Com’è nata l’idea della Trinità

Trieste, tramonto sul Molo Audace

- foto del direttore

Lo stesso magistero afferma che la Trinità è il mistero di Dio in sé stesso (nn. 234-1066 del Catechismo), sì che tutte le spiegazioni trinitarie viste finora sembrano peccare della medesima presunzione: pensare di poter descrivere la realtà divina in sé stessa. Oggi, a differenza di ieri, sono ormai in molti a prendere seriamente in considerazione l’idea che non è possibile pensar di penetrare nel mistero di Dio in sé, né partendo dalle formule della rivelazione, né dalla sto­ria salvifica; ci si rende conto di poter delimitare quello che possiamo sapere su Dio solo a partire da quello che ci rivela Gesù nella sua vita, nelle sue azioni e nelle sue parole; ci si rende conto di poter solamente descrivere la tensione che l’uomo vive in risposta ad una misteriosa chiamata alla vita[1].

Proviamo perciò a lasciare da parte per un momento tutte le disquisizioni su chi è Dio in sé stesso, accettando l’idea che il trascendente non è alla nostra portata, e domandiamoci piuttosto come è sorta l’idea trinitaria di Dio, perché - ricordiamocelo,- i primi seguaci di Cristo erano soprattutto ebrei, e quindi ferrei monoteisti, per cui come han potuto pensare a un Dio trinitario?

Ovviamente, la prima domanda da porsi è: perché dentro alla mente umana si forma, a un certo punto, una determinata idea che poi può trasformarsi perfino in dottrina? La risposta è che un’idea sorge perché c’è stata un’esperienza [2]. E allora qual è stata l’esperienza che ha fatto poi pensare alla Trinità?[3] Perché la formula trinitaria è una formula umana, e come tale non è rivelata da Dio, ma traduce un’esperienza umana.[4]

Da qui in avanti mi rifarò soprattutto al pensiero del teologo Carlo Molari, l’unico che - a mio avviso,- è stato in grado di offrire una spiegazione plausibile e quindi accettabile al giorno d’oggi.

È un fatto pacificamente riconosciuto che l’uomo nel mondo si coniuga con il tempo. Tenendo fisso lo sguardo sull’uomo Gesù, balza subito agli occhi che anche Gesù è vissuto nel tempo, perché ha fatto parte appunto della storia, come tutti noi. Per questo la caratteristica della fede in Dio, che è sorta tenendo lo sguardo fisso su Gesù [5], si è sviluppata secondo le categorie temporali. E come sappiamo sempre per esperienza, il tempo ha tre dimensioni: il passato, il presente, il futuro. Quindi noi esercitiamo la fede in Dio proprio vivendo il rapporto con Lui nel tempo[6]. Le categorie temporali sono proprie dell’uomo, di ogni uomo, in tutti i campi della vita, non solo in quello religioso. Noi, cioè, viviamo nel tempo, e anche nel campo spirituale viviamo con Dio nel tempo. Anche Gesù dimostra di avere questa visione scandita del tempo. Quando invita a pregare il Padre Nostro (Mt 6, 9ss.) significa che non vede ancora operante nel presente la signoria di Dio, la sua volontà ancora non si è compiuta sulla terra, il suo nome non è stato ancora santificato fra gli uomini. Quando Gesù vede cadere Satana dal cielo (Lc 10, 18) significa che prima di quel momento Satana aveva ancora potere sugli uomini.

E allora anche noi oggi continuiamo ad accogliere il passato con la sua Parola (il Verbo, il Logos) che è diventata evento, che è diventata racconto, che è diventata narrazione; però attendiamo anche l’azione che non abbiamo ancora potuto accogliere, che irrompe dal futuro [7], e che chiamiamo Spirito Santo; è lo Spirito che infatti irrompe come novità nella nostra vita, e nessuno può prevedere in che direzione andrà, perché lo Spirito è come il vento che soffia dove vuole (Gv 3, 8) [8]. Gesù già diceva: “verrà lo Spirito e vi condurrà alla verità tutta intera” (Gv 16, 13). E lo Spirito è proprio quell’aspetto dell’azione di Dio che noi non siamo stati capaci di accogliere nel passato e non siamo ancora in grado di accogliere nel presente perché, essendo creature limitate, i nostri spazi sono limitati, sì che possiamo accogliere l’azione di Dio solo a frammenti. Noi accogliamo per diventare, e accogliendo diventiamo sempre più capaci di novità di vita; quindi siamo in costante cammino; o in altre parole, nella nostra storia c’è un costante dinamismo, non staticità. E tutto questo dinamismo si concentra nel piccolo frammento del nostro presente in cui ci affidiamo senza riserve al Principio, alla Fonte, al Padre e alla Madre [9]: lo possiamo chiamare in tanti modi perché sono parole sempre umane [10],mai divine. Per questo la struttura della spiritualità cristiana, del discepolo di Gesù, è una struttura che ha tre componenti fondamentali, che abbiamo imparato a chiamare fede, speranza e agape o carità. Questa triade, fin dall’inizio del cammino cristiano, riassume la sostanza dell’esistenza cristiana.

La spiritualità cristiana ha dunque queste tre dimensioni che chiamiamo la triade teologale, perché fa riferimento a Dio nascendo precisamente dal rapporto vissuto con Dio nel tempo. Su come queste tre dimensioni teologali s’intrecciano fra di loro, e sono collegate al tempo, si deve spendere qualche parola, perché le formule trinitarie sono sorte precisamente per questi dinamismi di fede.

Il primo documento scritto della cristianità che conserviamo è la 1a lettera di Paolo ai Tessalonicesi, scritta presso a poco nel 50 d.C. [11], e dice: “Rendiamo sempre grazie a Dio per tutti voi, ricordandovi nelle nostre preghiere, e tenendo continuamente presente l’operosità della vostra fede, la fatica della vostra carità e la fermezza della vostra speranza nel segno del nostro Signore Gesù Cristo” (1Ts 1, 3). Fede, carità, speranza. Altrove ci sono anche altre formule, ma queste triade ritorna continuamente, fino ai documenti dell’attuale nostro magistero. Un altro testo noto di questa triade è la 1a lettera ai Corinzi, di qualche anno successiva. Questo testo, che molti ricordano perché contiene l’inno alla carità, riprende la stessa triade dicendo: “Ora dunque tre sono le cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma più grande di tutte è la carità!” (1Cor 13, 13).

Dunque, alla domanda “perché mai il cristianesimo ha fatto da subito un’esperienza trinitaria?” rispondiamo che questa triade si riferisce alle tre dimensioni del tempo, al rapporto con Dio vissuto nelle tre dimensioni del tempo. Il rapporto dell’uomo con Dio, immerso nel tempo, ci indica allora:

1. un passato da accogliere con fiducia e purificare negli aspetti negativi,

2. un futuro da attendere con speranza,

3. un presente, unico momento in cui riusciamo a diffondere vita [12] con amore.

Soffermiamoci ancora su questi tre componenti secondo cui il rapporto con Dio va vissuto nel tempo mantenendo fisso lo sguardo su Gesù.

1. Accoglienza del passato significa accogliere la Parola che è forza creatrice e che diventa evento; l’evento diventa racconto orale, poi diventa racconto scritto, e la scrittura viene poi interpretata. La fede accoglie questa Parola che viene dal passato. La nostra tradizione di fede nasce da eventi passati che vengono raccontati e tramandati, e la fede è appunto questo: abbandonarsi con fiducia a Dio accogliendo la Parola che ci viene dal passato.

Parola di Dio non è però semplicemente la sacra Scrittura, essendo chiaramente un’espressione analogica [13], perché di per sé la Parola di Dio è la dimensione eterna dell’azione di Dio, che diventa comunicazione, che diventa possibilità di trasmissione, il davar [14] divino, quella forza creatrice da cui emergono le cose [15], come noi cerchiamo di esprimerci nel nostro linguaggio umano povero e imperfetto. Ma per noi la parola divina riguarda in particolare il passato, perché quando leggiamo le Scritture cominciamo raccontando eventi passati: “Quel giorno Mosè disse di essersi imbattuto nel roveto ardente”. Sono eventi da cui è fiorita la nostra tradizione di fede, rivolta al passato. Anche noi, dunque, cominciando a raccontare ci rivolgiamo al passato. Per questo, anche al di fuori della religione, diciamo che dimenticare il proprio passato significa perdere le proprie radici.

Questo passato contiene delle promesse. Vivere pienamente il tempo vuol dire accogliere anche il nostro passato, che non è solo positivo, ma è spesso imperfezione, perché siamo sempre uomini limitati. Il passato deve essere recuperato e redento. Spesso cioè è possibile rimediare ai danni del passato. Questo è ancora possibile perché l’azione di Dio è sempre presente. Dio è fedele, per cui continua a offrirci quanto non abbiamo saputo/potuto accogliere nel passato. C’è ancora costantemente a nostra disposizione quello che non abbiamo utilizzato. Si possono richiamare quelle situazioni e riviverle in modo nuovo, riconoscendo quelle ricchezze di vita che in allora non avevamo visto. Ovviamente non tutto è sempre possibile [16], ma spesso si possono recuperare delle ricchezze di vita consegnateci che non abbiamo usato. E questo atteggiamento, che chiamiamo riconciliazione, è specifico del cristianesimo.

2. Speranza è l’annunciazione di un domani liberato dalle caratteristiche negative di oggi [17]. Speranza del futuro per realizzare quelle promessa offertaci che già il passato conteneva, perché la vita contiene una quantità di promesse. Non tutte le possiamo mantenere, non tutto possiamo accogliere. Però ci sono certamente adesso delle situazioni in cui possiamo aprirci e accogliere l’azione di Dio che finora non abbiamo potuto accogliere. Pensiamo a quanti secoli ci sono voluti per accogliere (almeno in astratto) l’idea della pari dignità fra tutti gli uomini: la schiavitù è rimasta legalmente in vigore in Russia e negli Stati Uniti fino al XIX secolo! [18]. Per questo si sviluppa l’attesa, la speranza, che è precisamente l’attesa dell’azione di Dio che finora non abbiamo accolto, perché il tempo non è stato sufficiente, oppure perché non avevamo le capacità di accoglienza. Ci sono ora qui dei doni che possiamo accogliere, in questo momento e nel prossimo futuro. Per cui il nostro dinamismo interiore del rapporto con Dio, in rapporto al futuro, lo rende un avvento [19]. E questa è appunto la speranza, rendere il futuro avvento, che significa “venuta di Dio,” [20] venuta di Dio nella nostra vita: “il vostro Padre sa di cosa avete bisogno” (Lc 12, 30). È una formula analogica che utilizziamo per indicare le qualità nuove, le energie nuove di vita, quella ricchezza nuova di fraternità, di giustizia che possiamo accogliere da Dio perché contiene delle ricchezze che ancora non si sono sviluppate nella storia umana. Innanzitutto Avvento significa saper attendere, e attendere è un’arte che il nostro tempo impaziente ha dimenticato. Nella nostra società sembra si stia diffondendo un clima di disincanto per le svolte che non arrivano rapidamente. Non sappiamo più attendere, nel senso che aspettare è un’attività che il nostro tempo impaziente non sa più fare.

Calza a proposito questa tagliente poesia di Jean Debruynne Apprends-nous à attendre in www.tellou.canalblog.com/archives/2010/11/28/19720460.html

 

Noi siamo quelli che non amano attendere,

non amiamo attendere nelle file,

non amiamo attendere il nostro turno,

non amiamo attendere il treno,

non amiamo attendere prima di giudicare,

non amiamo attendere il momento opportuno,

non amiamo attendere un giorno ancora,

non amiamo attendere perché non abbiamo tempo,

e non viviamo che nell’istante.

L’uomo vuole staccare il frutto non appena germoglia, quando non è ancora maturo; ma gli occhi ingordi vengono soltanto illusi, perché un frutto apparentemente così prezioso è ancora immaturo di dentro, e mani prive di rispetto gettano via senza gratitudine ciò che li ha delusi. Nel mondo dobbiamo attendere le cose più grandi, più profonde, più delicate, e il cambiamento non avviene in modo tumultuoso e frenetico, ma secondo la legge divina della germinazione, della lenta crescita e dello sviluppo” [21]. Il seme germoglia e cresce lentamente di notte e di giorno, che il contadino dorma o vegli (Mc 4, 27). Il contadino sa attendere, il pirata no: noi ormai rassomigliamo di più ai pirati che ai contadini, perché vogliamo tutto e subito. Avvento, dunque, è un aspettare speranzosi. Possiamo accogliere ora quello che non abbiamo saputo/potuto accogliere prima. Qui sta la speranza, cioè rendere fruttuoso il futuro che viene da Dio, con energie e ricchezze nuove di vita. Dio rende possibile accogliere il futuro che nel presente diventa avvento, però sta a noi renderlo avvento. Il Regno di Dio è vicino (Mc 1, 15), ma sta a noi accoglierlo o rifiutarlo [22]. Ora possiamo accoglierlo in modo nuovo. Questo Dio che viene significa che nella storia irrompe sempre una novità.

E proprio qui esiste sempre il grande rischio che, nel nome del Dio del passato, non si riconosca e non si accolga il Dio che si manifesta nel presente. Dio è sempre nuovo e, per accogliere questo Dio che si fa nuovo, bisogna essere sempre nuovi. C’è il rischio che, in nome della tradizione, dei dogmi immodificabili, della dottrina del Dio del passato, non si riconosca e non si accolga il Dio che viene e che si presenta come nuovo [23]. Questo succede a molti sedicenti cristiani, i quali non partono dall’ovvia constatazione che non tutte le ricchezze offerte possono essere interiorizzate in un momento solo, e sono convinti di essere ormai già in possesso di tutta la Verità che Dio poteva rivelarci. Invece dell’infinita proposta che Dio ha sempre offerto e continua ad offrirci noi riusciamo a cogliere solo qualche piccolo frammento alla volta: la pioggia cade dappertutto, ma ognuno può cogliere solo quelle gocce che cadono su di lui. L’uomo accoglie l’energia vitale solo a frammenti, e in ogni frammento di tempo attende il futuro nel piccolo istante che passa [24]. L’uomo, dunque, nella sua limitatezza può essere solo frammento dopo frammento nel suo evolversi temporale, dice sempre il teologo Carlo Molari (argomentando da 1Cor. 15, 28, dove lo stesso Paolo afferma che solo alla fine Dio sarà tutto in tutti), mentre solo Dio è al tempo stesso l’alfa e l’omega (Ap 1, 8; 21, 6), il primo e l’ultimo (Is 44, 6). Solo Dio è perfezione completa, e cerca di invaderci con la sua pienezza [25]: ma noi siamo incapaci di accoglierla perché limitati, per cui dobbiamo aspettare il Dio che viene (Ap 1, 8), e non basta ascoltare la Parola del passato (il Dio che era) per trovarsi immersi nella sua verità.

Pian piano ci si sta rendendo conto che il futuro è sempre più importante. A chi accusava Albert Schweitzer di collocare il centro di gravità della fede cristiana nel futuro, anziché ancorarlo nel passato, al momento della morte e resurrezione di Cristo, questo medico missionario che era anche un grande teologo rispondeva: “è vero, ma è Gesù Cristo stesso che situa il centro di gravità della fede cristiana nel futuro, visto che i vangeli sono la predicazione del regno di Dio che è vicino, e non il dramma redentore della nostra dogmatica” [26].

3. Si possono allora capire questi dinamismi: la fede con l’accoglienza della Parola che viene dal passato; la speranza come accoglienza che rende possibile l’intrusione della novità di vita, la quale irrompe dal futuro, per cui il futuro diventa un avvento; ebbene, tutto questo si realizza però nel piccolo spazio del nostro presente, quando lo viviamo alla presenza di Dio, quando cioè viviamo qui e ora il rapporto con Dio, mettendo in pratica il messaggio di Gesù. Quando pronunciamo la parola “Dio” ci riferiamo al Principio, alla Fonte, alla Sorgente, al Padre [27], alla Madre [28] perché possiamo chiamarlo in tanti modi per indicare quel principio di vita per cui noi possiamo crescere come figli, in modo da cogliere un dono nuovo di esistenza che poi dobbiamo diffondere attorno a noi. Perché il dono che noi accogliamo diventa nostro solo quando lo offriamo. Questo è il dinamismo della vita: come creature noi accogliamo quel tanto che siamo in grado di offrire. E questo è precisamente la carità.

La carità, l’amore da diffondere gratuitamente intorno a noi, è per il presente, perché il presente è l’unico spazio reale che possiamo vivere e il momento in cui possiamo agire.

Da queste esperienze concrete di vita è nata l’idea trinitaria.

 

Dario Culot

                                                                                                          (continua)

1 Molari C., La fede nel Dio di Gesù, ed. Camaldoli, 1991, 38. Diciamo che l’incomunicabilità della trascendenza è da sempre stata una caratteristica della teologia orientale, perché Dio possiede un’esistenza che è completamente inaccessibile e al di là di ogni affermazione e negazione (Placher W.C., A history of christian theology, ed.Westminster John Knox Press, Louisville-London, 1983, 95).

2 Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 7: prima c’è l'esperienza, poi il lavoro di appropriazione e traduzione dell'esperienza dell'incontro col mistero divino: è il momento in cui sorgono le dottrine e i Credo. Questo è avvenuto anche per la dottrina trinitaria.

3 E qui, ancora una volta, saccheggio con abbondanza dalla relazione di Molari C., Trinità, perché?, tenuta a Trieste il 28.2.2016, presso la chiesa Santa Teresa del bambino Gesù.

4 Nell’incipit della Critica della ragion pura Kant afferma non esservi dubbio che ogni nostra conoscenza ha inizio dall'esperienza.

5 O, come ha detto Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 538, la sequela di Gesù è l’unica cosa che ci rende cristiani.

6 Dice Rudolf Bultmann (in Gesù, ed. Queriniana. Brescia, 1975, 229) la fede in Dio diventerebbe un fantasma se l'uomo - anziché percepire che Dio è visibile nella realtà del suo "qui ed ora" - si consolasse pensando che Dio è da qualche altra parte e che la sua presenza si farà vedere solo in futuro.

7 In passato si riteneva che la Creazione fosse perfetta dall'inizio, per cui la Parola di Dio si era già espressamente compiuta. Oggi si ritiene che la creazione sia ancora in corso, perché ci vuole tempo affinché il mondo accolga il dono di Dio nella sua pienezza: l'uomo degli inizi - ci dice la scienza - non aveva lo stesso cervello dell'uomo di oggi. Nessuna creatura può accogliere tutta la perfezione offerta in un solo istante. Noi siamo frammenti viventi nel tempo. Il tempo è perciò oggi concepito come struttura essenziale della salvezza.

8 Invece i fondamentalisti, che sanno già tutto perché possiedono tutta la Verità, credono di avere in pugno anche lo Spirito santo, e gli mettono dei paletti precisi: fin lì può andare, oltre assolutamente no, perché anche Lui deve stare nei limiti che loro stessi gli hanno assegnato, e che corrispondono perfettamente al loro “deposito di fede” di cui sono i soli ad avere la chiave. Il §95 dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium li inquadra perfettamente dicendo che in molti si manifestano atteggiamenti con la  pretesa di “dominare lo spazio della Chiesa”. In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inserimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia. In tal modo la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi”.

9 Se si comprende Dio più come processo, che come sostanza, più come verbo attivo che come sostantivo, l'idea di Dio sarebbe collegata  al divenire della creazione intera, che parteciperebbe del vivere divino. Questo Dio potrebbe essere compreso con i simboli del Padre e della Madre, attraverso la combinazione delle proprietà di ciascuno di loro (così la teologa Mary Daly richiamata da Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 155).

10 Le teologie più moderne femministe dicono anche “Lei” perché la Trinità con tre maschi dà una visione sessista: in effetti per il fatto che Dio si chiamava Padre tutti i padri si sono sentiti Dio. Per il fatto che un altro uomo si è chiamato Figlio, solo i maschi hanno potuto assumere nel suo nome la funzione di guida nell’annuncio e nella liturgia (Houtepen A.W.J., Dio, una domanda aperta, ed. Queriniana, Brescia, 2001, 221). In altri termini, parlando solo al maschile, l’effetto devastante sociologico è stato quello di proiettare gli uomini nel ruolo di Dio mentre le donne sono finite nell’umanità dipendente e peccatrice (Johnson E.A., Colei che è, ed. Queriniana, Brescia, 1999, 377). Naturalmente, sia che si usino parole al maschile, che al femminile, il nostro linguaggio resterà sempre insufficiente ed imperfetto.

Quando la Parola si è incarnata in Gesù, non poteva assumere che una delle modalità in cui l’umano si esprime. Se si fosse incarnata al femminile si sarebbe sollevata la stessa obiezione dal punto di vista maschile.

11 Probabilmente nell’anno 52 san Paolo ha scritto la prima delle sue lettere, la prima Lettera ai Tessalonicesi (www.vatican.va/ Sommi pontefici (Benedetto XVI/ Udienza generale 12.11.2008).Vouga F., Il cristianesimo delle origini, ed. Claudiana, Torino, 2001, 16.

12 Molari Carlo, Trinità, perché?, conferenza tenuta a Trieste il 28.2.2016 presso la chiesa Santa Teresa del bambino Gesù.

13 Ocáriz F. e al., The Mstery of Jesus Christ,  ed. Four Courts Press, Dublin (Irl), 2004, 104: in teologia questi concetti vanno utilizzati analogicamente. Cfr. l’articolo Gesù Parola di Dio, al n. 481 di questo giornale (https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-481---2-dicembre-2018/gesu-parola-di-dio).

14 Il termine ebraico “parola”, “davar”, dice molto di più che non in italiano, e significa anche “la realtà concreta”,“l'energia”, “i fatti” che la parola produce. Geremia (Ger 1, 4), all’inizio del suo libro  ci sta  presentando la sua vocazione nei termini di una forza poderosa che gli è arrivata addosso e l'ha afferrato per non mollarlo più (Marchetti R., Il libro di Geremia: la passione del profeta e la passione di Dio, relazione tenuta al centro Veritas di Trieste il 20.4.2016).

15 Bultmann R., Gesù, ed. Queriniana. Brescia, 1975, 90: il termine “Parola di Dio” non va inteso come nozione, ma come notizia, evento e comunità suscitati in suo nome.

16 Se nel passato abbiamo ucciso qualcuno non possiamo ovviamente farlo tornare in vita e restituirlo ai suoi parenti.

17 Andreoli V., La gioia di vivere, ed. Rizzoli, Milano, 2016, 104.

18 Cfr. l’articolo Contro natura al n.435 di questo giornale. Pensate all’incongruenza che allora non era vista come tale: la Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti inizia affermando solennemente  che “tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità”, eppure veniva mantenuta la schiavitù. Da sottolineare anche che sia la Russia, sia gli Stati  Uniti erano paesi cristiani, non musulmani (lo faccio notare perché noi spesso ci consideriamo superiori).

Fu solo nel 1839 che anche la Chiesa, con la Costituzione In supremo apostolatus fastigio, in https://w2.vatican.va/content/gregorius-xvi/it/documents/breve-in-supremo-apostolatus-fastigio-3-dicembre-1839.html, di Papa Gregorio XVI, proibì formalmente la schiavitù. Ma ancora nel 1866, come si è visto nel sopra citato articolo Contro Natura, il Sant’Uffizio sosteneva che la schiavitù non va contro il diritto naturale, e Pio IX  (papa dal 1846 al 1878) esortava a non discutere dell’argomento.

19 Nella liturgia cristiana, l’Avvento è il periodo dell’anno in cui si medita sull’atteso arrivo di Cristo.

20 Panikkar R., La pienezza dell’uomo, ed. Jaca Book, Milano, 2000, 162: Nessuna certezza, nessuna assicurazione, nessuna regola esterna. Totale fiducia in noi, in ciascuno di noi. Lo Spirito verrà.

21 Bonhoeffer D., Voglio vivere questi giorni con voi, Editrice Queriniana, Brescia 2007, 37.

22 Le Scritture parlano a volte di necessità (es. Lc 24, 26: non bisognava che il Cristo…; in Ap 20, 3 c’è il verbo “dovere” che è stato interpretato nel senso che è Dio che vuole. Nel NT il Figlio dell'uomo deve essere consegnato e ucciso = volontà di Dio). Forse non è proprio così. La storia non si evolve sulla terra in base alle decisioni di Dio, come se fossimo vincolati da una predestinazione deterministica. Si può dire piuttosto che il percorso della storia della salvezza, o prima o dopo, passerà attraverso certi snodi cardine per maturare, come il neonato che dovrà saper girarsi prima di cominciare a camminare. Il bambino che non sa girarsi non camminerà. L’uomo, però, è sempre libero di esprimersi, per cui può accettare o rifiutare la possibilità offerta: basti pensare che se Maria avesse rifiutato, probabilmente saremmo ancora oggi in attesa del Messia. Dunque, anche se il mondo funziona in maniera autonoma (cfr. l’articolo Il Dio del teismo è morto, al n. 461 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-461---15-luglio-2018/il-dio-del-teismo-e-morto), Dio dirige comunque la storia, dal principio alla fine (2Pt 3, 3-4). Ma, obietterà qualcuno, se Dio guida effettivamente la storia che non è lasciata al caso (Ap 10, 7), decidendo perfino quando far iniziare e terminare le guerre, coordinando le cause prime e le cause seconde (così pensava Sant’Agostino, La città di Dio (De civitate Dei), VII, 30, inwww.documentacatholicaomnia.eu (sotto Augustinus): «conosce ordinandole al fine non solo le cause primarie ma anche le secondarie»), l’uomo non è libero come si sostiene; e se al contrario sono gli uomini liberi a fare la storia, Dio – che non costringe nessuno – non la può guidare dove vuole Lui. L’apparente dilemma mi sembra superabile con questa risposta di un vecchio gesuita: «mai sentito parlare di autostop? Sì? Bene. Io sono a Trieste e voglio andare a Torino. Chiedo il passaggio a uno, ma me lo rifiuta perché deve andare a Rimini; a un altro, che mi porta solo fino a Padova; ad un altro che me lo rifiuta perché gli sono antipatico; e poi ad un altro ancora; di auto in auto arrivo fino a Torino. Alla fine, dunque, io sono arrivato dove volevo, senza costringere nessuno a deviare dal suo percorso, o a prendermi sulla sua macchina. Tutti sono rimasti liberi, ma, allo stesso tempo, io sono arrivato dove volevo, vero?» (Culot D., E se Dio fosse contrario alla religione?, ed. Vertigo, Roma, 2014, I, 613).

23 Maggi A., Commento al Vangelo di Giovanni 1, 1-18 del 25.12.2016, in www.studibiblici.it Diceva don Tonino Bello: “è la paura del nuovo a renderci spesso inospitali nei confronti del Signore che viene. I cambiamenti ci danno fastidio. E siccome lui scombina sempre i nostri pensieri, mette in discussione i nostri programmi e manda in crisi tutte le nostre certezze, ogni volta che sentiamo i suoi passi, evitiamo di incontrarlo, nascondendoci dietro la siepe, come Adamo tra gli alberi dell’Eden”.

24 Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 10.

25 Daniélou J., Trinità e mistero dell'esistenza, ed. Queriniana, Brescia, 1969, 44s.

26 Lettera del medico missionario riportata in Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006, 108. In effetti, limitare Cristo alla sola funzione di redentore, come fa implicitamente Tommaso d’Aquino (Summa theologica, III, q.1, a 3.), quando afferma che se l'uomo non avesse peccato Dio non si sarebbe incarnato, è quanto mai riduttivo della sua figura.

27 Il Padre, come fonte prima, è il principio (Daniélou J., Trinità e mistero dell'esistenza, ed. Queriniana, Brescia, 1969, 35).

28 Dunque, seguendo la millenaria tradizione, sicuramente facciamo bene a chiamare (ad es. nel Padre Nostro) Dio Padre. Ma non hanno del tutto torto le femministe a invocarlo come Dio Madre. Entrambe le definizioni sono in realtà imprecise e insufficienti.