Pierluigi Bersani all’area festa per presentare il libro “Chiedimi chi erano i Beatles”
Pierluigi Bersani all’area festa per presentare il libro “Chiedimi chi erano i Beatles”
Bersani accolto dalla sua gente, che entra in cucina e stringe le mani, che si siede a cenare in mezzo a tutti, interrompendo spesso le chiacchiere per firmare gli autografi. Bersani, con il suo sorriso bonario e sornione, con il fare paterno e cordiale, non si sottrae mai al saluto e all’abbraccio di iscritti e simpatizzanti. Gente accorsa in massa: almeno 300 persone affollavano la balera quel martedì sera, il 2 di settembre, vecchi militanti, certo, ma anche quarantenni e giovani, che si affacciano alla politica per la prima volta. E il libro è proprio una conversazione ideale tra lui e i ventenni di oggi, quelli che incontra alle feste, nelle piazze e nelle università. Il dibattito con Paola Carnevale, neo-consigliera comunale del PD, e Giulia Fossati, segretaria regionale dei GD e portavoce Donne Democratiche Provincia Pavia, è stato denso e ha toccato moltissimi temi trattati nel libro. Parlando dei giovani, Bersani all’inizio si è soffermato sulla differenza tra formazione politica, che si fa nelle università e nei luoghi deputati alla cultura, e formazione alla politica, che si fa costruendo la propria esperienza ai gazebo e tra la gente. Spiegando l’espressione del libro “nessuno potrà sostituire lo specchio in cui ti guardi”, Bersani ha precisato: “Si possono cambiare mille idee ma non si può cambiare idea facilmente. Lo specchio deve dirti se quel che fai è coerente con gli ideali della tua gioventù” (Berlinguer). Ovvero, il cambio di casacca, oggi così diffuso, non è ammissibile e occorre una coerenza di fondo nei valori in cui si crede e per cui ci si batte per tutta la vita. E tornando al discorso della formazione alla politica, ha precisato che “va fatta dentro alle formazioni collettive dove ci sono le elementari della politica. Impari di più da una nasata che prendi su una delibera sbagliata, perché crescere vuol dire fare errori ma non venire via e avere l’umiltà di stare dentro alle cose, anche quelle che non ti soddisfano, accettando sconfitte e delusioni”. Ha riconosciuto ai giovani la consapevolezza dei problemi di oggi: pace-guerra, clima, migrazioni, lavoro, questione femminile. Ma può nascere una sensazione di impotenza: come dare forma a queste pulsioni perché si traducano in qualcosa di reale? Perché non parte dai giovani il movimento di rinnovamento? Facendo riferimento alla propria esperienza negli anni ’60, quando l’autoritarismo prese le fattezze dell’avversario, Bersani ha affermato che “oggi i giovani non riescono a trovare un avversario, ma finché non quaglia l’idea di chi è l’avversario è molto difficile che parta un movimento”. Però i tempi sembrano maturi perché l’ avversario “comincia a incombere in modo che si fa sentire”: negazione della questione climatica, sottovalutazione della domanda di pace che viene dal basso, rifiuto di ogni forma di immigrazione, lavoratori trattati come schiavi. La conclusione, rivolgendosi ai ragazzi, è stata: “Al netto di ogni forma di violenza, ribellarsi è giusto; bisogna avere fiducia che la prateria si incendia e la incendierete voi e noi daremo una mano”.
L’analisi è proseguita con un approfondimento sui fatti straordinari che stanno accadendo in questi ultimi tempi nel mondo. Per capire bisogna riflettere su una frase di Antonio Gramsci: “Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire"; nelle fasi di transizione possono materializzarsi dei mostri. E’ quanto accadde alla fine dell’800 con la Seconda rivoluzione industriale: a una fase di grande ottimismo si affiancò una politica di potenza che portò allo scoppio della Grande Guerra. Negli anni ’90 del secolo scorso la sinistra vinceva dappertutto; dagli anni 2000 perde perché è successo qualcosa di profondo: non era vero che il salto tecnologico garantiva un avanzamento a tutti; al contrario concentrava i poteri, creava disuguaglianze e preparava una fase di ripiegamento. La stessa cosa sta accadendo oggi, in cui se la giocano USA, Russia e Cina su AI, tecnologie militari, terre rare, energia. Questo scenario è accompagnato culturalmente dal sovranismo: si scatena una politica di potenza in nome del fatto che “ognuno è padrone a casa sua” e fa ciò che vuole. “Il sovranismo – ha aggiunto Bersani - per definizione è la negazione del diritto; questo fenomeno, di dimensione universale, non riconosce sovranità superiori né centri di diritto internazionale (ONU, OMS, Europa)”. Il sovranismo in tutti i Paesi ha “dosaggi diversi ma stessi ingredienti”: nazionalismo su basi etniche, superamento della divisione dei poteri, con uno slittamento verso il potere esecutivo plebiscitario, morale di stato, rifiuto del metodo scientifico (vaccini).
Un altro tema affrontato è stato il linguaggio, soprattutto quello usato sui social, che ha sdoganato l’insulto e la volgarità come normale pratica di comunicazione, soprattutto nei confronti delle donne. A questo proposito Bersani è stato molto chiaro: “C’è modo e modo di essere aggressivi, il nostro modo è civile, ma dobbiamo essere aggressivi davanti al fatto che i diritti basici (dignità della donna, dignità della diversità) vengono messi in discussione”. E, parlando di parole, non poteva mancare un cenno alle metafore. Un tempo la gente conosceva poche parole e dunque si dovevano usare le cose, modo democratico di esprimere un concetto senza banalizzarlo o semplificarlo troppo. E ha ricordato sua nonna Cesira che, con quella bella saggezza di una volta, per dire che c’era tanto zucchero in casa, diceva (in dialetto): “Ce n’è tanto da fare l’orlo al Po!”. E da qui la raccomandazione: “Come sinistra usiamo le parole che usa la gente in casa, con la vicina, anche parole forti. Quando la dicono grossa, rispondiamola grossa, mai volgarmente, ma facendoci capire”. Un parlare popolare, democratico, accessibile a tutti.
Non solo le parole hanno un peso ma anche le virgole. Perché i Costituenti formularono l’art. 1 in questo modo: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”? La risposta di Bersani è stata che le parole “Repubblica” e “democratica” erano sconosciute agli Italiani che uscivano da vent’anni di dittatura; dunque, era necessario dare spessore e sostanza a quelle parole unendole, tramite la virgola, al termine “lavoro”, che conoscevano bene perché faceva parte della vita. Oggi è ancora così: immaginare che ci sia una democrazia che non consente un avanzamento se non a tutti a quasi tutti non è possibile, la democrazia “impallidisce, si fa di nebbia”. A quelli che hanno perso il segnale radar del sindacato, del partito, la parola democrazia non dice niente, e non vanno a votare. “Noi dobbiamo – ha concluso Bersani - ribaltare questa logica, dobbiamo rispondere abbracciando i temi sociali (povertà, welfare, sanità pubblica, salario minimo), e lo stiamo facendo”.
Elena Gorini