Se sia così importante la Trinità

Inno Adesto Sancta Trinitas - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Da ultimo dobbiamo ancora rispondere alla seconda domanda che ci eravamo posti all’inizio del secondo articolo di questo mese sulla Trinità: perché mai per noi dovrebbe essere importante una spiritualità trinitaria?

La risposta si trova proprio nel fatto che noi non possiamo uscire dal tempo, ma anzi siamo immersi nel tempo, sì che non possiamo non vedere che una cosa è il passato, che dobbiamo continuamente accogliere e purificare nei suoi aspetti negativi, altro è il futuro, che dobbiamo rendere possibile come avvento; altro ancora è il nostro piccolo presente in cui possiamo accogliere e diffondere il dono della vita. Perché per essere seguaci di Gesù non basta che la Parola sia accolta, ma deve essere vissuta e diffusa.

Dobbiamo anche riconoscere che, nella storia della salvezza, il tempo è superiore allo spazio, e forse non solo nel senso inteso dall'Enciclica Amoris laetitia di Papa Francesco (quando al § 3 afferma che non tutto deve essere risolto dal magistero, sottintendendo che la Chiesa è fatta per aprire itinerari e non per occupare tutti gli spazi e bloccare ogni iniziativa esterna), visto che Gesù non ha costruito spazi, ma ha accompagnato nel tempo. La nostra Chiesa, invece, ha costruito molti spazi in casa sua e spesso non cammina “con”, nel senso che non accompagna nel tempo. Quante parrocchie devono pagare mutui/debiti per gli immensi spazi che hanno creato? E poi succede anche che questi grandi spazi costruiti restino vuoti. Ecco perché Papa Francesco sollecita tanto una Chiesa in uscita [1], che deve andare fuori e smettere di costruire spazi propri. Bisogna andare, evangelizzare sulla strada, dove prevale il tempo. E sulla strada non basta certamente il solo Catechismo per convincere la gente, per evangelizzare. Il vangelo va annunciato alle persone, non dentro, fra le mura. Tra l’altro, se evangelizzo a casa mia, è chiaro che comando io e posso espellere chi non mi piace. Se evangelizzo a casa degli altri, comandano questi altri, ed io non posso più espellere nessuno: una configurazione molto più evangelica.

Essendo dunque la Trinità rivelazione di Dio nel tempo [2] essa permane anche con un Gesù esclusivamente umano, perché il dinamismo divino resta indipendente dall'evento storico dell’esistenza di Gesù [3], che proprio nel tempo ci accompagna verso la salvezza. Il magistero ufficiale dice invece che deve essere fermamente creduto che l'azione salvifica del Verbo è attuata in e per Gesù Cristo [4]. Ma così si sminuisce in realtà proprio l'importanza della Trinità. Mi sembra sia stato giustamente obiettato che così si nega l'esistenza di ogni azione salvifica del Verbo prima dell'incarnazione, visto che l'umanità di Gesù non esisteva prima dell'incarnazione del Verbo nella storia [5]. E perché Dio, anche dopo l'incarnazione, non sarebbe più libero di optare per altre vie? [6] Perché degli uomini che vivono nell’immanenza limitata pretendono di imporre un limite alla libertà d'azione di Dio che vive nell’infinita trascendenza? Mi sembra che qui il magistero abbia la pretesa di sostituirsi a Dio.

Vivere il tempo di fronte a Dio, implica innanzitutto - come ha ben spiegato sempre il teologo Carlo Molari [7], - la capacità di accogliere il nostro passato, e spesso abbiamo necessità di riconciliarci con quel passato accorgendoci di tanti doni che abbiamo trascurato [8]. Allora il vivere processi di riconciliazione implica precisamente recuperare quei doni di vita che sono ancora a nostra disposizione. Pensiamo, ad esempio, ai rapporti vissuti, magari anche male e senza un buon feeling, con i nostri genitori, ormai morti. Eppure anche quel passato si può almeno in parte recuperare, perché possiamo rivivere quelle situazioni in un modo nuovo di fronte a Dio, riconoscendo adesso quella ricchezza di vita che in allora non abbiamo riconosciuto; cioè possiamo essere grati ora per quello che hanno fatto per noi e sviluppare ora sentimenti di gratitudine, di ringraziamento per i grandi doni che ci hanno consegnato, e che all’epoca non avevamo capito. Esercitarsi in questo modo vuol dire recuperare il passato e farlo diventare ragione di vita nuova per noi [9] adesso. Questo è possibile nella ricerca della fede in Dio perché l’azione di Dio contiene tutte quelle ricchezze che ancora non abbiamo accolto. Anche quelle che ci sono state già consegnate, ma che non abbiamo interiorizzato per la nostra mancanza di consapevolezza, per la nostra incapacità, per la nostra superficialità.

E questo è caratteristico proprio della spiritualità cristiana, per cui la dimensione della riconciliazione è specifica della spiritualità cristiana. La riconciliazione non va intesa tanto come auto-accusarsi nel confessionale del male che abbiamo fatto, né fare penitenza, ma significa piuttosto recuperare il bene che non abbiamo accolto; significa recuperare la ricchezza di vita che ci è stata consegnata, e che abbiamo trascurato e emarginato, ma che ora possiamo pian piano ancora recuperare.

Lo stesso vale poi anche per il futuro, rendendolo un avvento. Parlare di avvento significa parlare di Dio che viene, ed è ovviamente ancora una volta una metafora, perché Dio è. Ma nella storia umana necessariamente la situazione irrompe come novità perché è talmente ricca che non può entrare tutta e subito in una situazione concreta della creazione. La ricchezza della vita che viene da Dio è tale che non può mai essere interiorizzata completamente nel momento presente, ma solo frammento dopo frammento (come dice sempre Carlo Molari). Allora diventa anche promessa di un futuro nuovo. Diventa attesa di una novità di vita. E per questo il futuro può essere vissuto come avvento. C’è un periodo dell’anno liturgico che è proprio dedicato a questo allenamento: periodo di meditazione sulla futura venuta del Signore, cioè imparare a fare del futuro un avvento. La venuta, l’irruzione di qualità nuove nelle nostre vite, nella consapevolezza che, non essendo in grado di accogliere tutto, possiamo comunque vivere alla presenza di Dio in modo tale da rendere il futuro un avvento. Pertanto chiudersi al futuro e accontentarsi di quanto già abbiamo è chiudersi a Dio.

E tutto questo accade nel piccolo spazio del nostro presente, che è l’unico momento reale, perché - come sappiamo - il passato non è più tale, è solo nella potenza dell’azione di Dio che possiamo rievocare; il futuro non c’è ancora, è solo nella potenza dell’azione di Dio che possiamo attenderlo e renderlo possibile come avvento nella nostra vita.

A questo punto diventa allora chiara l’importanza della Trinità nella vita quotidiana, perché tutta la spiritualità cristiana si concentra in questa possibilità di vivere di fronte a Dio trinitario. Principio di vita per noi del presente, Parola di vita che è diventata nel passato, e Promessa da realizzarsi nell’attesa di una novità di vita del futuro. Tutto questo, nel nostro linguaggio imperfetto, lo abbiamo sinteticamente chiamato anche Padre, Figlio e Spirito Santo.

Il punto centrale di tutta questa realtà del cammino spirituale resta però il nostro presente [10]. È fondamentale imparare a vivere il presente nella sua pienezza, perché anche il presente ha dimensioni diverse da persona a persona, e nella stessa persona da periodo a periodo. In questo senso il tempo resta un mistero. Noi siamo abituati a pensarlo come ritmo concreto non modificabile, ma in realtà può essere dilatato, può essere vissuto in modo più intenso, meno intenso, oppure può essere anche completamente trascurato [11]. Dovremmo educarci a vivere il presente alla presenza di Dio, cioè come l’ambito in cui, qui, in questo momento, noi possiamo essere in rapporto con quella forza profonda che ci fa crescere [12], ci fa vivere pienamente il presente, per cui possiamo diventare figli suoi.

Il tempo è spesso ambiguo perché gli stessi fatti sono vissuti da due persone in modo diverso: ad esempio, questo momento di chiara crisi della Chiesa viene vissuto da alcuni come motivo di smarrimento, da altri come motivo di crescita della fede. Spesso poi ci lasciamo invadere il presente dalle memorie inquinanti del nostro passato, a volte angoscianti, il che rende sterile il nostro presente. Ancora più spesso non abbiamo  alcuna speranza per il futuro, oppure attese del tutto fantasiose e illusorie che ci bloccano. La forza di vita vuol entrare per diventare dono per gli altri e noi non la lasciamo entrare. Ma così non viviamo; tiriamo solo avanti [13] e non viviamo cristianamente.

Il passato lo possiamo in parte recuperare. Il futuro lo possiamo solo attendere e rendere possibile. Ecco perché dovremmo essere capaci di vivere il nostro presente nella sua ampiezza, nella presenza di Dio, in rapporto con quella forza profonda che ci fa crescere. Solo il presente è il piccolo spazio in cui accogliamo questo dono per diffonderlo fra gli altri fratelli, e scopo del cristiano è proprio quello di accogliere e diffondere. Accogliere e diffondere. Queste, forse, dovrebbero essere le parole d’ordine del cristianesimo, e solo in questo modo possiamo essere veri seguaci di Gesù. Quindi, a differenza di chi vede nel presente solo un attimo fuggente [14], il presente è importantissimo, perché è l’unico momento che abbiamo in concreto a nostra disposizione per agire. Siamo davanti a un attimo che non sfugge, perché un attimo presente è seguito da un altro attimo presente e poi ancora in un attimo presente [15]. Se solo ci dessimo da fare! Gesù afferma che “Il Padre mio opera continuamente e anch’io opero” (Gv. 5, 17) (NB: opera, non insegna teologia; agisce, non parla): anche noi dobbiamo continuare ad operare. E se abbiamo lasciato sfuggire il primo attimo, possiamo attivarci in quello che segue e che è diventato presente. C’è ancora sempre tempo per recuperare e per non vivere con un costante senso di colpa. Vivere sempre nella paura del giudizio divino ci blocca, ci impedisce di operare (cfr. la parabola dei talenti - Mt 25, 14-30), e anche questo non è un vivere cristiano. È evidente, cioè, che non è la stessa cosa vivere il rapporto con Dio pensandolo come un Dio lontano, immerso nella sua realtà infinitamente distante, ma che arrivato al momento giusto castigherà con violenza ogni nostra mancanza, oppure vivere il rapporto con Dio immersi nella successione del tempo, nell’economia della salvezza, credendo che Dio ci accompagna sempre, con pazienza, e tifa per ciascuno di noi. Questo secondo modo è specifico della spiritualità cristiana.

Ci sono tante altre spiritualità che hanno altro; alcune tendono proprio a liberare l’uomo dal tempo, ed hanno una funzione anche loro al fine della storia della cultura umana. Però noi cristiani abbiamo questo compito all’interno della cultura umana: diffondere questa capacità di immergersi nel tempo, non uscire dal tempo, ma immergersi in profondità mentre teniamo fisso lo sguardo su Gesù, apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo.

Di nuovo si vede come la formula trinitaria è una formula umana, e come tale non è rivelata da Dio, ma traduce l’esperienza della rivelazione di Dio nel tempo, quando essa viene compiuta “tenendo fisso lo sguardo su Gesù”, principio, anzi iniziatore e perfezionatore della nostra fede (Eb 12, 1s.). Attraverso Gesù, infatti, abbiamo scoperto un nuovo volto di Dio, perché Gesù è l’ambito storico in cui il Padre si rivela, la Parola prende carne e sempre in Gesù lo Spirito viene donato. Gesù, dunque, ha iniziato una nuova fase della spiritualità. Vivendo nella sua coscienza umana la propria identità di Figlio di Dio in una relazione unica col Padre, Gesù è stato capace di esprimere il mistero divino in parole umane in modo probabilmente superiore a qualsiasi rivelazione precedente, ma certamente neanche il suo intelletto umano (proprio in quanto umano) poteva esaurire il mistero divino, né rivelarlo nella sua pienezza [16]. Anzi, la rivelazione divina, intesa come autoespressione di Dio, e non come un insieme di messaggi provenienti dall’alto, non è assolutamente terminata neanche con la scomparsa dell’ultimo apostolo [17], tant’è che noi siamo sempre in attesa del Dio che viene. Se fosse corretto l’insegnamento magisteriale secondo cui Dio ci è stato rivelato tutto e completamente in Gesù, non ci sarebbe più alcun spazio per un Dio che viene (Ap 1, 8), ma solo per un Dio che è stato. Inoltre vorrebbe dire che questo Dio avrebbe lasciato l’umanità senza rivelazione abbandonandola per migliaia e migliaia d’anni nell’ignoranza dell’idolatria, prima di Gesù, il che non ha grande senso. Del resto anche Gesù ci ha indirizzati al futuro, al regno di Dio che è imminente (Mc 1, 15), che quindi deve ancora arrivare. Se Gesù avesse esaurito ogni cosa, se avesse detto tutto quello che c’era da dire, non avrebbe detto: “verrà lo Spirito e vi condurrà alla verità tutta intera” (Gv 16, 13), perché la verità tutta l’intera l’avevamo già in tasca.

Sicuramente dire che la Parola di Dio si è incarnata significa che la parola di Dio è entrata nella storia con l’uomo Gesù [18]. Per questo Gesù è l’ambito storico della nostra relazione con Dio. Per questo motivo Gesù diventa il punto focale del nostro rapporto con Dio. Il punto di riferimento del nostro rapporto con Dio, perché anche per noi oggi, in Gesù si rivela il Padre-Principio; in Gesù il Verbo-La Parola di Dio esprime la sua forza, questa forza creatrice prende carne, si rivela diventando gesto visibile ed esprimendo la potenza salvifica; in Gesù lo Spirito viene donato [19]. Dunque: Principio, Parola, Spirito; ma potremmo anche dire Fonte, Figlio, Dono [20], o Padre, Figlio e Spirito santo. Insomma, possiamo usare tutte le parole che vogliamo, nella consapevolezza che restano sempre parole umane, insufficienti, incomplete, per cui siamo sempre davanti a delle mere analogie. La realtà divina in sé noi non sappiamo cos’è e non possiamo descriverla. Però riusciamo a capire il senso della spiritualità trinitaria e il nostro riferimento a Dio come Principio fondamentale, per cui tenendo fisso lo sguardo su Gesù siamo in grado di vivere i dinamismi del rapporto con Dio nelle tre dimensioni temporali, sapendo che per noi hanno un preciso significato, perché - sempre per noi - altro è il passato in cui risuona la Parola di Dio che accogliamo; altro è il futuro per cui attendiamo lo Spirito che irrompe come novità; altro infine è il presente, questo piccolo spazio in cui di fronte a Dio accogliamo il suo dono per comunicarlo fra noi come fratelli. E questo è il modo in cui noi traduciamo questi dinamismi salvifici. Questa è la spiritualità trinitaria cristiana.

Ricapitolando: l’idea della Trinità non ci permette di parlare dell’essenza di Dio che nessuno ha mai visto (Gv 1, 18). Accontentiamoci di pensare che Dio è completezza, è pienezza, che non si lascia definire, né afferrare; Dio è la pienezza che si dà, ci attraversa, a volte lascia in noi una traccia, e se ne va. Non è possibile imprigionarlo in una qualsivoglia forma o formula. Noi non sappiamo come stanno le cose, possiamo solo capire e parlare di ciò che abbiamo visto e sperimentato: che Gesù di Nazareth è venuto tra noi e ci ha parlato di Dio come «Padre» di cui si è accreditato «Figlio», lasciandoci in eredità nell’atto di morire lo «Spirito santo-il Paràclito-il Consolatore», come pegno e garanzia della sua presenza e del suo insegnamento (Gv 19, 30). Nella realtà di Dio, perciò, c’è l’umanità del Figlio morto come uomo, ma resuscitato nella forza dello Spirito santo, sì che non si può più parlare di Dio senza parlare anche dell’uomo (Bianchi E.)

Le formule trinitarie formulate nel IV secolo, che ancora oggi usiamo, indicano un cammino nella storia della salvezza dell’uomo. Dio creatore diventa Parola creatrice (Verbo eterno). Lo Spirito Santo indica l'azione non ancora raccolta. Lo Spirito è l'azione di Dio che si esprime nella storia. Ci sono novità di vita che non siamo ancora in grado accogliere se non nel corso della storia, sì che ogni generazione ha la possibilità di rinnovarsi e di cogliere nuovi frammenti per progredire e diventare sempre più umana. Pensiamo solo al superamento della schiavitù, come si è detto due settimane fa. Ma quanta strada c’è ancora da fare per accettare tutti gli uomini come fratelli (compresi gli immigrati, i rom, gli omosessuali). Siamo veramente ancora in attesa del Dio che viene. L'esperienza di novità di vita è esperienza dello Spirito, perché l’esperienza umana di Dio non si limita al tempo passato; neanche al Gesù terreno vissuto duemila anni fa.

In questo quadro, allora, quando utilizziamo la frase “Dio si è fatto uomo in Gesù”, lo diciamo solo per comunicazione degli idiomi, e attribuiamo a un soggetto umano (Gesù) delle qualità proprie di Dio (Verbo) [21]. Nella realtà visibile di Gesù ci è data la possibilità di intravedere la realtà invisibile di Dio. Chiaro che l’azione del Verbo eterno e la realtà storica di Gesù sono strettamente connesse. La creazione di Dio, manifestazione della Parola eterna passa attraverso Gesù (e si parla d’incarnazione). Ma il Figlio eterno, generato non creato, è il Verbo eterno, non è Gesù, come aveva ben sostenuto san Giustino [22], il quale aveva affermato che il Logos divino, il Verbo di Dio, si era manifestato in Gesù Cristo, però pure, a modo suo, si era già manifestato nei filosofi greci e in molti poeti pagani. Esiste semplicemente un rapporto particolare fra il Verbo-Dio e l’uomo-Gesù, ma non è che Dio ci ha abbandonato per migliaia e migliaia d’anni nell’ignoranza dell’idolatria, poi un giorno si è svegliato e ci ha mandato Gesù.

Il problema si è però ingarbugliato per aver voluto prospettare l’unità-trinità di Dio sul piano della sostanza, dell’essenza (ciò che Dio è in sé). Se restiamo nella Trinità economica molti dei nostri dubbi spariscono.

Concludendo, alla luce di quanto visto, secondo un’interpretazione detta epifanea (cioè delle manifestazioni di Dio) che oggi si sta facendo sempre più forte nel mondo cattolico, manca in Cristo il dualismo delle nature; un dualismo si può vedere solo extra Christum, al di fuori di Cristo, cioè in rapporto agli effetti della sua attività, insieme divina e umana. Non si parla perciò più di due nature in Cristo, ma della sua personalissima relazione col Padre.

Una buona fetta della teologia è ormai consapevole che le sue affermazioni relative a Dio in realtà riguardano l'esperienza storica e sa che le formule, con cui si pensava che Dio avesse rivelato verità arcane, sono invece umane. La Parola di Dio non è a disposizione dell’uomo in espressioni divine ed assolute, ma storiche e contingenti da interpretare eventualmente nei loro significati pro­fondi. La rivelazione in questa prospettiva è stata presen­tata dall’ultimo concilio non come comunicazione di dati o di notizie da parte di Dio agli uomini, una comunicazione che svela quello che non si sapeva, ma come una serie di avvenimenti, accompagnati da parole attraverso i quali l’uomo è stato condotto da Dio alla scoperta delle Verità salvifiche, cioè alla comprensione del proprio mistero è [23]. Se la rivelazione fosse comunicazione di notizie divine, le parole della Scrittura dovrebbero essere considerate per­fette e irreformabili, come il Corano per molti musulmani. Esse invece costituiscono narrazioni degli eventi attraverso i quali l’uomo è stato guidato alla conoscenza progressiva della verità (cfr. quanto detto di Abramo nell’articolo Gesù parola di Dio, al n. 481 di questo giornale,

https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-481---2-dicembre-2018/gesu-parola-di-dio). Essendo costituita da eventi storici, la rivelazione è sempre soggetta ad ulteriori approfondimenti [24]. Gli avvenimenti della storia, infatti, si comprendono molto meglio attraverso l’analisi dei loro sviluppi che nel momento stesso in cui succedono [25].

A conferma di questo evolversi, va detto che anche l’ufficialità si muove - seppur lentamente -  in questa direzione; basta guardare alle diverse traduzioni della lettera di Paolo ai Filippesi (Fil 2, 6-7): a sinistra quella che si usava in passato [26]; a destra quella più recente (Bibbia di Gerusalemme). Si legge che Gesù

 

[6] pur essendo di natura divina,

non considerò un tesoro geloso

la sua uguaglianza con Dio;

[7] ma spogliò se stesso,

assumendo la condizione di servo

e divenendo simile agli uomini;

[6] pur essendo nella condizione di Dio,

non ritenne un privilegio

l’essere come Dio,

[7] ma svuotò sé stesso

assumendo una condizione di servo

diventando simile agli uomini;

 

In passato dire che Gesù aveva natura divina significava chiaramente dire che egli s’identifica con Dio [27]; oggi resta un’unità funzionale fra Verbo eterno e uomo Gesù, che è costituito Figlio di Dio per l’azione continua dello Spirito [28]. Gesù-uomo ha manifestato e manifesta semplicemente al mondo il cammino dell'uomo come Dio l'ha pensato. Umanizzandosi in Gesù, Dio ha rivelato all’uomo come dovrebbe essere il suo cammino.

Dobbiamo renderci conto che, quando parliamo di Trinità, usiamo frasi metaforiche o analogiche per esprimere un'esperienza, una realtà. Sono categorie o dimensioni comunicative (il tempo ha tre dimensioni), non sono persone (per cui forse dovremmo abbandonare questo termine obsoleto [29]) che restano nell'ambito del divino. Nell’economia di salvezza potremmo perciò parlare di:

- Principio - Padre (ma forse sarebbe meglio usare con cautela anche quest’ultimo termine maschile, perché se Dio è padre è anche madre) - Fonte di ogni cosa,

- anche della Parola -  Logos (per Ario si trattava della prima creatura creata, invece è sempre Dio) - Figlio -  Icona;  

- Spirito - Promessa - Dono che viene sempre da Dio e che si deve ancora accogliere.

Dio è eterno, è perfezione compiuta, senza la successione nel tempo che è propria di questo mondo. Dicendo Principio (Padre-Madre, Fonte), Parola (Immagine, Figlio) e Spi­rito (Dono) esprimiamo in termini metaforici la espe­rienza di un’azione misericordiosa da cui siamo sostenuti ed alimentati nella nostra insufficienza e attraverso cui siano condotti alla identità di figli [30]. Sappiamo che figli di Dio non si nasce, si diventa (Gv 1, 12) accogliendo questa azione creatrice di Dio-Principio, fonte di vita. Questa forza d’amore che promana da Dio e che dà la possibilità agli uomini di essere chiamati figli si chiama in aramaico Ruah (femminile), in greco Pneuma (neutro), in italiano Spirito (maschile [31]).

Lo Spirito cos’è? Nel mondo ebraico erano molto concreti: una persona muore quando non respira più. Quando una persona non ha più l’alito vitale significa che è morta. L’alito di una persona significava la sua vita. Spirito di Dio significa l’alito di Dio, cioè la vita di Dio. E questo Spirito viene chiamato Santo per l’attività che esercita nei confronti degli uomini. Ecco allora queste manifestazioni di Dio: come Padre che comunica vita, nell’uomo Gesù perché l’ha realizzata in una pienezza unica ed irripetibile, ma questa è la possibilità per tutti quelli che accoglieranno questo Spirito (Dono) da parte di Dio (Maggi A.). E come si entra nel mondo di Dio, cioè nella condizione divina? Assomigliando al Padre, cioè praticando l’amore gratuitamente come ci ha mostrato Gesù spiegandocelo con le parole, ad esempio con la parabola del buon samaritano; ma soprattutto con tutta la sua vita. Ricordate questo passo? «Pietro, tu mi ami?» (Gv 21, 15ss.). È commovente l’umanità del Risorto che implora amore, per di più amore umano. Potrebbe andarsene, ma se ne andrà solo se è rassicurato di essere amato. Da sottolineare che Gesù non chiede: “Simone, hai capito il mio annuncio? Hai chiaro il senso della croce? Hai chiaro il concetto di peccato? Hai chiaro il concetto di Trinità?” Con queste parole sta invece dicendo: “lascio tutto all'amore, e non a progetti di qualsiasi altro tipo” (Ermes Ronchi). E l’amore va manifestato, occorre attivarsi, occorre fare, perché alla risposta di Pietro Gesù aggiunge: “se le tue parole con cui dici di amarmi sono vere, dimostramelo concretamente con i fatti: pasci le mie pecore e i miei agnelli”. Di nuovo Gesù non dice: “Vai nel mondo a parlare di Dio uno e trino, vai a diffondere fra le genti il concetto fondamentale che io sono la seconda persona della Trinità immanente,” ma invita ad occuparsi in concreto degli altri.

Visto che Dio è perfetto non ha bisogno di nulla (At 17, 25), per cui non chiede per sé né tributi di lodi, né offerte. Infatti Gesù ha rivolto tutte le sue attenzioni solo agli uomini, affermando che così si comporta Dio. Gesù non offre dottrine teologiche, ma indica un percorso: “Amatevi, altrimenti vi distruggerete”. Il succo del Vangelo sta tutto qui.

Dunque, stando ai vangeli, a Dio potrà forse interessare che si dicano e che si sappiano belle cose sulla Trinità immanente o sulla doppia natura di Cristo, ma non si sente obbligato a retribuire chi le segnala o le diffonde, come invece ricompensa chi offre un bicchiere d'acqua a un assetato. Perché, stando ai vangeli, Dio sembra assai più contento se, anche ignorando tutto di teologia e della Trinità (Mt 11, 25), abbiamo in concreto praticato la misericordia: “ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete vestito, ero forestiero e mi avete ospitato...” (Mt 25, 35ss.). Con questi racconti Gesù, essendo il Figlio, ci ha svelato in profondità qual è il vero volto Dio, un Padre/Madre che ama un figlio e questo amore che ci viene donato si identifica nello Spirito Santo. E amore è gioia. Dunque avremmo dovuto essere la religione gioiosa dell’amore, siamo diventati la religione cupa del peccato e dei dogmi.

A questa teologia narrativa, che ci parla di amore gioioso, si richiama in continuazione Papa Francesco, suscitando lo sdegno dei fondamentalisti che lo accusano di eresia, ancorati come sono alla teologia speculativa (cfr, l’articolo I binari della Chiesa, al n. 428 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numeri-dal-26-al-68/199996---novembre-2017/numero-428---26-novembre-2017/i-binari-della-chiesa). Nulla di nuovo: è il peccato che era stato rimproverato già a Gesù, fin da quando nella sinagoga di Nazareth aveva annunciato la misericordia e non la vendetta di Dio e perciò già allora volevano gettarlo dalla rupe (Lc 5, 29), e per questo era stato poi arrestato e processato nel Sinedrio, per aver rivelato l’universale paternità di Dio: la religione ufficiale era messa a rischio, per cui Anna e Caifa avevano buone ragioni per metterlo a tacere [32]. Anche i fondamentalisti di oggi vedono messa a rischio la loro religione, che poco ha a che vedere con i vangeli, cioè con la Buona Notizia, per cui vorrebbero gettare Papa Francesco giù dalla rupe. Essi seguono l’asse della predicazione cristiana che, nel corso dei secoli, si è spostato troppo obliquamente, passando dal fare misericordioso all’indottrinamento teologico (dall’ortoprassi all’ortodossia). Si è liberi di essere anche dei credenti ortodossi, ma si è cristiani solo quando si rivive l’esperienza di Cristo [33].

Come allora si è già detto altre volte, non si devono tradurre con nuovi termini le formule antiche, ma esprimere con modelli nuovi la stessa esperienza di fede. La continuità non riguarda perciò le formule dottrinali, ma le esperienze vitali. Quindi occorre ricominciare dall’inizio (anche per quel che riguarda le formule antiche sulla Trinità), o come diceva un padre della chiesa, occorre passare da un inizio a un nuovo inizio [34].

Dario Culot

[1] La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero; la strada della Chiesa è proprio quella di uscire dal proprio recinto per andare a cercare i lontani nelle “periferie” essenziali dell’esistenza; quella di adottare integralmente la logica di Dio; di seguire il Maestro che disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Lc 5, 31s.) (Papa Francesco, Omelia per i nuovi cardinali del 15.2.2015, in www.vatican.va).

[2] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 75.

[3] Dio trinitario può essere riconosciuto presente ovunque, sia prima, sia durante, sia dopo l'evento-Cristo e la fondazione della Chiesa  (Dupuis J., Perché non sono eretico, ed. EMI, Bologna, 2014, 53).

[4] § 12 della Dominus Iesus, in

http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20000806_dominus-iesus_it.html

[5] upuis J., Perché non sono eretico, ed. EMI, Bologna, 2014, 131.

[6] Dupuis J., Perché non sono eretico, ed. Emi, Bologna, 2014,92s.

[7] Molari C., Trinità, perché?, relazione tenuta a Trieste il 28.2.2016 presso la chiesa Santa Teresa del bambino Gesù.

[8]  Il futuro non ci si apre se non siamo in pace col passato. Redenzione è riconciliarsi col proprio passato in modo tale da rendere di nuovo possibile la fiducia nel futuro (Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia,1976, 712).

[9] Per fare un esempio attuale e concreto pensiamo a Claudia e Irene, rispettivamente vedova dell’appuntato dei carabinieri ucciso nel 2011 dal figlio di Irene a un posto di blocco. Le due donne hanno saputo incontrarsi e relazionarsi senza chiudersi ciascuna congelata nel proprio dramma, intraprendendo un percorso di ripresa di vita per loro e per altri (Di Piazza P., Il mio nemico è l’indifferenza, ed. Laterza, Bari, 2016, 59ss.).

[10] Giovanni Battista è precursore di Gesù, ma il suo movimento non fu durevole, e venne impostato su basi totalmente diverse da quelle di Gesù: non portò alcun Lieto Annunzio. Il Battista operò nel deserto, che è il luogo del futuro atteso; egli visse da profeta, non cercando, ma attendendo che i seguaci arrivassero da lui; il suo abbigliamento dimostrava che egli sapeva di essere profeta. Soprattutto, però, quest’uomo visse di futuro mentre gli era indifferente il passato ed il presente; inoltre fu il predicatore della penitenza, annunciando l'imminente tremendo giudizio di Dio (Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia, 1976, 122s.).

[11] È di gran lunga più importante il tempo vissuto che quello cronologico (Andreoli V., La gioia di vivere, ed. Rizzoli, Milano, 2016, 91).

[12] Ricordiamo che in greco la parola libertà (eleutheria) ha come radice leuth, che vuol dire crescita, sviluppo.

[13] Quante volte il presente scorre inosservato, spesso nascosto dietro la maschera del passato o del futuro (Andreoli V., La gioia di vivere, ed. Rizzoli, Milano, 2016, 93).

[14] Sant’Agostino, Confessioni, XI e XIII.

[15] Andreoli V., La gioia di vivere, ed. Rizzoli, Milano, 2016, 94s.: il saggio vive il presente. Il saggio è interessato agli altri e per dedicarsi a loro non può che stare nel presente.

[16] Contra i §§ 4 e 5 della Dominus Iesus, già citata.

[17] Lenaers R., Benché Dio non stia nell'alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 210.

[18] Lohfink G., Gesù di Nazaret, ed. Queriniana, Brescia, 2014, 10.

[19] Il Padre è la fonte, origine, principio di tutto. Il Figlio è il fiume visibile che fluisce dalla sorgente invisibile. Non si possono avere relazioni personali con lo Spirito perché non si può raggiungere il trascendente. Non si può perciò pregare lo Spirito, si può solo pregare nello Spirito (Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 99s.).

[20] Sant’Agostino, De Trinitate, 5, 10: lo Spirito è chiamato anche Dono di Dio.

[21] Pertanto chiamare Gesù crocifisso e risorto Parola di Dio non esprime necessariamente l’identità divina, a differenza di quanto sostiene più di qualche teologo (ad es. O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 80). Cfr. sempre l’articolo Gesù non è il Verbo, al n.447 di questo giornale.

[22] San Giustino, Apologia seconda, XIII, 4-5, in www.documentacatholicaomnia.eu. Questa interpretazione è confermata da Papa Benedetto XVI, in http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/audiences/2007/documents/hf_ben-xvi_aud_20070321.html

Cfr. anche l’articolo Gesù non è il Verbo, al n. 447 di questo giornale,https://sites.google.com/site/numeriarchiviati2/numeri-dal-26-al-68/1999992---aprile-2018/numero-447---8-aprile-2018/gesu-non-e-il-verbo.

[23] Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione del 18.11.1965 – Dei Verbum § 2.

[24] Molari C., La fede nel Dio di Gesù, ed. Camaldoli, 1991, 39.

[25] Il teologo Segundo, ad es., parla del «continuo cambiamento nella nostra interpretazione della Bibbia in funzione dei continui mutamenti della nostra realtà presente, tanto a livello sociale che individuale». E precisa: «Il carattere circolare di tale interpretazione consiste nel fatto che ogni nuova realtà esige una nuova interpretazione della rivelazione di Dio, un cambiamento da parte di quest’ultima della realtà e, quindi, una nuova interpretazione... e così di seguito». (Segundo J. L., Liberazione della teologia, ed. Queriniana, Brescia 1976, 17).

[26] Ad es. La Bibbia-Nuovo testamento, secondo edizione CEI 1974, ed. Biblioteca di Repubblica, vol. III, 2005, 2863; Le lettere di Paolo, ed. Cor Unum – Figlie della Chiesa, Roma, 1965, 180.

[27] Certo, quando si traduce che Gesù è Dio in quanto ha natura divina, è consequenziale affermare che Gesù è il preesistente (O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 61), perché Dio è preesistente. Lo stesso autore (a p.37) deve però riconoscere che in Paolo non si trova alcuna elaborazione teologica della preesistenza di Gesù: quindi siamo davanti a un’elaborazione successiva, basata su una traduzione oggi neanche più accettata.

[28] Molari C., Teologia – Gesù è Dio?, in “Rocca” 15.12.1999, 49.

[29] Dobbiamo renderci conto come tante parole hanno cambiato di significato. Dobbiamo educarci a interpretare. Gli eventi sono gli stessi, ma le interpretazioni cambiano nel tempo. Occorre partire dall'esperienza di fede e non dalle formule del passato.

[30] Molari C., La fede nel Dio di Gesù, ed. Camaldoli, 1991, 43.

[31] Diciamocelo chiaramente: quanti cattolici sono ancora attaccati all’immagine di un Dio rigorosamente maschio, sicuramente bianco e non nero, escludente, che nega legittimità alle altre culture e alle altre religioni (fuori della Chiesa non c’è salvezza)? Ciò forse è dovuto anche alla sfortuna che, in italiano, Padre-Figlio-Spirito sono tutti di genere maschile.

[32] Mirabile eresia,  Notizie da Chiesa di tutti Chiesa dei poveri, Newsletter n. 149 dell’11 maggio 2019.

[33] Ortensio da Spinetoli, Lettura mariologica della Bibbia? Criteri e prospettive.

[34] In Molari C., Quei tanti Gesù. Approcci recenti in cristologia e soteriologia, in internet in più siti: digitare “Carlo Molari approcci recenti”.