Chissà se il primato petrino fu contestato agli inizi della Chiesa

Gregorio Magno - di Anonimo - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Si è visto la settimana scorsa come i fondamenti storici, sui quali la Chiesa Cattolica pretende di appoggiarsi per sostenere il primato universale del vescovo di Roma, siano alquanto dubbi. Ma sicuramente inconsistente è l’affermazione cattolica secondo cui il primato del vescovo romano non sarebbe mai stato contestato dai cristiani, neanche nei primi secoli di vita cristiana. Alcuni studiosi cattolici si sono azzardati a scrivere che questa supremazia non sarebbe stata contestata nemmeno in Oriente, addirittura fino alla data del grande scisma del 1054 [1], quindi per più di mille anni. Di ben diverso avviso sono invece molti altri studiosi [2], compresi tanti cattolici ancorché normalmente non riportati (censurati?) dalla dottrina ufficiale che insiste sulla tesi del primato. 

Di nuovo mi scuso per l’abbondanza di note che potete anche saltare piè pari, ma servono per far capire che le confutazioni alla volontà del primato romano sono numerose e di antica datazione.

È indubbio che gli iniziali privilegi di cui la Chiesa di Roma godeva assieme ad altre sedi importanti si sono sviluppati sempre di più a scapito delle altre, portando alla fine al primato di Roma non sulla Chiesa universale, ma solo su quella d’Occidente, anche per la sempre minor influenza via via esercitata in quest’area geografica dall’imperatore di Costantinopoli: l’Oriente, rifiutando questo primato romano, si staccò circa mille anni fa ed il nord Europa si staccò circa cinquecento anni fa. Essendo Spagna e Portogallo rimaste cattoliche, è chiaro che, quando queste potenze conquistarono il Nuovo Mondo, anch’esso rimase soggetto alla Chiesa di Roma.

I tentativi dei vescovi di Roma di prendersi il primato con un’azione di forza furono molteplici e ripetuti nel tempo, ma all’inizio vennero sempre frustrati. La settimana scorsa si è già parlato, ad esempio, dello scontro fra papa Sergio e l’imperatore Giustiniano II. Vediamo altri casi, restando questa volta nel campo puramente ecclesiastico e tralasciando gli scontri fra potere religioso e imperiale.

Papa Vittore, nel secondo secolo, cercò di imporre a tutto il cristianesimo la data da lui scelta quale vescovo di Roma per celebrare la Pasqua [3], ma dovette ritirare il suo decreto, pur emesso sotto minaccia di scomunica dei riottosi, di fronte al montare di una crescente opposizione, fra gli altri proprio dell’autorevole Ireneo [4], a torto indicato invece da alcuni autori come grande sostenitore del primato petrino.

In seguito papa Callisto I, all’inizio del terzo secolo, cercò di nuovo di imporre la supremazia romana a proposito di una controversia sorta sulla possibilità di innovare in punto peccati ritenuti fino ad allora irremissibili (omicidio, apostasia, porneia). Origene, Tertulliano ed in genere i novazianisti [5] negavano che la Chiesa avesse il diritto di assolvere dai peccati gravi di apostasia, omicidio e adulterio. Papa Callisto [6], a un certo punto, affermò che in virtù del potere delle chiavi date a Pietro (Mt 16, 19), egli avrebbe accordato il perdono a tutti coloro i quali avessero fatto penitenza. Queste affermazioni scatenarono le ire di Tertulliano, che giudicava l’idea lassista [7], e accusò il papa di presunzione nell’osare perdonare questi peccati, visto che le chiavi erano state date personalmente a Pietro, ma da lui erano passate alla Chiesa intera, e certo non al successore di Pietro, perché in ogni chiesa agisce lo Spirito Santo è [8]. La controversia si chiuse alla morte di questo papa senza che il suo decreto fosse universalmente accettato.

Non molto più tardi, nel 255, papa Stefano I (abbiamo visto la scorsa settimana come Cipriano l’abbia chiamato “collega”) cercò di far riammettere senza nuovo battesimo per immersione, ma solo con l’imposizione delle mani, coloro che già erano stati battezzati in una setta eretica o scismatica, e – secondo l’autorevole cardinal Dulles – egli riuscì a far valere la sua autorità pretendendo appunto di parlare come successore di Pietro [9]. Il cardinale Dulles, però, dimentica di aggiungere che immediatamente si levò la fiera opposizione di un folto gruppo di vescovi capitanati da san Cipriano [10], il quale sostenne che ogni vescovo deriva la propria autorità direttamente dal Signore e solo al Signore deve rispondere. Di fronte alla solita minaccia di scomunica [11] del battagliero papa Stefano, Cipriano (210-258) convocò un sinodo di 84 vescovi africani i quali conclusero nel senso che nessuno era autorizzato ad insignirsi della qualità di vescovo dei vescovi [12], nessuno poteva permettersi di fare ricorso a minacce intollerabili per costringere i propri colleghi, e all’unanimità venne dichiarata la nullità del battesimo degli eretici con necessità di sua completa reiterazione. Non si sa con certezza se papa Stefano, dando seguito alle sue minacce, scomunicò i fautori della reiterazione del battesimo [13]; sta di fatto che la rottura venne conciliata anche questa volta dopo la sua morte dal nuovo papa Sisto II, e Cipriano – a dimostrazione che non era stato scomunicato -  è tuttora santo anche per la Chiesa cattolica. Dunque vari santi (l’altra settimana abbiamo visto anche sant’Agostino) sono rimasti tali pur essendosi opposti al primato romano e pur avendo disatteso i provvedimenti papali romani.

È agevole allora concludere che, all’inizio, il primato supremo di Roma cercò più volte di farsi strada ad opera di vari papi, ma non ebbe affatto il riconoscimento sperato [14], e anzi si frantumò ripetutamente soprattutto contro la fiera opposizione dell’allora potente Chiesa africana; ma non solo: ad esempio nel 445 Ilario, vescovo di Arles, ribadì pubblicamente l’indipendenza della Chiesa dei Galli da Roma, anche se questo gli costò la rimozione con editto dell’imperatore Valentiniano III, al quale si era rivolto papa Leone I: ennesima dimostrazione che il papa aveva ancora bisogno di un aiutino esterno.

Dunque, non solo tanti grandi (come Tertulliano, Ireneo e Cipriano), ma anche tanti altri presbiteri e teologi oggi sconosciuti si sono opposti ferocemente al vescovo di Roma quando pretendeva di imporsi autoritariamente. Che la tesi contraria (insegnataci dal magistero cattolico) sia piuttosto azzardata [15] è sufficientemente documentata dal resoconto del Sinodo di Cartagine presieduto da Cipriano ove si legge testualmente: «nessuno di noi può ergersi a vescovo dei vescovi o tentare, con minacce degne di un tiranno, di forzare i propri colleghi ad obbedirgli, giacché ogni vescovo ha il suo proprio potere e non può essere giudicato da un altro, né può giudicare un altro». In altre parole, risulta evidente che sopra al vescovo non esiste altra autorità terrena che gli sia superiore. Con questi principi agisce ancora oggi la Chiesa d’Oriente: quindi è stata la Chiesa romana a cambiare, mentre le altre Chiese hanno mantenuto la linea originaria della Chiesa iniziale.

A noi hanno insegnato l’inverso. Indubbio, invece, che nel cristianesimo iniziale vissuto da Tertulliano, Ignazio e Cipriano, non c’era affatto la “cefalizzazione” (un solo Dio in cielo, un solo Papa in terra), come oggi ci vogliono far credere.

La cefalizzazione non esisteva neanche nella Chiesa di Gerusalemme, la prima di tutte le Chiese, inizialmente retta in contemporanea da Pietro, Giacomo (l’apostolo) e Giovanni. Dunque, la prima comunità di cui si ha notizia certa era retta collegialmente. D’altra parte non ci hanno insegnato che Dio è trinitario? Ciò significa che Dio non è la solitudine dell’Uno, ma la comunione di tre persone in piena parità, il che rende più coerente la concezione delle Chiese orientali, cioè della collegialità e del federalismo. In effetti, di fronte all’obiezione secondo cui, anche se gli apostoli erano 12 deve esserci un solo capo perché non ci possono essere 12 teste, è agevole replicare che, proprio per la dottrina ufficiale, anche nella Trinità non c’è uno solo dei tre che comanda. Lo stesso papa Benedetto XVI ha riconosciuto che il concilio Vaticano II ci ha insegnato che per la struttura della Chiesa è costitutiva la collegialità; che il papa può essere soltanto un primo nella condivisione e non un monarca assoluto che prende decisioni in solitudine e fa tutto da sé [16]: poi, però, non ha dato seguito a queste parole, anche se si era reso conto che il papato così com’è arrivato a noi dopo tanti secoli ha bisogno di urgenti modifiche. Il fatto che il cardinal Bergoglio, una volta nominato papa non si sia presentato pubblicamente come tale, ma come vescovo di Roma, va in questa nuova direzione [17].

Più tardi, al concilio di Calcedonia del 451, papa Leone I che mediò fra le diverse posizioni [18] cercò di premere anche lui per farsi riconoscere vescovo dei vescovi. Che di quel concilio si ricordi il fatto che i padri conciliari gridarono che “Pietro ha parlato attraverso Leone” non è decisivo; infatti i padri possono aver semplicemente confermato che Leone, sul punto delle due nature di Cristo, era in linea con la tradizione di tutte le Chiese [19] per cui condividevano la tesi da lui brillantemente esposta in proposito nel suo scritto (NB: il concilio era presieduto dall’imperatore, non dal papa che aveva mandato solo suoi delegati). Sta di fatto, che il canone 28 di quel concilio equiparò le posizioni dei vescovi di Costantinopoli e Roma, pur lasciando a Roma il primo posto d’onore. I legati romani, per protesta, abbandonarono il concilio, indispettiti per il fatto che i padri conciliari non avessero accettato le pretese di papa Leone I e lo stesso approvò la formula cristologica di Calcedonia (Gesù è una persona con due nature), ma respinse il ventottesimo canone giustificando che nel testo si parlava di importanza politica delle città, mentre si doveva guardare alla fondazione diretta o indiretta da parte di Pietro (che aveva guidato le chiese di Antiochia e Roma, e indirettamente Alessandria tramite il suo segretario Marco, indicato come autore del vangelo). L’abbandono dei delegati romani e il rigetto del canone da parte di Roma dimostrano chiaramente, ancora una volta, come l’asserito primato petrino collegato a Roma non fosse affatto universalmente accettato.

Ma ancor più interessante è rilevare come nella stessa Roma san Gregorio Magno (papa dal 590 al 604 d.C.) non credeva alla trasmissione della supremazia da Pietro al solo vescovo di Roma. Scrivendo a Giovanni patriarca di Costantinopoli, il quale invece aveva assunto inopportunamente il titolo di Vescovo Universale, Papa Gregorio afferma che Pietro, Paolo, Andrea, Giovanni erano tutti ugualmente capi delle rispettive comunità, e tutti membra del Corpo di Cristo ugualmente sottoposti a lui. Poi fa notare che mai nessun vescovo ha voluto essere chiamato universale: “nessuno si è mai fatto chiamare con tale titolo, perché, se qualcuno in virtù del rango pontificale avesse assunto su di sé stesso la gloria della unicità, sarebbe sembrato che la negasse a tutti i suoi confratelli...” Dunque, tutti sono colleghi di pari grado, proprio come in precedenza aveva sostenuto san Cipriano parlando di papa Stefano. Questa memorabile protesta contro il vescovo di Costantinopoli, fa da pendant con la totale rinuncia da parte di Gregorio Magno ad ogni proprio diritto ad assumere un titolo più alto [20]. Sempre papa Gregorio riteneva che la successione sul “trono di Pietro” fosse indubbiamente un onore di cui mostrarsi degni, ma che questo non conferisse alcun potere particolare, tant’è che questo privilegio lo vedeva condiviso tra il papa di Roma, il papa di Alessandria e il patriarca di Antiochia: Alessandria perché fondata da san Marco lì inviato da Pietro; Antiochia perché retta direttamente da Pietro [21]. Leggiamo infatti cosa egli scrive a Eulogio di Alessandria: “Vostra soavissima Santità: mi avete parlato molto nella vostra lettera della Cattedra di san Pietro, il primo degli Apostoli, e infatti colui che mi parla della Cattedra di san Pietro, altri non è che colui che occupa la Cattedra di san Pietro... infatti il suo seggio è in tre luoghi. Egli ha esaltato il seggio in cui si è degnato di fermarsi e di finire la sua vita (nda: Roma) Egli stesso ha adornato il seggio dove mandò il suo discepolo ed evangelista (nda: cioè Alessandria dove Pietro avrebbe mandato Marco). Egli stesso ha stabilito il seggio in cui, prima di lasciarlo, sedette per sette anni (nda: cioè Antiochia). Pertanto il seggio è uno solo, su cui per autorità divina tre vescovi ora presiedono: tutto ciò di buono che sento di voi, io lo assumo per me, e se voi pensate qualche cosa di buono di me, assumetelo a vostro merito, perché noi siamo una sola cosa in Lui che dice: come Tu, padre, sei in me, e io in Te, così essi siano una sola cosa in noi” (lettera XL; Libro VII) [22].

Mi sembra inconfutabile che, con questa lettera, papa Gregorio Magno rifiuti e neghi chiaramente l’idea che il vescovo romano sia unico successore di Pietro, idea su cui in seguito si è voluto fondare il primato romano.

Come si fa a sostenere che per mille anni tutti concordavano sul primato romano?

A questo punto l’inflessibile ferreo tradizionalista mi spiegherà che delle semplici lettere non possono cambiare i principi dogmatici; tuttavia esse mi sembrano sufficienti per confermare:

a) che il primato romano è venuto a formarsi solo col passare dei secoli e all’inizio non era affatto pacifico come ancora oggi ci vogliono far credere;

b) che ancora alla fine del VI secolo questo primato non era pacifico neanche nella stessa Roma (Gregorio Magno fu papa dal 590 al 604 d.C.), per cui è inesatto dire che questo primato era stato da subito riconosciuto universalmente da tutti, senza contestazioni.

c) che comunque Costantinopoli (sede non apostolica, ma come nuova Roma divenuta sede patriarcale col Concilio di Costantinopoli del 381 d.C.) e le Chiese Orientali mai hanno riconosciuto nel vescovo di Roma [23] un vescovo con potestà suprema, unica e universale.

A un certo punto, stufe di dover continuamente reagire alle pressioni e scontrarsi con le pretese romane, le Chiese d’oriente, e più tardi quelle d’occidente nord europee finirono col separarsi. Lo scisma fra occidente e oriente – avvenuto un migliaio di anni fa - è avvenuto in buona parte perché le Chiese di oriente non vollero assolutamente riconoscere questo primato che il vescovo di Roma continuava a invocare [24], e a quel punto l’idea del primato petrino, non trovando più chi la ostacolava, finì col rafforzarsi velocemente in occidente proprio dopo lo scisma [25], fino a raggiungere l’apice nel 1800 col dogma dell’infallibilità [26].

Sono forse tutti incompetenti o tutti sottomessi al diavolo questi vescovi e questi teologi appartenenti alle Chiese orientali e alle Chiese protestanti? Secondo l’infallibile giudizio della Chiesa Cattolica sembrerebbe di sì. In realtà, la Chiesa d’Oriente colloca la propria autorità nell’eucarestia celebrata dal vescovo. Dato che questa costituisce la fonte unica da cui ha origine la Chiesa, e che rappresenta al tempo stesso la pienezza dell’essere, non può esistere un’autorità superiore al vescovo [27]. Nell’ordinamento orientale i vescovi di una determinata zona operano insieme e in armonia, ma nessuno ha autorità sugli altri: vi è una libera federazione di Chiese ortodosse. E, com’è stato osservato, costituisce un successo sorprendente che la vita delle Chiese orientali prosegua il suo cammino senza alcuna autorità unica che comandi dall’alto [28].

La mancanza di un capo in cima alla piramide si riscontra anche nel mondo musulmano sunnita, che pur conta circa un miliardo di credenti; lo stesso avviene nella quinta religione al mondo, quella dei sikh. Dunque, la tesi che la struttura piramidale con un unico capo sia assolutamente necessaria  e indispensabile per mantenere l’unità della Chiesa non regge, visto che nel mondo c’è ampia prova del buon funzionamento della collegialità, del decentramento e del federalismo religioso.

 

Dario Culot

 

                                                                                                                     

[1] Barra  G., La vera Chiesa? È quella Cattolica, ed. Art- I Quaderni del Timone, Novara, 2004,  37. Johnson G. e al., The story of the Church, ed. Tan Books, Charlotte (USA), 1980, 46. Malnati E.,“Simone detto Pietro” nella singolarità del suo ministero, ed. Eupress  FTL, Lugano (Svizzera), 2008, 89.

[2] Gentile P., Storia del Cristianesimo dalle origini a Teodosio, ed. Rizzoli, Milano, 1969, 238 ss. Si rinvia anche alla documentatissima monografia di Papini C., Da vescovo di Roma a sovrano del mondo, ed. Claudiana, Torino, 2009. Vedasi anche Küng H., La Chiesa, ed. Queriniana, Brescia, 1967, 517: nel canone 28 del concilio di Calcedonia, fondamentale anche per l’Occidente, si riconoscono gli stessi diritti onorifici alla sede della nuova Roma (Costantinopoli) come alla vecchia Roma, e fu poi il papa Leone a protestare contro questa parificazione, e non l’Oriente ad accettare la supremazia di Roma. Idem Papini C., Da vescovo di Roma a sovrano del mondo, ed. Claudiana, Torino, 2009, 250ss.

 [3] Pontificia Amministrazione della Patriarcale Basilica di San Paolo, I Papi – Venti secoli di storia, ed. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2002, 9. Papini C., Da vescovo di Roma a sovrano del mondo, ed. Claudiana, Torino, 2009, 21ss.

[4] Eusebio, Historia Ecclesiastica, V. XXIII-XXV. New Catholic Encyclopedia, ed. McGraw-Hill Book Company, New York e al., vol.14, 1967, Vittore I, 646.  Il nostro Simonetti M., Letteratura cristiana antica, ed. Piemme, Casale Monferrato (AL) 1996, vol.2, 85, dice semplicemente che Ireneo interpose i suoi buoni uffici. Secondo Bihlmeyer K. e Tüchle H., Church History, ed. Newman Press, Westminster (Maryland USA), 1958, vol. 1, 121, invece, papa Vittore scomunicò i renitenti asiatici e solo grazie ad Ireneo fece un passo indietro. Secondo Cavanaugh  J.H., Evidence of our faith, ed. University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 1959, 240, il papa non scomunicò nessuno, nonostante le minacce, grazie all’interposizione di Ireneo; ma, aggiunge l’autore, nessuno contesta che il papa avesse la possibilità di scomunicare. Rispondo: se è per questo, anche il vescovo di Costantinopoli ha scomunicato il papa occidentale al momento del grande scisma oriente-occidente; dunque anche lui aveva la possibilità di scomunicare, ma non per questo aveva od ha il primato petrino.

[5] È interessante anche ricordare che i novazionisti negavano alla Chiesa il diritto di assolvere dai peccati gravi come l’apostasia, l’omicidio e l’adulterio. Il canone 8 del Concilio di Nicea del 325 riammise il clero novaziano nella Chiesa, purché questo clero ammettesse alla comunione, previa penitenza, gli apostati, gli omicidi e gli adulteri.

[6] Per un’ampia documentazione sull’intera vicenda vedasi Papini C., Da vescovo di Roma a sovrano del mondo, ed. Claudiana, Torino, 2009, 33ss.

[7] New Catholic Encyclopedia, ed. McGraw-Hill Book Company, New York e al., 1967, vol. 2, Callistus I, 1080 s.

[8] Tertulliano, De Pudicitia XXI, www.documentacatholicaomnia.eu.

[9] Cardinal Dulles A., Magisterium,  ed. Sapientia Press, Naples (Florida USA), 2007, 27.

[10] Pontificia Amministrazione della Patriarcale Basilica di San Paolo, I Papi – Venti secoli di storia, ed. Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2002, 12. Papini C., Da vescovo di Roma a sovrano del mondo, ed. Claudiana, Torino, 2009, 53ss. Schaff P. e Wace H., A selected Library of  Nicene and post-Nicene Fathers of the Christian  Church, Vol.XII, ed T&T Clark Edinbugh (Scozia) 1969, XI Prolegomena alle lettere di Papa Gregorio. Ricordo, come visto la settimana scorsa, che san Cipriano è quello che smentì il “collega” Stefano sulla questione spagnola della revoca della dignità vescovile a vescovi indegni (cfr. la parte finale dell’articolo).

[11] Bihlmeyer K. e Tüchle H., Church History, ed. Newman Press, Westminster (Maryland USA), 1958, Vol. 1, 120.

[12] Atti del sinodo di Cartagine del 257 d.C., in www.documentacatholicaomnia.eu (sotto anno 253, Concilia Cartaginensis-Documenta omnia, raccolta Schaff  P.). Schaff precisa che quest’allusione feroce contro chi vuol essere vescovo dei vescovi viene fatta appunto di fronte al decreto di papa Stefano I, il quale pretendeva di essere chiamato vescovo dei vescovi, e minacciava di scomunica chiunque non si fosse adeguato.

[13] New Catholic Encyclopedia, ed. McGraw-Hill Book Company, New York e al., 1993, Vol. 13, Stefano I, 695. Secondo Bihlmeyer K. e Tüchle H., Church History, ed. Newman Press, Westminster (Maryland USA), 1958, Vol. 1, 121, papa Stefano semplicemente troncò le relazioni con i riottosi africani, e solo il suo successore riparò lo strappo.

[14] Küng H., Infallibile? Una domanda, ed. Queriniana, Brescia, 1970, 128 s.

[15] Ad es., Cavanaugh  J.H., Evidence of our faith, ed. University of Notre Dame Press, Notre Dame, Indiana, 1959, 142 s.

[16] Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 107.

[17] La “decentralizzazione” come l’ha chiamata papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium del 26.11.2013. Se vi è stata opposizione a Papa Giovanni XXIII quando decise di fissare il Concilio, immaginiamo quale forza contraria troverà questo papa che cerca il decentramento nella sua stessa istituzione.

[18] Binns J., Le Chiese ortodosse, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2005, 237.

 [19] Denzler G., Il papato, ed. Claudiana, Torino, 2000, 25.

[20] Schaff P. e Wace H., A selected Library of  Nicene and post-Nicene Fathers of the Christian  Church, Vol.XII, ed T&T Clark Edinbugh (Scozia) 1969, XII Prolegomena  alle lettere di Papa Gregorio. Denzler G., Il papato, ed. Claudiana, Torino, 2000, 27s.

[21] Schaff P. e Wace H., A selected Library of  Nicene and post-Nicene Fathers of the Christian  Church, Vol.XII, ed T&T Clark Edinbugh (scozia) 1969, XIIs.  Prolegomena  alle lettere di Papa Gregorio. 

[22] I neretti sono miei. L’Epistolario di san Gregorio Magno è reperibile nella versione latina nella Patrologia Latina del Migne e in diverse lingue straniere, ma non mi risulta sia stato tradotto in italiano.

 [23] Concetto ribadito  più volte anche in Schaff P. e Wace H., A selected Library of  Nicene and post-Nicene Fathers of the Christian  Church, Vol.XII, ed T&T Clark Edinbugh (scozia) 1969, XIII Prolegomena  alle lettere di Papa Gregorio.

 [24] E questo aspetto resta ancora oggi il principale ostacolo alla riunione fra cattolici e ortodossi: Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 132.

 [25] Ratzinger J., Dio e il mondo, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo ( MI), 2001,  348.

[26] Definito dagli ortodossi “una mostruosità”, tanto più che alcuni papi furono dichiarati eretici proprio dai concili ecumenici: per esempio Papa Onorio I (638); o Papa Liberio, il quale sottoscrisse nel 358 le formule ereticali del semiarianesimo, scomunicando il grande e santo Atanasio difensore dell'Ortodossia, e finendo per essere colpito a sua volta dall'anatema (scomunica) di Sant'Ilario di Poitiers (da: la Chiesa ortodossa in pillole, in http://www.chiesaortodossaitaliana.it/). Va comunque anche ricordato che nel concilio Vaticano I (1870) un buon gruppo di vescovi e teologi furono contrari alla definizione dell’infallibilità pontificia. Alcuni non accettarono il concilio e si separarono da Roma dando origine ai cosiddetti Veterocattolici. Altri, senza abbandonare la Chiesa, non vollero partecipare né assistere all’ultima votazione conciliare sull’infallibilità e qualcuno di essi fu così indispettito da gettare tutti i documenti conciliari nel Tevere (Codina V.).

[27] Binns J., Le Chiese ortodosse, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2005, 236.

 [28] Binns J., Le Chiese ortodosse, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2005, 237.