Amici a Trieste, Joyce e Svevo - Renzo Stefano Crivelli

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Amici a Trieste, Joyce e Svevo 

di Renzo Stefano Crivelli

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Siamo nel 1907 e Joyce abita a Trieste ormai da tre anni, se si eccettuano i brevi soggiorni a Pola e a Roma. Nella città giuliana, primo porto dell'Impero Astro-ungarico, sono da poco nati i suoi due figli Giorgino e Lucia, rispettivamente il 27 luglio 1905 e il 26 luglio di quell’anno, mentre la sua attività presso la locale Berlitz School sembra giunta alla fine, dato che lo scrittore irlandese ha ormai un buon giro di conoscenze autorevoli nell'establishment  e il suo personale successo come intellettuale ed insegnante di inglese gli frutta una serie di richieste di lezioni private.

Tra i suoi allievi più altolocati figurano il conte Francesco Sordina e il barone Ambrogio Ralli, ma ben presto, verso l’autunno, si aggiunge anche Italo Svevo, cognato di Gioachino Veneziani e marito di Livia. Svevo lavora per la ditta di famiglia, che produce vernici anticorrosive per scafi nautici e che ha una filiale presso Londra. I suoi contatti con l’Amiragliato britannico, che si andavano concretizzando proprio in quei mesi con una commessa cospicua di materiale, avevano però rivelato una certa carenza linguistica, un fatto increscioso che avrebbe potuto danneggiare le trattative commerciali. Dunque la determinazione di prendere lezioni private  d'inglese, ricorrendo ad un insegnante della Berlitz. Nonostante lo sganciamento, ormai in atto, con la scuola, Joyce viene indicato a Svevo — forse da comuni amici — come una persona molto preparata e l’accordo, ormai in piena autonomia, viene perfezionato.

Pertanto, a partire dal settembre 1907, ecco che Joyce si reca, utilizzando la linea tranviaria che collega il centro cittadino (la famiglia dello scrittore abita momentaneamente in via S. Nicolò 32, presso il fratello Stanislaus, che continua a lavorar per la Berlitz) con il quartiere di Chiarbola Superiore, presso l’abitazione dei Veneziani, una bella villa annessa allo stabilimento sito in Passeggio Sant’Andrea 76. Lì il 20 settembre, in un pomeriggio arioso e rilassante, dopo aver impartito una delle sue brillanti lezioni ad Italo e a Livia, lo scrittore decide di leggere ai nuovi amici il racconto intitolato I morti, terminato da poco. La commozione è grande, tant’è che Livia, seguendo un impulso improvviso, esce in giardino a raccogliere un fascio di rose e le dona allo scrittore come segno di grande stima. Da quel giorno tra Joyce e Svevo si instaura un rapporto privilegiato, fatto di affinità letterarie e di scambi culturali molto profondi; sino a sfociare nella richiesta a Joyce di leggere due romanzi  — Una vita  e Senilità che lo scrittore triestino ha pubblicato con un piccolo editore locale e che sono praticamente passati inosservati alla critica e al pubblico dei lettori.

Joyce accetta il dono di Svevo ma si mostra perplesso. Come risulta da una conversazione avuta col fratello Stannie, la scoperta della vena narrativa sveviana lo stupisce non poco. A lui dice, infatti: «Svevo mi ha dato da leggere due suoi romanzi; chissà che roba è?» Ma ben presto, dopo essersi addentrato nelle pagine del triestino, si accorge della sua grandezza e si precipita a dire a Svevo:«Ma lo sa che lei è uno scrittore negletto? Ci sono dei brani in Senilità che neppure Anatole France avrebbe saputo scrivere meglio».

E dal canto suo, lo «scrittore negletto» (di lui a Trieste si diceva che aveva ridicole velleità e che avrebbe fatto meglio a curarsi di più della ditta Veneziani), resta così estasiato da insistere per accompagnarlo a casa a piedi. L’amicizia fra i due scrittori nasce, pertanto, su di una base concreta, attraverso uno scambio di testi e di punti di vista letterari; proseguirà per tutti gli anni triestini, rafforzandosi dopo il ritorno di Joyce a Trieste, ormai italiana, dopo la prima guerra mondiale. Ma sarà sempre caratterizzata da un forte senso di comune rispetto che, tenuto conto della differenza di età tra i due (quando si conoscono James ha 25 anni e Italo ne ha 46), del rapporto docente/discente e della differenza di censo, non supera mai un preciso schema formale forse indotto dalla proverbiale «riservatezza» dell’autore della Coscienza di Zeno.

Ciò non toglie che un forte interscambio tra i due, anche a livello di influssi letterari (basti un esempio per tutti: certe corrispondenze fra il personaggio di Angiolina in Senilità e di Gerty MacDowell nell’Ulisse), accenda di stimoli le loro frequenti conversazioni. A Svevo ricorre Joyce per avere informazioni dettagliate sul mondo ebraico triestino (la figura di Leopold Bloom si sostanzia anche attraverso l’esperienza diretta) e alla moglie Livia per avere impulsi ispirativi (sarà la fonte primaria, con le sue trecce bionde, della personificazione del fiume dublinese Liffey in Finnegans Wake). Non solo, ma ancora a Svevo farà riferimento, anni addietro, quando, ormai reidente a Parigi, tenterà di rientare in possesso d’una cassa di appunti sull’Ulisse  rimasta nell’abitazione di via della Sanità 2 a Trieste. In una lettera del 1921, infatti, gli fornirà precise istruzioni in dialetto triestino affinché il prezioso plico, una volta recuperato dall'amico, possa essere affidato a qualche «viaggiatore» in partenza per la capitale francese.

L’amicizia fra Joyce e Svevo, quel loro riconoscersi in fin dei conti «reietti» nella propria terra (il primo esule da un’Irlanda matrigna, il secondo ignorato in patria dagli ambienti intellettuali locali), sortisce innanzi tutto la scoperta dello scrittore triestino Oltr’alpe. Così come il poeta americano Ezra Pound aveva fatto per Joyce, l’autore dell’Ulisse  apre le porte parigine a Svevo, chiedendogli di inviare a Valéry Larbaud e a Benjamin Crémieux il testo della Coscienza di Zeno. Ne sortirà una prima traduzione parziale, apparsa nel 1926 sul Navire d’argent, e la conseguente favorevole «ricaduta», tramite Eugenio Montale, sulla critica italiana. Grazie a Joyce, due anni dopo l’uscita dell’Ulisse, il massimo capolavoro sperimentale del Novecento, un insperato successo consacrava a livello europeo la statura letteraria di Svevo. Frutto d’una amicizia forse non «passionale», ma certo vivificata da un’appassionata stima intellettuale.  

Ritratto di Italo Svevo, dal ciclo Joyce: La musica delle parole, grafica policroma a pennarello su cartoncino, 2014

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Fotografia di James Joyce