Ma se a pensare alla Trinità vengon dei dubbi

La Trinità, scultura di scuola russa ispirata all’icona di Andrej Rublev, http://selivanovstudio.com/ru/galleries  

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Dunque il dogma della Trinità ha la pretesa di obbligare tutti a credere che l’uomo sa cosa è Dio in sé: Dio è uno solo, unica è la sua sostanza (o natura), ma non solitario perché è comune a tre persone (o ipòstasi) consustanziali [1] (nda: anche in questo articolo, come nei prossimi sulla Trinità, potete evitar di leggere le note per non far diventare la lettura troppo pesante), cioè uguali fra di loro ma allo stesso tempo distinte e non separabili in ciò che sono e in ciò che fanno [2]. La fede trinitaria vede le Persone eternamente relazionate in comunione infinita: tre Persone in un’unica comunione [3]. Il Padre è Dio, il Figlio è Dio che ci viene incontro, lo Spirito Santo è Dio che ci viene incontro; tutti e tre sono Dio, ma esiste un solo Dio, un’identica divinità (essenza, sostanza, natura) in tre persone distinte [4]. Chiarito finalmente tutto? Mah! Non credo proprio che basti fare affermazioni di questo genere per avere le idee molto più chiare di prima.

Sottolineo invece subito che, pur avendo letto vari autori che hanno cercato di spiegare cosa è la Trinità [5], e pur non avendo le idee molto più chiare di prima neanche dopo queste letture, quello che più mi ha colpito è che generalmente manca la risposta ad almeno due domande pregiudiziali che – io credo - qualsiasi profano si pone:

a) come mai nel cristianesimo si è arrivati a pensare alla Trinità? Dopo tutto erano ebrei quelli che avevano cominciato il cammino con Gesù, pure lui ebreo. Eppure, da ferrei monoteisti, hanno introdotto questa triade che fa pensare al politeismo? Come mai?

            b) che differenza c’è, nella vita pratica di ciascuno di noi, se in Dio c’è una, oppure tre, oppure cinque persone? Se ben ricordo, fu Kant a dire che la dottrina della Trinità, così come presentata, non ha rilevanza alcuna anche se noi pensiamo di averla capita: che si adori un Dio o tre persone nello stesso Dio non fa grande differenza. Tant’è che altri hanno argutamente scritto: se la gente dovesse leggere sul giornale del mattino che la Chiesa ha scoperto una quarta persona della Trinità, questo causerebbe scarsa agitazione, o almeno un’agitazione minore di quella causata da un pronunciamento vaticano su una questione di etica sessuale [6]. Insomma, alla gente comune il preservativo interessa assai più della Trinità.

Ma torniamo alle definizioni dottrinali. Dio è una natura (o sostanza): ma cosa sarebbe questa sostanza divina? Nessuno lo sa, neanche la Chiesa lo può sapere, perché Dio resta al di là di ogni nome essendo la trascendenza inconoscibile. Non c’è possibilità di comunicazione fra l’ambito trascendente divino e l’ambito immanente terreno. Perciò, già dare a Dio il nome di Dio è inappropriato, perché dandogli un nome lo si ridimensiona ad un’entità conosciuta [7] e incasellabile nei nostri schemi mentali. Fin dagli inizi del cristianesimo san Giustino scriveva: «Nessuno infatti può dare un nome al Dio ineffabile; e se qualcuno osasse dire che ne esiste uno, sarebbe inguaribilmente pazzo» [8]. Indipendentemente da noi, in sé e per sé, non sappiamo che cosa sia Egli veramente. Anzi, sappiamo che Dio è tale solo per noi uomini, ma non per sé stesso; infatti, senza di noi e senza la nostra relazione con lui non avrebbe il nome di Dio. La stessa idea di adorazione è inerente al concetto di Dio così come immaginato dagli uomini, ma sarebbe assurdo dire che Dio adora sé stesso. Avevano dunque ragione gli ebrei a non pronunciare neanche il suo nome. Dio non è Dio di sé stesso, lo è solo mediante la creatura umana; infatti Dio non dice mai «Io sono il mio Dio!», ma «Io sono il vostro Dio». Dio è il nostro Dio [9]. Da solo Lui come si chiama? Non lo sappiamo.

Si può accettare che, se Gesù prega il Padre, di fronte al Padre egli è persona; e allo stesso modo si pone davanti allo Spirito. Ma in questa situazione si presenta come uno di noi, come persona umana, non certo divina [10]. Aggiungere invece che, essendoci una relazione interpersonale tra il Padre, Gesù Cristo e lo Spirito Santo, con buoni motivi siamo davanti a tre persone divine (Padre, Figlio e Spirito Santo), mi sembra un bel salto logico. Di più, s’introduce un chiaro antropomorfismo in Dio. Affermare come fa il magistero che si può parlare di tre persone divine nella Trinità, utilizzando il concetto umano di persona (partendo dall’uomo Gesù) perché questo porta in sé l’inter-relazionalità [11], è dare per scontato che noi si sappia cosa o chi è Dio in sé, quando invece - lo ripeto,- non lo sappiamo e non lo possiamo sapere. Inoltre la relazionalità non esiste solo fra persone: anche le cellule si relazionano fra di loro, anche gli atomi. Io posso avere una relazione interpersonale anche col mio cane, ma tutti concordano che il mio cane non è persona come me. E anche gli animali hanno relazioni fra di loro.

Quando poi si afferma che in Dio ci sono tre persone che condividono la stessa ousia (essenza, natura), stiamo dicendo che la natura divina resta una sola per tutte e tre, senza dividersi (art. 255 Catechismo). Siamo forse davanti a tre partecipanti nello stesso Essere infinito? Ma se la partecipazione è reale (come afferma il n. 254 del Catechismo), nessuna delle tre persone comprenderebbe la totalità dell’Essere, perché se una si appropria della totalità, cosa resta per le altre due? Se cioè il Padre – che non è il Figlio - non possiede tutta la natura divina, che è e resta sempre una, se gliene manca anche un solo filino, Lui (il Padre) non può essere Infinito. Se invece l’unica natura divina è tutta nel Padre, per il Figlio cosa resta? Per lo Spirito Santo cosa resta? Come fa l’unica natura divina, che è tutta nel Padre, ad essere tutta anche nel Figlio che non è il Padre, e tutta anche nello Spirito Santo che non è né Padre né Figlio? I nn. 252s. e 255 del Catechismo sparano simili affermazioni senza però darci alcuna adeguata spiegazione.

Se, al contrario, diciamo che la partecipazione non è reale, allora le tre persone sarebbero solo differenti modi con cui l’unico Essere, il solo ad essere reale, si presenta nella nostra mente, e cadremmo nell'eresia del modalismo [12], dove l’unico Dio si presenta a volte come Padre, a volte come Figlio, a volte come Spirito, tre travestimenti, tre vestiti diversi con cui si presenta la stessa persona [13]. Come quando una società a responsabilità limitata si trasforma in società per azioni: cambia veste, ma sempre lei resta: non siamo davanti a due persone (giuridiche) distinte, ma sempre davanti alla stessa persona (giuridica) di prima.

E non basta: come mai, se nella Trinità si vuole sottolineare il carattere personale di Dio con le sue tre persone distinte, le prime due (Padre e Figlio) sono personali, mentre la terza  (lo Spirito) assai meno, tant’è che viene rappresentata di norma come colomba e non come una persona [14]? Il Figlio appare in forma umana in Gesù bambino e in Gesù giovane; lo Spirito Santo in forma di colomba, e il Padre viene raffigurato come vecchio con la barba e i capelli bianchi (vivendo dall’eternità non può che essere assai vecchio): eppure - dice il magistero - c'è una perfetta uguaglianza fra le tre Persone che neanche nessun artista è riuscito ad concepire in maniera adeguata.

Un tentativo di risposta – come si è visto la scorsa settimana,- l’ha dato il papa emerito: le tre persone vanno intese piuttosto come mere relazioni (n. 255 Catechismo), il che equivale a dire che l’Essere è relazione [15], e in tal modo la distinzione tra le persone trinitarie resta reale, perché l'una non è l'altra. Per relazionarsi non si può essere da soli. La persona, dice sempre l’ex papa, è il presupposto della relazione. Su questa linea, un grande teologo indo-europeo suggerisce che sarebbe meglio allora mettere al posto della persona divina un nodo in una rete di relazioni. In questa prospettiva l’individualità è soltanto il nodo astratto, reciso da tutti i fili che concorrono a formare il nodo. Persona è allora nodo cosciente, consapevole di essere quel nodo. Ogni nodo è reale, ma i nodi senza fili non sono nulla, i fili senza nodi non potrebbero sussistere. Né i nodi, né i fili sono irreali, ma solo la rete forma un tutt'uno. La vera realtà che dà identità all’individuo è allora la rete [16]. Dunque dovremmo dire che Dio è la rete, i nodi sono le tre persone? Ma in tal modo è evidente che il termine persona cambia completamente di significato, perché nessuno di noi dubita che Robinson Crusoe fosse persona anche prima di incontrare Venerdì, quando viveva da solo sull’isola deserta, senza relazionarsi con altri. E se solo la capacità di relazionarsi giustificasse il termine “persona”, l’uomo in stato vegetativo non sarebbe persona (e questo non è vero neanche per la dottrina ufficiale della Chiesa).

È vero che ogni nodo, essendo attraverso tutti i fili in comunione con tutta la rete, in certo qual modo rispecchia tutti gli altri nodi, per cui non è del tutto errato dire che anche la nostra vita è decisa dalle relazioni che intrecciamo. Però, nella nostra cultura, tre persone che si relazionano restano tre individui reali fra loro distinti e separati, ognuno con piena consapevolezza di sé, ognuno con la sua conoscenza, con la sua volontà, con la sua memoria, mentre ci viene insegnato che nella realtà divina in sé esiste una sola volontà, una sola consapevolezza (perché altrimenti saremmo veramente politeisti che adorano tre dei).

Se poi si vuol affermare che le tre persone sono concretizzazioni reali di un'unica sostanza divina, sì che in questa sostanza c’è un'unica coscienza-di-sé che è data dalla sostanza divina che ciascuna possiede [17], mi sembra si possa obiettare che la coscienza-di-sé è propria della persona individuale e non della natura astratta: ognuno di noi ha coscienza di sé, di essere umano, mentre la natura umana non ha coscienza di essere tale. Se fosse la natura/essenza ad avere coscienza e volontà avremmo una distinzione reale tra le Persone e l'essenza che porterebbe ad una quaternità: tre persone + un’essenza [18], tutte e quattro consapevoli di sé, con un proprio intelletto e una propria volontà.

Allo stesso modo non si può neanche pensare a Dio come persona a sé, perché sarebbe una quarta persona, e allora le tre figure che sono in Lui  - alle quali Lui dà unità - non possono essere persone: dentro a una persona non ci possono essere altre persone. Io sono una persona, ma dentro di me non ci possono essere altre persone. Di nuovo, non almeno nel senso che oggi ha il termine persona. Insomma, se già siamo davanti a tre persone che si distinguono fra di loro (n. 254 Catechismo), come fa Dio ad avere un carattere personale o sovra personale rispetto alle tre [19]?

In sintesi, se si parla di tre persone (e noi abbiamo ben stagliato in mente cosa sono tre persone), è chiaro che sfugge l’unità. Se si parla di unità, sfugge il concetto di tre distinte persone.

Un solo punto mi sembra veramente chiaro in questo guazzabuglio abbastanza nebuloso: non è possibile negare che, se il Figlio è generato dal Padre e lo Spirito Santo procede (cioè ha origine) da entrambi [20] (non si può dire che è generato da Dio perché sarebbe il fratello di Gesù; non si può dire che è generato da Gesù perché sarebbe il nipote di Dio e figlio di Gesù [21]), c’è un’implicita affermazione di una subordinazione della seconda e terza persona della Trinità rispetto alla prima, in quanto solo nella prima la divinità appare più compiutamente realizzata. Se è il Padre a dare ogni cosa al Figlio, e questi riceve tutto dal Padre (Mt 11, 27); se lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio, e quindi viene “spirato” dai due [22], come si può parlare di tre persone sullo stesso identico piano? Se è vero che le tre Persone ricevono la loro personalità unicamente dalla relazione che ciascuna mantiene con l’altra [23], se è vero che è il Padre a stabilire le relazioni di origine a partire da sé stesso perché Egli rappresenta l'unica fonte-sorgente-origine di ogni relazione [24], non siamo affatto davanti a tre angoli del triangolo perfettamente uguali. Facendo ruotare velocemente il triangolo equilatero non sappiamo più qual è il primo angolo che abbiamo guardato. Nella Trinità, invece, la prima persona, alla quale vengono riferite la seconda e la terza persona, è dotata di una priorità nascosta [25].

Non per niente già i primi padri della Chiesa avevano visto chiaramente questo punto. Ad esempio san Giustino (martire e padre della Chiesa) parlava espressamente di Figlio subordinato al Padre, che è secondo in ordine: «Dimostreremo poi che a ragione noi veneriamo Colui che ci è stato maestro di queste dottrine, e per questo è stato generato, Gesù Cristo, crocifisso sotto Ponzio Pilato, governatore della Giudea al tempo di Tiberio Cesare; abbiamo appreso che Egli è il Figlio del vero Dio, e Lo onoriamo al secondo posto, ed in terzo luogo lo Spirito Profetico»; e anche: «Ci accusano di pazzia, poiché dichiariamo di credere subito dopo Dio ad un uomo crocifisso»; e lo stesso autore poi aggiunge: «la prima potenza, dopo Dio, Padre e Signore di ogni cosa, è il Logos, Suo figlio» [26]. Mi sembra che più chiaramente di così Giustino non poteva esprimersi, ma si è espresso in un modo che oggi viene considerato contrario alla dottrina ortodossa, per cui non sentirete mai parlare di lui in chiesa o al catechismo. Le idee diverse e contrarie al dogma, anche se provengono dai santi, sono state rottamate.

Invece mi sembra che san Giustino fosse nel giusto perché, a conferma della priorità nascosta del Padre, se non ci fosse stato per prima il Padre, o se questi venisse a mancare, il Figlio da solo (che è quello che ritorna l’amore che però gli giunge da un altro) non ricevendo l’amore non potrebbe neanche più restituirlo. In altre parole, il Figlio non è padrone della propria esistenza, nel senso che all’origine non c’è il figlio, non c’è l’IO. Se il Padre rifiutasse di pensare o di amare, non ci sarebbe il Figlio. Se invece il figlio esistesse dall’origine, non si potrebbe parlare di figlio. Ma non basta, perché dalla lettura dei vangeli emerge chiaramente che pure la resurrezione e la salvezza avvengono su iniziativa del solo Padre. Per san Paolo, è sempre il Padre che decide anche la morte del Figlio per redimerci dai peccati. Evidente allora la priorità del Padre, prima sorgente di ogni altra cosa, l'unico a non precedere da nessuno. Insomma, tutto ha origine dalla prima persona, il vertice della piramide divina [27], perché è solo Lui che assicura l'unità, la consustanzialità e quant'altro. Non basta dire che non c’è successione temporale (non esiste prima il Padre e poi il Figlio) poiché in Dio tutto è eterno e simultaneo [28], perché se il Padre è l’unico principio senza principio (non procedendo da nessuno), mentre per le altre due Persone c’è un atto generativo, viene a cadere dal punto di vista razionale la perfetta uguaglianza. Nemmeno - mi sembra – sarà sufficiente dire che il Padre non causa il Figlio, ma gli comunica il proprio essere [29], perché se non ci fosse il Padre, alle altre Persone non verrebbe comunicato un bel nulla, e il Padre è l’unico principio senza principio, cioè Persona a cui non c'è bisogno di comunicare nulla. Del resto, se al Padre dovesse essere inizialmente comunicato amore, significa che neanche Lui  sarebbe completo; gli mancherebbe qualcosa.

Ma come una ciliegia tira l’altra, qui un dubbio tira l’altro:

(1) La Chiesa afferma l’esistenza di un Dio uno e trino, in cui il Padre sta tutto nel Figlio, tutto nello Spirito, il Figlio è tutto nel Padre, tutto nello Spirito Santo, e lo Spirito Santo è tutto nel Padre e tutto nel Figlio [30]. Ma un padre non può essere mai il proprio figlio; e se è così anche per Dio-Padre, che non è Dio-Figlio, significa che all’interno dell’Infinità-Dio, al Padre manca qualcosa, appunto perché non potrà mai essere né Figlio, né Spirito Santo: il Padre non potrà mai comunicare al Figlio la paternità, e il Figlio non potrà mai comunicare al Padre la figliolanza: c'è un'incompletezza di fronte a questa incomunicabilità. Ma l’Infinito (n. 2086 Catechismo), se è incompleto, non può essere Infinito. Come si può allora sostenere che il Padre è tutto nel Figlio (e nello Spirito Santo), ed il Figlio è tutto nel Padre (e nello Spirito Santo) (art. 255 Catechismo)?

(2) Si dice che il Figlio esige la comunicazione del Padre [31], perché se non gli venisse comunicato niente, che ci starebbe a fare? Ma se esige l'amore, vuol dire che aspira a quello che prima non aveva, e l’amore di ciò che uno non ha è pio desiderio. Se esige, in lui si nota chiaramente una mancanza che può essere soddisfatta solo dal Padre, il che contrasta con la completezza del Figlio come essere Infinito. Se poi Dio Padre è già infinito ed ha in sé l’amore infinito, non ha bisogno di nessun altro, perché dona comunque sé stesso a sé stesso infinitamente, e con questo suo autodonarsi esaurirebbe la sua infinità [32], senza dover aspettare che il Figlio gli restituisca l’amore. La solitudine è un difetto nell’uomo, ma nell’Infinito non ci può essere solitudine. Altrimenti torniamo sempre a un antropomorfismo.

(3) Si può essere d’accordo sul fatto che Dio non può non pensare, e anche che, a differenza del pensiero di noi uomini che è molteplice, confuso e imperfetto, in Dio – la cui attività è infinita e perfetta – lo spirito genera d’un sol tratto un pensiero uguale a Lui stesso, che lo rappresenta tutto intero e non ha bisogno di un secondo pensiero, perché il primo è già infinitamente perfetto, ed ha quindi già esaurito ogni altra possibilità. Dunque, il primo ed ultimo pensiero di Dio che resta eternamente presso di Lui, è anche la sua Parola, il suo Verbo interiore, come anche il nostro pensiero è la nostra parola, il nostro verbo. Ma, a differenza del nostro verbo imperfetto, quel Verbo è perfetto e dice tutto a Dio in una sola parola [33], lo dice sempre senza ripetersi mai. Questo concetto lo si può ricavare interpretando Giovanni [34], che comincia così il suo Vangelo: “In principio era il Verbo, e il Verbo era in Dio e il Verbo era Dio”. Fin qui credo si possa essere tutti d’accordo nel dire che il Verbo è Dio, ma non Gesù, e per questo si può senz’altro dire che “In principio” già c’era il Logos, la Parola. Ma se il pensiero di Dio è unico, e necessariamente già comprende in sé l’Amore, e se il frutto del pensare – cioè il Figlio, - comprende specularmene in sé anche l’Amore, questo Amore fa già parte delle prime due persone, e la terza (lo Spirito Santo) a che serve?  Perché il mutuo amore già perfetto dei due richiede l’intervento di un terzo? Perché si deve ritenere che questo Amore deve fuoriuscire dal pensiero del Padre e dal frutto del suo pensare (il Figlio) per diventare la terza Persona della Trinità? In altre parole, se tutto il pensiero di Dio, uguale a Lui, e quindi anche l’Amore infinito, è già nel Figlio, cosa resta per lo Spirito Santo? Dire poi che l’amore mutuo è più perfetto dell’amore singolo vale di nuovo per gli uomini ma è antropomorfismo se lo pensiamo per Dio.

(4) Criticabile mi sembra anche la tesi secondo cui in Dio ci devono essere per forza delle persone differenti perché chi non ha esistenza personale non potrebbe donare nulla [35]. Forse che uno splendido tramonto o una musica celestiale non possono donare brividi di emozione o sensazioni di pace e serenità? Non possono trasmettere nulla?

(5) Errata sembra pure la pretesa della Chiesa di aver dovuto spiegare la Trinità in maniera esplicita per difenderla così “contro errori che la alterano” (n.250 Catechismo). Per la teologia, mistero è una verità soprannaturale essenzialmente inaccessibile alla ragione umana, di cui può acquisirne conoscenza solo grazie ad una speciale rivelazione di Dio [36], che così passa dalla trascendenza all’immanenza del mondo. Si può accettare questa definizione perché vale logicamente per ogni mistero. Noi siamo circondati da misteri: le stelle del firmamento sono pari o dispari? Mistero. Se chi le ha fatte ce lo dicesse, il mistero cesserebbe di essere tale. Quindi se chi ha fatto le stelle mi dicesse che sono 300 miliardi, 401, potrei dire che sbaglia chi afferma che sono 300 miliardi e 400. Ma nel nostro caso, il mistero permane anche dopo l’asserita speciale rivelazione, come ammette la stessa Chiesa (n. 1066 Catechismo); e allora come può affermare che chi non la pensa alla sua maniera cade nell’errore? Se resta un mistero anche per lei, perché non può sbagliare la Chiesa nel definire l’essere di Dio così come lo ha definito?

Sta di fatto che davanti a un Dio misterioso e insondabile, i misteri di tipo filosofico difficilmente affascinano la moltitudine, soprattutto quando si vede una distanza abissale fra dogma astratto e vita pratica: tant’è che si prega Dio, si prega Gesù, si pregano i singoli santi, ma io non conosco nessuno che preghi direttamente la Trinità. Forse solo qualche mistico lo farà. Anche quando si prega il Signore, si prega normalmente il Padre, o Gesù o forse anche lo Spirito santo, ma non la Trinità nella sua unità.

(6) La dottrina ufficiale della Chiesa, pur imponendo la Trinità come dogma, non è riuscita a spiegarcela chiaramente, e si giustifica dicendo che la Trinità resta pur sempre un mistero (nn. 234, 237, 1066 Catechismo) [37] che non possiamo né interamente comprendere né spiegare [38]; ma in tal modo si contraddice con l’affermazione di aver “chiaramente e inequivocabilmente” identificato in Dio tre persone, perché parlare di chiarezza misteriosa è un ossimoro. Dovremmo piuttosto proclamare ad alta voce che non siamo minimamente in grado di parlare di Dio in sé [39] perché, come si è detto ormai più volte, l’ambito della trascendenza ci è inibito.

(7) Anche dire che Dio è Amore totale non spiega ancora la scelta di una formula trinitaria, perché Dio è anche conoscenza, sapienza, parola, potenza, intelligenza, maestà, santità e chi più ne ha, più ne metta. Ma allora perché solo l’Amore divino diventa persona? Perché le altre qualità sono dimenticate? Come ho scritto la settimana scorsa, i pensieri sono dentro di noi, ma quando escono non si trasformano in persone. I pensieri io posso manifestarli, ma il pensiero di chi pensa resta necessariamente dentro a chi pensa. E non vale lo stesso per l’amore? Anche l’amore di chi ama resta dentro alla persona che ama. Anche quando ama un’altra persona. Andrà di nuovo fuori la manifestazione dell’amore, ma l’amore resta dentro. Anche nell’uomo, nessun pensiero, nessun amore possono essere fuori di colui che pensa e ama. E le manifestazioni del pensare e dell’amore, non diventano mai persone autonome. V’immaginate se i nostri pensieri diventassero persone? Perché poi soltanto una frazione di questo pensiero del Padre (l’Amore che ha generato il Figlio), che invece è molto più vasto, deve diventare un’altra persona nel consolidarsi con l’Amore che il Figlio gli ritorna? Perché non diventano allora persone anche la sua sapienza, la sua bontà, eccetera? Perché le persone non sono cinque, dieci, o venti? Perché non diventano Persone tutte le doti (pace, carità, gloria, eccetera) che in noi sono accidentali, ma che in Dio (essere completo e perfettissimo) fanno parte della sua essenza?

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Alla fine di tutto questo discorso, l’unica cosa che mi sembra inequivocabilmente chiara è la difficoltà di sostenere la tesi di un’inequivoca e chiara autorivelazione divina, posto che in nessun vangelo, neanche in quello di Giovanni e neanche nell'Apocalisse giovannea, Gesù afferma direttamente che in Dio vi sono tre persone in stretta relazione fra di loro unite in un’unica essenza. Men che meno Gesù si è mai sognato di dire che lui era Dio ed era la seconda persona della Trinità divina, vivente in forma umana, e che il Consolatore che sarebbe venuto dopo di lui era la terza persona della Trinità divina trascendente: solo in questo caso ci avrebbe fatto inequivocabilmente intendere con le sue parole che Dio è tripersonale.

Come allora si possa tranquillamente affermare che proprio Gesù è il rivelatore inequivocabile del mistero trinitario e che solo grazie all’autorivelazione di Dio (in Gesù) noi sappiamo che il nostro non è un Dio solitario ma trinitario [40], resta per me un mistero al pari del mistero della Trinità.

E allora, se la Trinità non si fonda su un’affermazione chiara e diretta di Gesù, ma costituisce una deduzione di teologi umani che hanno sviluppato alcuni passi delle Scritture, utilizzando la metafisica, e tralasciando altri passi non compatibili con i primi, siamo, secondo me, esattamente al punto di partenza. O forse no...

                                                                                                                                             (continua)

                                                                                                         

 

Dario Culot                      

[1] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 104, così spiega la consustanzialità: nel mistero della Trinità tutto proviene da un unico principio generatore e spiratore, che è il Padre, e l'unità risiede nella sostanza del Padre comunicata.

[2] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 172.

[3] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 66.

[4] Rahner K., La Trinità, ed. Queriniana, Brescia, 1998, 58.

[5] Cominciando dal vecchio Olgiati F., Il sillabario del Cristianesimo, ed. Vita e Pensiero, Milano, 1956, per finire al recente O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014.

[6] Così è stato argutamente osservato da Rahner, riportato in Johnson E.A., Colei che è, ed. Queriniana, Brescia, 1999, 376.

[7] Dicendo “Dio,” chiamandolo per nome, sembra quasi che si possa conoscerlo, e si perde il permanere dell’infinita distanza che c’è fra noi e Lui. Ecco perché in Israele si preferì nemmeno nominare, né trascrivere il nome di Dio (Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 119) . Per i giudei, cioè, il nome della cosa la identificava e permetteva il suo possesso: il tetragramma Yhwh non si può pronunciare perché va oltre la nostra realtà. Il nome è finalizzato a rendere l’altro appellabile, ad allacciare quindi una relazione con lui; il concetto, a differenza del nome, mira a conoscere l’essenza, a cercare di capire come la cosa o l’altro sono in sé stessi  (Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 124). Si può allora ben immaginare lo sconquasso che portò Gesù in una società dove non si osava neanche pronunciare il nome di Dio, e arriva un giovane (neanche sacerdote) che comincia a rivolgersi a Dio chiamandolo Abbà (Papà).

[8] Apologia prima, LXI. 7, in www.documentacatholica.eu, indice autori sotto voce Iustinus.

[9] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 56 e 77).

[10] Quando gli apostoli vedeva Gesù mangiare, bere, dormire, fare la pipì e la pupù, non credo si misero a pensare che si trattava di Dio incarnato in un uomo. Dunque, pur avendo davanti al naso la seconda persona della Trinità generata dal Padre, non l’avevano capito. Tanto è vero che neanche nei vangeli si fa parola di questo (e neanche Paolo lo afferma). E  noi, che non abbiamo mai visto Gesù, dovremmo essere più perspicaci degli apostoli?

[11] Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia,1976, 699ss.

[12] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 98 e 86: nel modalismo la differenza fra le persone è solo nella nostra mente. Non c’è dunque una reale distinzione fra i soggetti all’interno di Dio, e nell’indifferenziata unità divina i sabelliani vedevano modalità varie della stessa persona (O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 112, 119 e 205).Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 102s.: per non cadere nel modalismo si è detto che i modi di possesso e concretizzazione della stessa essenza sono modi reali e distinti; non modi di espressione o di tappe della rivelazione a noi. Se la distinzione fosse solo mentale avremmo tre modi mentali (o verbali) di esprimere la stessa  cosa. Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 56: a ben vedere, qualcosa di analogo accade nell’AT dove a volte l'angelo del Signore appare distinto da Dio, a volte identico a Lui (Gn 31, 11-13; Es 3, 2-4). Ad esempio, Gn 21, 17: Dio sente il pianto di Agar, l’angelo la chiama, Dio le apre gli occhi (Theological Dictionary of the New Testament, edito da Kittel G., a cura di Bromiley G.W., ed. Eerdmans Printing Company, Grand Rapids (Michigan, USA, I, 77). Cfr. anche Da Spinetoli O., Il Vangelo di Natale, ed. Borla, Roma, 1996, 111s., 144 nota 53, con i vari richiami biblici. Quando, più tardi, Dio viene concepito in maniera più trascendente, non lo si vede più apparire in prima persona come all’inizio, e al suo posto appare sempre e solo l’angelo del Signore: ad es. in Es 3, 2 a Mosè apparve l’angelo del Signore; ma poi non si parla più di quest’angelo, ma solo di Dio, per cui siamo evidentemente davanti a un’aggiunta perché, appunto, Dio è ormai trascendente, sta in alto, e non può abbassarsi a scendere in prima persona: sono gli angeli a scendere, e solo con essi si può entrare in relazione. Nel vangelo è l’angelo del Signore che annuncia la nascita del bambino ai pastori, ma essi riconoscono nell’angelo Dio in persona, come si vede in Lc 2, 15: “Andiamo fino a Betlemme a vedere quello che il Signore ci ha fatto sapere” (Maggi A., Versetti pericolosi, ed. Fazi, Roma, 2011, 16). L’angelo dunque appare come una maschera di Dio.

[13] Da papa Callisto I, nel 220, venne dichiarata eretica la teoria propugnata da Sabellio, secondo cui si era in presenza di tre modalità diverse (Padre, Figlio e Spirito Santo) di un unico Dio: tre maschere per una stessa persona (Parente P., L’Io di Cristo, ed. Morcelliana, Brescia, 1951, 32; Odifreddi P., Perché non possiamo essere cristiani, ed. Longanesi, Milano, 2007, 174). O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 205: il modalismo nega ogni distinzione personale all’interno di Dio; i tre nomi si riferiscono a tre modalità in cui il Dio, monopersonale, agisce e si rivela. Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 63: nel modalismo l'unicità divina si proietta verso di noi attraverso tre modi diversi, sì che siamo davanti a tre pseudonimi dello stesso Dio.

[14] L’icona di Andrei Rublev (visibile su internet) ritrae tre persone (simili agli angeli) uguali, ma distinte, attorno a un tavolo. O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014,197 ha trovato un affresco nella Chiesa gotica di San Giacomo in Urschalling  (in Baviera vicino a Chiemsee) che disegna lo Spirito come un’amabile donna abbracciata al Padre (alla sx) e al Figlio (alla sua dx), e questo affresco dà sicuramente allo Spirito l’immagine di persona, cosa che il più frequente simbolo della colomba non riesce a dare. Ma pur essendo in ebraico lo spirito di genere femminile (ruah), e in greco neutro (pneuma), nel cattolicesimo maschilista l’idea del femminile nella Trinità non è molto apprezzata. Nella Bibbia, poi è la sapienza che viene ad abitare fra gli uomini, non la Parola (Bar 3, 37). Anche la Sapienza, al pari della ruah, è femminile. È stato osservato (O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 78s.) che la legge di Mosè era identificata con la Sapienza (Sir 24, 23; Bar 4, 1), ma dire – nel cristianesimo - che la Sapienza era Dio e si era fatta carne poteva essere inteso nel senso che la Legge era Dio e si era fatta carne. Cfr. quanto detto nell’articolo Gesù non è il Verbo, al n.447 di questo giornale.

[15] L’uomo può capirsi solo nella relazione con l’altro (relazione di Serena Noceti del 17.12.2016 a Trieste, in

https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-400---1-gennaio-2017-1/numero-400---1-gennaio-2017/serena-noceti---chiesa-in-riforma-francesco-e-il-sogno-del-concilio).

[16] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 97s. Anche per Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 113: la persona è un nodo di relazioni, sì che l'identità si perfeziona solo nella relazione con l'altro.

[17] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992,113.

[18] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 103.

[19] Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006, 150.

[20] Secondo sant’Agostino lo Spirito è lo Spirito e Amore delle prime due persone, per cui procede dai due, anche se, col Padre è Lui stesso origine dello Spirito.

[21] Dunque i teologi hanno scelto con cura le parole da usare, ma non abbastanza bene. Resta infatti logicamente questo: se il Padre è il Figlio sono consustanziali (cioè uno è uguale all’altro), sono tutti e due esattamente Dio (Il Padre è Dio, il Figlio è Dio), ma allora se il Padre ha fecondato Maria vergine, ma anche il Figlio ha fecondato sua madre, perché Padre e Figlio sono tutt’uno. Se P = D, F= D, anche P = F. E volendo approfondire, proprio perché sono tutt’uno, il Figlio, nella sua qualità di Dio-Padre, è suocero di Maria, e Maria è nuora di suo Figlio che è anche Dio-Padre. Già solo per questo si dovrebbe confermare che la Trinità è un mistero (art.1066 Catechismo).

[22] Nella Trinità tutto procede dal Padre (Daniélou J., Trinità e mistero dell'esistenza, ed. Queriniana, Brescia, 1969, 49). Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 102s.

[23] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 103.

[24] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 105.

[25] Così oggi Johnson E.A., Colei che è, ed. Queriniana, Brescia, 1999, 402.

[26] Apologia prima, XIII.3.-4 e XXXII.10., in www.documentacatholicaomnia.eu, autori sotto la voce Iustinus.

[27] Johnson E.A., Colei che è, ed. Queriniana, Brescia, 1999, 384.

[28] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 115.

[29] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 116.

[30] Concilio di Firenze decreto per i giacobiti del 1442, riportato da Coda P., Dio, libertà dell’uomo, ed. Città nuova, Roma, 1992, 104. Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992,112 riconosce che il Padre dà tutto al Figlio meno il fatto di essere Padre; il Figlio dà tutto al Padre meno il fatto di essere Figlio generato dal Padre; lo Spirito dà tutto al Padre e al Figlio meno il fatto di essere spirato dai due.

[31] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 117.

[32] Daniélou J., Trinità e mistero dell'esistenza, ed. Queriniana, Brescia, 1969,41: Dio è pienezza totale dell'essere ed esaurisce la totalità di ciò che è: non ha bisogno d'altro.

[33] La parola di Dio è parola creatrice. Dio disse: “Sia la luce!” E la luce fu. Dio disse … (Gn 1, 3 ss.). La parola di Dio è vera perché essendo creatrice non ha di fronte a sé cose cui deve corrispondere, e non avendo nulla di fronte a sé è una parola che realizza sé stessa: non descrive uno stato di cose che già esiste, ma produce un fatto realizzando il suo significato (G. Zagrebelsky, Quando si dice spergiuro, “La Repubblica” 19.12.2008,  45). La nostra parola, invece, è spesso smentita dai fatti.

[34] Olgiati F., Il sillabario del Cristianesimo, ed. Vita e Pensiero, Milano, 1956, 141.

[35] Daniélou J., Trinità e mistero dell’esistenza, ed. Queriniana, Brescia, 1969, 38.

[36] Mondin B., La Trinità: mistero d’amore, ed. ESD, Bologna, 1993, 13.

[37] Daniélou J., Trinità e mistero dell'esistenza, ed. Queriniana, Brescia, 1969, 23. Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992 55: il mistero della Trinità sarà sempre oscuro. O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 205: l’autore, dopo aver scritto tutto un libro sulla Trinità, ammette in due parole scarne che la Trinità immanente è l’esistenza radicalmente misteriosa delle tre persone divine insieme.

[38] Olgiati F., Il sillabario del Cristianesimo, ed. Vita e Pensiero, Milano, 1956, 140s. Curioso, per non dire raccapricciante, notare come nel mondo occidentale vi furono guerre con migliaia di morti fra i cristiani in nome di questo mistero.

[39] Quando invece nel Credo si dice che lo Spirito procede dal Padre e/o dal Figlio, si pensava proprio di poter parlare di Dio in sé.

[40] Mondin B., La Trinità: mistero d’amore, ed. ESD,  Bologna, 1993, 15 e 68 ss.