L’energia circolare dell’amore - Letizia Tomassone

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L’energia circolare dell’amore

di Letizia Tomassone

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Viviamo giorni in cui la rivelazione e la consapevolezza di essere in un epoca di crisi ci viene incontro attraverso i segni dei tempi.

Questa rivelazione provoca una scossa che ci pone di fronte alle nostre responsabilità per i cambiamenti climatici, e di una conversione in direzione della giustizia ambientale, che tenga insieme i diritti dei più vulnerabili, poveri, donne, popolazioni indigene, e i diritti della Terra.

L’eccessiva estrazione di carbone e l’eccessivo consumo di petrolio e in generale di risorse fossili non rinnovabili nei tempi dell’umanità sta trasformando il nostro modo di percepire il modo.

L’uso arrogante e avido delle risorse del pianeta e del tempo di ere che la Terra ha impiegato per produrre le risorse fossili, tra cui tutti i minerali, il petrolio, il gas e i giacimenti fossili di acqua, sta trasformando la nostra Terra in un luogo irriconoscibile e in alcuni luoghi non più abitabile, al punto che l’attivista Bell Mc Kibben cambia il nome del pianeta in “Terraaa”. 

Come credenti abbiamo ricevuto da Dio la promessa di stabilità del mondo (Gen 8,22: Finché la terra durerà, semina e raccolta, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte, non cesseranno mai”).

Eppure le trasformazioni a cui stiamo assistendo fanno pensare a una crisi di queste promesse, a ferite non rimarginabili. Di quale speranza possiamo parlare?

Anche il linguaggio della fede deve imparare a riconoscere e affrontare i segni del giudizio e il nuovo contesto della promessa di futuro in tempi di cambiamento.

La speranza nasce anche da storie di resilienza e di redenzione che mostrano come il coraggio umano sappia creare futuro e andare a cercare nel passato risorse nuove e vecchie per il nostro tempo di cambiamenti disperati: sobrietà nei consumi e gioia della condivisione, economia circolare e guarigione di ferite profonde nel paesaggio, da cui dipende la salute del nostro spirito.

Un tempo di rivelazione della nostra dipendenza dal carbon fossile come questo richiede gesti ermeneutici forti.

La rivelazione è lo svelamento di come i nostri stili di vita non siano affatto naturali ma basati su un consumo feroce e rapido di risorse non rinnovabili.

Per spostarci, scaldarci, illuminarci, usiamo l’equivalente della forza lavoro di decine di esseri umani, un’ottantina di schiavi in questa parte occidentale del mondo.

Lo schiavismo come sistema economico e sociale non è finito, solo si sono sostituiti i combustibili fossili alla forza lavoro umana, che tuttavia continua a essere usata anch’essa in molte situazioni anche italiane, dato che lo sfruttamento umano ha costi inferiori persino alla rapina del pianeta.

Lo schiavismo e la povertà sono nel mondo maggiormente evidenti nelle conseguenze che hanno sulla vita delle donne. Anche l’agenda 2030 mette in evidenza l’importanza dell’accesso all’acqua potabile sicura e economica per tutti e tutte per incrementare diritti e  libertà delle donne.

Nel mondo il legame tra mancanza d’acqua, povertà e donne è sempre più evidente.[1]

Le donne portano l’acqua. Fanno chilometri per raggiungere fonti di acqua pulita e rifornire le case. Ecco allora che molte teologhe si battono per i diritti delle donne a partire dal diritto all’acqua.

Diritto all’igiene per sé e per i bambini e le bambine, per i malati, per i loro orti.

Le teologhe dicono che “la giustizia climatica è una questione femminista”, perché implica analisi molteplici sui legami tra la povertà e l’essere donna; perché il corpo delle donne e la Terra sono mercificate e rese oggetto dell’aggressione e dell’avidità patriarcale e consumista; perché restituire dignità alle donne e alla Terra è questione spirituale, oltre che materiale.

La mancanza di accesso all’acqua fa parte ancora dell’ingiustizia economica e sociale e di genere, a cui si aggiunge oggi la denuncia necessaria sulle ingiustizie ambientali e climatiche, che portano le parti più vulnerabili della società (e quindi le donne) a soffrire più fortemente i disastri ambientali.

Se la mancanza di risorse fossili causa ancora povertà e miseria nel mondo, come uscire noi del Nord globale dalla dipendenza fossile?

La domanda richiede che sappiamo porci nella posizione di una piena consapevolezza della nostra dipendenza, mentre per ora siamo ancora – come società e anche come chiese – nel pieno diniego.

La teologa Marion Grau scrive, in modo molto suggestivo e attendo: “Noi attendiamo la piena presenza di Dio e del suo Unto nel mezzo di una vita unta dagli oli fossili, ingrassata dall’energia che sostiene i nostri movimenti, trasporti, alimentazione, riscaldamento, lussi e illuminazione”.[2]

Due unzioni si contrappongono e due dipendenze: l’Unto di Dio e gli oli fossili; l’interdipendenza del mondo nell’energia divina dello Spirito santo che è circolare e si rinnova nella forza dell’amore, e la nostra dipendenza economica e mondiale da risorse limitate e finite, in via di esaurimento, che usiamo a scapito delle future generazioni e al costo di un dissesto climatico permanente e irreversibile che coinvolge ormai tutto il pianeta.

Di fronte a questo la voce profetica delle chiese e dei credenti è ancora molto limitata. Facciamo fatica a vedere e denunciare l’idolatria della nostra dipendenza fossile.

Il fuoco di Dio infatti arde e non consuma, è come l’amore vissuto dalle mistiche.

Fuoco che scalda e brucia gli oli fossili e i gas, tecnologie e miseria, ma anche speranza. Dio che è fuoco non offre solo calore e consolazione nelle sofferenze, ma esprime il giudizio che brucia le scorie e che ci spinge a denunciare, a protestare, a cercare giustizia.

In questo grido di protesta possiamo trovare un nuovo linguaggio per dire la nostra connessione e dipendenza con il mondo sacro, con l’Unto di Dio.

La teologia protesta contro le sofferenze provocate dai cambiamenti climatici e nomina le strutture di cambiamento.

La fede sostiene le comunità in esodo, quelle materiali fatte di donne e uomini che fuggono i disastri ambientali, i profughi ambientali, e quelle spirituali di comunità che cercano vie d’uscita dalla dipendenza ingiusta da risorse non rinnovabili verso economie sostenibili e energie rinnovabili e diffuse, verso economie più democratiche, condivise e giuste.

La teologia resiste e legge i disastri ambientali come un giudizio implacabile sui nostri stili ingiusti di vita, e ci invita alla conversione ambientale. Le disuguaglianze nel mondo ci rendono difficile rispondere in maniera adeguata ai cambiamenti climatici o all’invasione di plastiche nell’oceano, sulle spiagge, nelle acque.

La vita in pericolo di tante specie animali e di tanti ambienti naturali ci spinge a vedere nei cambiamenti climatici una forma di violenza strutturale imposta sul mondo.

Sono da denunciare i sistemi finanziari e industriali che negano la loro responsabilità e resistono alla conversione ecologica; si tratta di un “capitalismo del disastro”, capace di trarre profitto anche dai disastri e dalle devastazioni climatiche.

Il compito di chiese e credenti è oggi quello di sostituire comunità profetiche che compiano atti di resistenza a questa economia del consumo estremo e pratiche di cambiamento sociale.

Non si tratta solo di trarre nutrimento dalla sapienza e dalla resistenza dei popoli indigeni nella loro connessione con la Terra, ma anche di un ripensamento della vita urbana, con la sua “natura seconda”.

Celebrare nelle città ricordando che anche qui siamo sostenuti dal pianeta e dalle risorse dell’ambiente che crea per noi ossigeno e un clima vivibile, acqua pulita e cibo. Non sostenere più gli investimenti finanziari nell’economia fossile, come già alcune chiese e movimenti religiosi stanno facendo.

Creare nuove alleanze con il mondo animale, riducendo consumi e allevamenti intensivi, e nuove alleanze per la sovranità alimentare nel Sud globale, denunciando e riducendo il Land Grabbing.

Anche questa volta la conversione parte dal cuore di ogni individuo consumatore del mondo, e lo porta però a costituire comunità di resistenza, celebrazione e cambiamento, mosse dalla speranza che l’energia di Dio è circolare, può e deve essere condivisa, e invece di consumarsi si allarga e si moltiplica con l’uso: il suo nome è amore.

 

Bibliografia:

R. Radford Ruether, Gaia e Dio. Una teologia eco femminista per la guarigione della terra, Queriniana, Brescia 1995.

Papa Francesco, Laudato Si’. Enciclica sulla cura della casa comune, 2015.

 

[1] Testimonianza di Agnes Abuom Presidente del comitato centrale del Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC). Si tratta della seconda settimana di riflessione della campagna 2017 delle sette settimane per l’acqua organizzata dalla Rete ecumenica dell’acqua (EWN) del CEC.

[2] Marion Grau, “The revelations of global climate change: a petro-eschatology”, In: S. Bergmann ed., Eschatology as Imagining the End, Routledge 2018, p.45-60.