Dieci anni

ThB Darina Bancíková - foto tratta da commons.wikimedia.org

E così questo nostro giornale ha compiuto i suoi 10 anni.

Era il 2 maggio 2009 ed usciva il numero 0 de “Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano”.

Raccontava una storia ai limiti dell’assurdo, non propriamente di “narrativa teologica”, ma neppure - credo si possa dire - di “fanta-teologia”. Era una specie di romanzo onirico, un racconto surreale, con un attempato prete laico ritrattista di nudi artistici, una setta esoterica alla ricerca di testi gnostici da corrompere ideologicamente, una coppia di innamorati, la questione dei preti sposati, la Curia Romana con arditi progetti di creazione di circoscrizioni diocesane (bisognerebbe dire meglio “eparchiali”) di rito orientale in Italia, cardinali imbarazzati davanti a danze di candidate al diaconato femminile nelle Chiese Ortodosse ed altri temi un po’ troppo, mi pare oggi – va riconosciuto anche questo mi pare dieci anni dopo -, “affastellati” ed assai improbabili.

Un abbozzo di un racconto che oggi fa sorridere, l’ingenuità non è sempre innocente e tuttavia può essere anche solo il decorso del tempo a toglierla di mezzo, a farla sparire, che l’ingenuo lo voglia – per crescere –, oppure no – per conservare una freschezza di affidamento che troppo presto viene liquidata come infantilismo -. Ma l’ingenuità si paga in ogni caso, sempre, senza sconti.

Quella cornice, e quel contenuto, da “fantasy” teologico non potevano rimanere attaccati ad un filo da tendere senza individuarne i poli, senza focalizzarne i presupposti e le conseguenze. Una affabulazione solo estetizzante sarebbe stata il prezzo insostenibile di una ingenuità inescusabile.

E così, nell’arco di dieci anni, è stato di necessità abbandonato un percorso che non avrebbe portato lontano ed è invece stata la “liturgia del quotidiano” a segnare la direzione di una strada nuova che ancora prosegue.

Sono ricorsi ieri, 4 maggio, i dieci anni pure del volume intitolato proprio “Liturgia del quotidiano. Celebrazioni laiche di vita” da cui poi questo settimanale si è originato, è “spinoffato”. Si può scaricare il testo della pubblicazione al link https://www.academia.edu/37678530/Liturgia_del_quotidiano._Celebrazioni_laiche_di_vita

Ma intorno al giornale si sono soprattutto intersecate storie tutt’altro che inventate, anche se spesso non raccontabili al di fuori di una intimità amicale, comunitaria oppure proprio da narrarsi solo cuore a cuore guardandosi negli occhi. Storie personali. Verrebbe da spiegare, addirittura “intime”, se non ci fosse in agguato un “intimismo” che è naufragio di qualunque spinta ad andare oltre, a non accontentarsi.

Era il 2009 ed alla cattedra del vescovo di Roma s’era assiso il cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, con il nome pontificale di Benedetto XVI.

Se osservo con attenzione la storia del giornale, constato che 4 anni sono trascorsi – come si dice tra cattolici – “sotto Benedetto XVI” e 6 “sotto Francesco”. Quattro a sei. Un dato molto significativo di cui non m’ero accorto.

Se continuo a guardare alla medesima nostra storia - ancora con la dovuta attenzione -, scopro che invece tutti i dieci anni di Rodafà sono trascorsi “sotto” l’episcopato di mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo-vescovo di Trieste. Ed anche questo è un dato molto significativo.

La constatazione da parte mia, per quanto riguarda un decennale di memorie non solo personali, è di nuovo sorprendente: proprio la contemporanea presenza di Francesco vescovo di Roma e di mons. Crepaldi vescovo di Trieste mi ha portato a conoscere il Coordinamento Teologhe Italiane (CTI) – che in questi giorni celebra la sua Assemblea annuale a Verona -, a scrivere per Adista, ad organizzare un ciclo di incontri triestini con Serena Noceti, Cristina Simonelli, Andrea Grillo, Josè Castillo, ad iscrivermi al Corso in teologie femministe e di genere della Facoltà valdese di teologia di Roma, tenuto dalla pastora di Firenze Letizia Tomassone.

Come s’usa dire tra gli osservatori dell’attualità ecclesiale a confronto con lo stile papale di Francesco, mi pare che pur nel mio - nel nostro – piccolissimo caso “si siano innescati processi”.

Dieci anni sono una periodizzazione non proprio irrilevante. I bilanci sono del tutto inopportuni, poiché non ci sono entrate ed uscite.

Mi ha molto colpito quanto mi ha insegnato la mia professoressa, sopra nominata: le parabole non sono puri, semplici, immediati “ammaestramenti” allegorici, “ammonimenti” eticheggianti, dipingono anche situazioni, occasioni, circostanze, eventi, da condannare, in cui non incorrere. Così è pure, a mio avviso, di una certa attitudine all’allegoria che contraddistingue quasi sempre i “bilanci spirituali”: altro si sarebbe dovuto fare in meglio, qualcosa è stato fatto di bene, molto – o poco – dev’essere corretto perché obiettivo male. Questa attitudine al confronto con una “perfezione” appalesa un’affezione esistenziale pericolosa e alla lunga difficile da guarire: quella di leggere ogni aspetto della propria vita in chiave di vicinanza a, o lontananza da, “qualcosa d’altro” che sovrasta ed incombe, mentre non si dà alcun ideale di bene astratto che faccia da modello, da archetipo, è la vita stessa a consegnare la responsabilità dei nostri gesti alla nostra storia concreta, senza rivestirla di moralismi e frustrazioni.

I dieci anni del nostro giornale sono dieci anni di molti rapporti di amicizia, di amicizie che segnano la vita, da cui non si può prescindere, che possono anche aver fatto soffrire, che possono anche essersi interrotte, ma che restano, restano per sempre, restano con una resilienza che è quella dell’amore, qualunque sia la sua declinazione e qualunque pensiero su di esso si possa avere.

Il nostro giornale, in effetti, non ha dato molte notizie, non ha molto  “informato”, ma ha la presunzione di avere comunicato una passione, uno struggimento ed un impegno “militante” che vorremmo, se potremo, non abbandonare e condividere con chiunque lo desideri.

Buona domenica,

Stefano Sodaro