La questione fondamentale che si presenta nell’avvicinamento al progetto riguarda il senso da dare al rapporto con la preesistenza, intesa sia come resto dell’edificio originario, sia come traccia dell’impianto e del significato complessivo dell’opera. L’ex casa della Gioventù Italiana del Littorio di Campobasso non può certo essere considerata tra le icone del Razionalismo italiano, inserendosi, piuttosto, tra le tante opere di buona qualità che testimoniano la cultura architettonica, tecnologica e politica del primo trentennio del Novecento. Opere per lo più caratterizzate da tipologie rigide, fortemente condizionate dall’adesione ad un programma politico, in cui l’alterazione di parti apparentemente secondarie pregiudica la comprensione dell’insieme. Ciò che resta dell’edificio dopo la sua parziale demolizione negli anni Novanta, merita certamente di essere restaurato, ma rifiutando gli estremismi della conservazione assoluta. Non si tratta, infatti, di un rudere in piena regola, poiché la troppo recente distruzione non è stata seguita da un periodo di assestamento in cui il resto ha acquisito nuovi valori. E sembra anche meno praticabile la strada di una ricostruzione ‘à l’identique’, che proprio per l’estrema semplicità dell’edificio, rischierebbe di risultare eccessivamente sobria ed anonima, priva anche dei connotati di eccezionalità del ‘monumento’ tradizionalmente inteso. Da queste considerazioni scaturiscono alcuni punti chiave che scandiscono l’iter progettuale. La proposta si prefigge, anzitutto, di conservare con attenzione il corpo rimanente dell’edificio restituendogli i valori formali e funzionali pertinenti. Viene recuperato, in secondo luogo, l’impianto tipologico originario rispettandone volume ed altezze, a testimonianza dell’edificio scomparso. Infine, l’impostazione originaria è reinterpretata attraverso un gesto progettuale contemporaneo, senza stravolgerla con un segno arbitrario, ma rendendola capace di produrre ulteriori valori spaziali e funzionali a servizio della città. Pertanto il progetto, che necessariamente deve investire in modo organico l’edificio per adattarlo ad un uso per un pubblico moderno, si configura come una trasformazione che prosegue e rielabora l’architettura preesistente, sviluppandone spunti formali e soluzioni distributive, ma che è contemporaneamente volto alla conservazione di tutti gli elementi ancora esistenti. Si declina così in un modo particolare l’istanza restaurativa, riattivando la possibilità di progettare il nuovo ‘con’ e ‘accanto’ l’edificio da conservare.