei leader; se questo è ospite in una determinata città che non sia Pyongyang , allora il luogo che lo ha ospitato chiuderà per sempre e diventerà un luogo di culto dove i cittadini potranno recarsi per idolatrarlo o tributargli memoria. Inoltre, chi è in “buoni rapporti” con il leader può godere di veri e propri privilegi e, in caso di arresto o detenzione, ha “diritto” ad una mitigazione della pena. Si può fruire di tali benefici anche solo possedendo una foto con il sommo leader, o più semplicemente una lettera di risposta da parte del leader.  

Come tutti i regimi totalitari si è creata artatamente una dottrina incontestabile e dei nemici da esecrare. La dottrina è comunemente nota come juchè, che sta ad indicare lo slogan del partito comunista coreano, ossia l’autosufficienza; i nemici sono i fantocci sud-coreani e gli americani imperialisti. 

Nel recente film “Il prigioniero coreano” l’ormai affermato regista Kim Ki- Duk testimonia dell’atavico senso di repulsione provato dalla Corea del Nord per i suoi due acerrimi nemici; il protagonista del film, non a caso, decide di chiudere gli occhi quando viene condotto a Seul, la capitale della Corea del Sud. Sia nel libro che nel film vengono accentuati gli esiziali effetti propagandistici della Corea del Nord. 

La televisione del regime nord-coreano trasmette dei servizi nei quali distorce completamente la realtà, modificando la storia o tentando di propinare un’immagine mendace della Corea del Sud, che risulta invece avanti anni luce sul piano dell’economia e dello sviluppo democratico rispetto al Nord. L’inganno è uno strumento che ricorre sovente nelle logiche di detenzione del potere. Per esempio, quando la Corea del Nord era una colonia giapponese,  molti coreani si insediarono nel Sol Levante, creando una autentica colonia; tuttavia, a partire dal 1955 i nord-coreani istituirono un organo denominato Chosen Soren deputato ad organizzare e favorire il rimpatrio dei nord-coreani che ancora risiedevano nel Giappone. Lo fece pascendoli di beate illusioni e promesse poi disattese. 

Le menzogne non si limitano alla false promesse, ma subentrano anche sulla distribuzione degli aiuti umanitari promossi dall’ONU. Negli anni ’90 una forte carestia flagellò la Corea del Nord e l’ONU, accorgendosi delle tragiche situazioni della Corea, decise di spedire approvvigionamenti alla popolazione. Dapprima tutto sembrò procedere perfettamente; poi, però, le scorte cominciarono a diminuire, e gradualmente scomparirono. Non ci sono dati a suffragare l’ipotesi di Hyok, ma appare quasi evidente che i funzionari dello stato, anziché fornire i beni provvisti dall’ONU alla popolazione, se ne sono appropriati. Con la penuria di cibo, molti arrivano a compiere gesti estremi: l’antropofagia, il ricorso sistematico ai furti, le risse furibonde per un pezzo di pane, le difficili contrattazioni con gli accaparratori (coloro che detengono la maggior parte dei beni alimentari)... 

Il capitolo più sconvolgente del libro è l’ultimo, quello dedicato ai campi di lavoro e di educazione. A chi commette crimini politici nella Corea del Nord è riservata la pena più atroce: annientamento del reo e di tre generazioni della sua stessa stirpe. Tutti i crimini sono considerati parimenti gravi, poiché contro lo stato e perciò contro la popolazione. Per distinguerli, però, si utilizzano tre diversi campi: di controllo, di rieducazione e di rieducazione mediante il lavoro. I detenuti dei primi campi non possono chiedere un processo giudiziario previo carcerazione e quasi tutti periscono per la mole di lavoro e la inadeguata razione di cibo. Nei secondi c’è un processo, alla fine del quale si sconta una pena fissa. I crimini puniti sono principalmente quelli relativi al contrabbando. Negli ultimi, invece, si punisce chi tenta di evadere dalla Corea e chi si macchia di gravi inottemperanze disciplinari. 

Noi occidentali spesso tendiamo ad ingigantire i fatti, a gonfiarli eccessivamente. Molti di noi si lamentano della inefficacia della democrazia, della corruzione nella politica, della mancanza di libertà, della crescente miseria. In parte hanno ragione. Ogni sistema statale complesso ha i suoi difetti; ma se la nostra è una situazione da aggiustare, quella che vivono i nord-coreani è una realtà che richiede di essere rifondata radicalmente. “Paradiso N°3” è un libro straziante, che ti costringe a ridimensionare i problemi del mondo occidentale. Alla fine della lettura mi sono chiesto: “Chi siamo noi per lamentarci?” , ma soprattutto: ”in che modo possiamo aiutarli?”. Il primo passo da fare è quello di prendere coscienza della situazione. Questo libro ci aiuta a farlo. Per questo la sua lettura risulta essenziale.