Sugli Alpeggi

© by Vittorio Crapella - i2viu 

SU PEI MONTI IN MEZZO ALLA NATURA                   Altri racconti

Chiacchierando con un nonno d'altri tempi che diceva:

"...ho letto i tutti i tuoi scritti.  Io con gli anni passati ad osservare il mondo, la gente, la natura, ecc.. ho capito che è meglio vivere in maniera più semplice che si può, imparare a sopravvivere senza parassitare gli altri, imparare a essere i medici di noi stessi per la salute, ma per la salute anche oltre che cibi sani anche psicologicamente, riuscire a diventare umili, allegri e magari farsi amici del gatto, dei pettirossi che vengono a trovarti sul davanzale e pensare, anche se non ci credi tanto, che quella bella colomba che si è fermata sul tuo tetto è l'anima del tuo caro nonno ..."


Parole sante che condivido pienamente e se hai colto qua e la pure io sto con la natura, avrai letto quella della mucca che ha scritto il giornalista Fini e che è la sintesi che spiazza tutto e tutti (infondo pagina del link).

Per gli uccellini e gli animali ricordo quando andavo e rimanevo su per i monti due o tre mesi, dove ho  sentito e visto sia animali che vegetali e avrei voluto avere una macchina fotografica per immortalare quanto ho potuto vedere ...

Ho sentito i canti degli uccelli più strani anche quello che sembra una capra, ho visto da vicino il nido della civetta che aveva nidificato sul fieno di una baita e portava per cibo topolini ai suoi piccoli.

Ho visto un camoscio alla distanza di 20 metri che mi guardava ma non aveva eccessiva paura, il mio odore era circa come il suo, non avevo certo la giacca e cravatta e il deodorante sotto le ascelle.. hi.. stessa cosa con la volpe e poi le vipere erano all'ordine del giorno.

Ho visto fiori meravigliosi che crescevano nei posti più impervi..

Ho potuto godere del silenzio della natura rotto soltanto dai campanacci delle mucche e dal leggero ondeggiare delle fronde dei pini mosse dal lieve venticello in quelle giornate splendide d'estate sdraiato sulla fresca erba mentre splendeva il sole lucente come solo in montagna si può vedere.

Ho sentito tuoni da urlo e visto fulmini mentre incendiavano i larici o li scorticavano lasciando il classico solco a spirale attorno ai tronchi.

Ho potuto assaporare l'acqua fresca che sgorgava dai sassi della montagna ... 

ho visto scoiattoli saltare tra i rami dove avevano il loro rifugio sulle cime dei pini, quella palla di rametti, fili d'erba e "barba" di larici così ben fatta da non capire da dove entravano né dove uscivano.

Ho imparato ad accendere il fuoco all'aperto senza fare danni e anche quando pioveva e i rametti secchi andavano cercati nei posti asciutti sotto le piante, questo per potersi scaldare quando alle 4 o 5 del mattino, durante la mungitura all'aperto, a quelle altezze era freddo e poi vedere piano piano ingrandirsi la fascia illuminata dal sole che scendeva dalle cime spingendo in basso l'ombra fredda...

So come fanno le capre che non possono rimanere ferme nel circondario dove stai con le mucche ma loro devono sempre essere in vetta e le dovevi andare a riprendere ogni volta all'ora della mungitura.

Ho imparato l'arte di portare a spalla il latte o l'acqua con i due secchi appesi al "bagiol" (bacchio) classico legno sagomato per poterlo appoggiare sulle spalle e con le due tacche sulle estremità del legno per accogliere il manico dei secchi..

So quanto sono testardi i maiali quando li devi mandare su sentieri attraversati da ruscelli... e quanto sono capaci di rovistare intere zone di pascolo per cercare delle cipolline, sembra che sia passato un aratro.

Quante camminate con il cavallo carico di formaggi nelle due cassette fissate al basto, o di legna o di roba varia...

Come vedi ho fatto una carrellata dei bei ricordi che so apprezzare solo ora, perché allora  chi lavorava  nel mondo contadino era poco considerato e quasi sembrava poco onorevole fare quei lavori. 

Quando poi i "buoi erano scappati dalla stalla" hanno cominciato a fare strade, baite con servizi, docce e piastrellature mentre allora non c'era baita che non avesse muri a secco e quattro legni in croce per porta e come materasso, su un giaciglio d'assi,  la "cera" (festuca)  quell'erba lunga sottile e dura che nemmeno le mucche mangiavano e come lenzuola delle semplici coperte.

Molte volte ricordo che andavo a letto la sera, stanco morto, tenendo pure gli scarponi per essere già pronto il mattino.. eppure sono ancora qua a raccontarla.

Quante gerla di letame ho portato su in cima ai prati pure molto ripidi, letame che veniva lasciato anno per anno in modo che fosse piuttosto asciutto e ricordo che prima di metterlo nella gerla veniva sgretolato usando un particolare tridente con i denti incurvati che pestato sul mucchio spezzettava appunto questo letame che poi una volta sul prato da concimare veniva sparpagliato con le mani e senza guanti.

Ecco tanti ragazzi di oggi avrebbero bisogno di questo per comprendere da dove leva il sole.

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"....Ma l'anima del pastore si fortifica, nella sua rustica semplicità, in mezzo al domestico avvicendarsi delle cure quotidiane, fra quella gran pace delle vette, fra quegli augusti silenzi non interrotti, ma piuttosto secondati dalla campanella dell'armento che pasce e dall'incessante ruscello che cola dal ghiacciaio e filtra in mezzo all'erbe e ai fiori della neve. ..."

In dialetto di Albosaggia:

LA GIANETA

COME SI REALIZZA LA "GIANETA" 

Si sceglieva prima una pianticella bella dritta e del diametro giusto di "maligen" (sorbo degli uccellatori) poi si scorticava e la parte da piegare veniva scaldata nel fuoco del camino  fino a che il colore del legno prendesse quasi il classico colore marrone scuro di bruciato, poi si piegava dentro la sagoma e li si lasciava al sole per una quindicina di giorni per una essiccazione completa.