I miracoli di Gesù

Elizabeth Cady Stanton - foto tratta da commons.wikimedia.org

Molti cristiani sono convinti che Gesù abbia compiuto una serie ininterrotta di miracoli, e questo spiegherebbe perché tanti hanno creduto in lui.

È vero che l’uomo antico, in particolare l’orientale che faceva largo uso della fantasia, amava i fatti straordinari, per cui si poneva acriticamente davanti a fatti apparentemente straordinari, mentre oggi le narrazioni dei miracoli sicuramente si riducono di molto, qualora si sottopongano al vaglio della critica (Jeremias J.). Ha giustamente osservato il gesuita Roger Lenaers che questi racconti di miracoli non possono al giorno d’oggi essere presi automaticamente come storici: chi è paralitico da 38 anni (Gv 5,5) non ha muscoli per alzarsi, né equilibrio (quanto ci mettono i bambini per imparare a camminare?) per cui neanche allora il miracolato avrebbe potuto mettersi improvvisamente a saltare e a correre.

Allora, se solo leggiamo i vangeli con un po’ di raziocinio, dovremmo anche immediatamente porci questa domanda: è possibile sapere con sicurezza se i racconti evangelici, dove si descrivono i prodigi di Gesù, ci trasmettono fatti storici realmente accaduti o semplicemente sono esempi edificanti che gli autori dei vangeli composero per esaltare la figura e il ricordo di Gesù Cristo? In altre parole, quando leggiamo delle guarigioni di ammalati che Gesù faceva, ci troviamo davanti a dati sorprendenti e a prima vista inesplicabili che la medicina deve ancora risolvere, oppure si tratta di argomenti apologetici mediante i quali si cerca di dimostrare la divinità di Cristo, o quanto meno la forza di Dio in Cristo? Ma ancor prima di questa domanda dovremmo chiederci se non siamo davanti a qualcosa di completamente diverso rispetto a quanto i racconti dei miracoli sembrano dirci, se presi alla lettera.

Già nel 1700 Gotthold Lessing aveva centrato il problema: per quanti miracoli abbia compiuto Gesù - la scienza storica potrà verificarli e confermali o meno - la questione resta una sola: che cosa significa tutto questo per me, che qui e adesso non osservo più miracoli? Insomma, che se ne fa l’umanità di oggi dei “miracoli” di allora, visto che i vangeli devono essere sempre attuali? I vangeli devono essere una buona notizia anche per noi oggi, non per il solo infermo guarito allora. La guarigione di tante persone da parte di Gesù che senso avrebbe avuto, col passare dei secoli, per la vita dei lettori odierni? Nessuno. E allora si può tranquillamente pensare che i racconti di guarigione non possano essere presi alla lettera e oggi servano solo a esprimere la forza salvifica che Gesù irradiava verso coloro che fiduciosi si rivolgevano a lui. Pertanto vanno intesi come racconti simbolici (Lenaers R.).

Via via che il tempo passa, noi cristiani abbiamo sempre più elementi di giudizio per comprendere e spiegare i vangeli. Come amava affermare Papa Giovanni XXIII, “Non è il Vangelo che cambia; siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”. Perciò è solo da poco che ci si è accorti che presentare l’opera ed il messaggio di Gesù come intrisi di “miracoli” (cosa che la Chiesa ha fatto per secoli) è in realtà una deformazione dello stesso. Per rendersene conto basta leggere l’episodio delle tentazioni di Cristo (Lc 4, 1-13), in cui il diavolo non chiede a Gesù di fare del male a qualcuno, ma chiede “miracoli” con cui convincere facilmente la gente (far piovere pane dal cielo, buttarsi giù dalla torre del tempio e farsi salvare dagli angeli un attimo prima di schiantarsi al suolo), così da riuscir a imporre il suo messaggio con la forza che l’evento straordinario ha in sé. Ma in tal modo lo stesso messaggio di Gesù verrebbe deformato e praticamente annullato. Occorre perciò avvicinarsi ai Vangeli non come racconti storici, ma come trasmettitori di un messaggio. È evidente che l'aspetto taumaturgico, su cui ha battuto per secoli il magistero, doveva contribuire alla costruzione di un'identità divina di Gesù: se con i miracoli s'infrangono le leggi della natura viene provata la divinità di Gesù. Ma l’ovvia conseguenza è che, se viene confermato che dall'altro mondo si può dirigere a piacimento anche questo mondo, viene anche da pensare che si può lasciare a Gesù (o a Dio) il compito di cambiarlo attraverso altri suoi interventi miracolosi, mentre per l’uomo sarà sufficiente mettersi in preghiera, (cfr. l’articolo Il Dio del teismo è morto, al n. 461 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-461---15-luglio-2018/il-dio-del-teismo-e-morto) e sottomettersi al clero.

Simile idea, però, va contro il concetto di fede che invece richiede libertà di scelta (cfr. l’articolo Cosa è la fede?, al n. 498 di questo giornale, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-498---31-marzo-2019/cosa-e-la-fede). Se infatti fede significa riporre fiducia in Dio per scelta personale, è chiaro che il miracolo invalida la fede perché non lascia all'uomo alcun margine di libertà, costringendo la sua ragione e la sua volontà a sottomettersi di fronte alla schiacciante prova che emerge dall’atto taumaturgico soprannaturale. Se il Mar Rosso si apre e appena siamo passati si rinchiude per annientare i nostri inseguitori cattivi, come si fa a resistere a simile sfoggio divino di potenza? In altre parole, se di fronte a simile miracolo uno crede, è perché la potenza cosmica dell’intervento soprannaturale deve necessariamente essere riconosciuta, eliminando al tempo stesso ogni libertà di rischiare una relazione con chi compie quell’atto. Si evita di dover fidarsi di qualcuno dandogli fiducia, perché il miracolo impone certezze (Yannaras C), costringendoci per forza a credere. Ma se leggiamo i vangeli si vede che questa equazione (davanti a un miracolo non si può non credere) viene rovesciata. Nei vangeli il miracolo non induce affatto alla fede; al contrario, quando non c’è fede non ci può essere neanche il miracolo (Bultmann R.), tant’è che dove non c’è previa fede Gesù non riesce a compiere alcun atto eclatante (Mc 6, 5-6).

Per tanti pii credenti la religione non può avere debolezze e deve aver solo certezze. Credere nei miracoli offre appunto certezze. Così passa in secondo piano la propria libertà di scelta che viene consegnata nelle mani di vescovi e preti; anzi, rinunciando alla propria libertà di scelta si viene liberati del peso di ogni responsabilità che il vangelo ci mette sulle spalle: basta accontentarsi di pregare, seguire fedelmente il rito, e poi che al resto ci pensi Dio con i suoi miracoli. Quante volte abbiamo sentito persone piissime recitare questa preghierina prima di cominciare a mangiare: “Ti ringraziamo, o Padre, per il cibo che hai messo su questa nostra mensa e fa che il cibo non manchi a nessuno dei nostri fratelli.” Insomma, “provvedi tu Dio a dar da mangiare a tutti quelli che non hanno niente da mangiare, mi raccomando!” Così ci siamo adagiati su una religione rituale, ma simile religione non trasforma questo mondo, né ci rende né più umani né più felici. Aspettando fiduciosi che Dio, o il suo vicario in terra, sistemi tutto, non succede mai niente; il mondo non si mette a posto pregando Dio o cambiando il papa, ma cambiando noi stessi. Il fatto è che non vogliamo fare quest’ultima faticosissima cosa: cambiare noi stessi, cioè convertirci (Castillo J.M.), perché questo richiede ininterrotto impegno e costante fatica.

Il problema è che accogliendo simili idee abbiamo accantonato il messaggio di Gesù, e convinti di possedere la Verità abbiamo confuso le nostre idee con le sue Parole. Infatti, dai vangeli risulta che le parole di Gesù offrono libertà di scelta agli uomini, ma chiedono anche responsabilità e attivazione personale, e per questo sottolineano che Gesù ha sempre rifiutato di accreditarsi compiendo eventi soprannaturali miracolosi: Lc 11, 29-32: “Non darò alcun segno a questa generazione incredula”; Gv 4, 48: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”; o pensiamo anche alla diabolica tentazione sopravvista di buttarsi dall’alto del pinnacolo e farsi soccorrere dagli angeli prima di spiaccicarsi al suolo (Mt 4, 5). Ecco perché si può escludere che i “segni” compiuti da Gesù in vita possano essere contrabbandati come prove per costringerci a sottometterci alla sua autorità, che con i miracoli sarebbe apparsa subito di natura divina. Sarebbe perciò incoerente e contraddittorio che Gesù, espressamente richiesto di fare un miracolo capace di infrangere le leggi della natura per essere creduto, abbia sempre rifiutato, ma di tanto in tanto abbia smentito sé stesso compiendo proprio dei miracoli a caso, senza neanche un piano ben definito. Avrebbe potuto perfino salvarsi con un miracolo quando venne mandato da Pilato davanti a Erode, perché il tetrarca proprio sperava di vedergli fare qualche miracolo (Lc 23, 8), e invece niente neanche lì. Neanche è sceso dalla croce per dimostrare la sua divinità (Mc 15, 32), quando un simile atto soprannaturale avrebbe annichilito chi lo aveva inchiodato sul legno. Non voleva, o neanche poteva?

Viviamo in tempi confusi (non che in passato se la cavassero molto meglio), e va tenuto presente che in ogni periodo storico, quando la gente appare confusa, stanca, quando non sa a che santo votarsi ed è incerta del futuro, si moltiplicano i fatti miracolosi, come ad esempio le apparizioni (per una loro ampia disamina, vedi il libro di Laura Fezia, Le apparizioni mariane, Uno editori, 2016). Le apparizioni, però, non sono iniziate con la Madonna come qualcuno potrebbe pensare, ma c’erano ben prima dell’avvento di Gesù Cristo. Basta leggere Tacito (Historiae, Libro I, Cap.86) e già troviamo racconti pagani di apparizioni miracolose. Anche oggi, vivendo un periodo difficile e confuso, abbiamo spesso varie apparizioni mariane, posto che si crede che la donna possa svolgere un compito di intercessione e protezione a favore dell’umanità molto meglio di Gesù, che in quanto uomo è visto piuttosto come modello di rigida autorità maschile.

Certo, dal punto di vista razionale è illogico esaltarsi subito di fronte a una madonnina che piange. Eppure anche dopo migliaia di anni, sembra che in tanti uomini continui a prevalere la parte di cervello propria dei mammiferi inferiori, l’emotività a scapito della razionalità. Il fatto mirabolante continua a catturare imperterrito tanti. Non si spiegherebbe altrimenti come mai la gente stia davanti alla tv a vedere le cose che stupiscono, come i maghi che predicono il futuro in tv e sui giornali (senza mai azzeccare i fatti salienti che si verificheranno nell’anno che sta per iniziare), o le cose che sanno di mistero. E quando vediamo nel campo della politica emergere tutti quei venditori di fumo, che hanno le soluzioni semplici per i problemi più complicati, senza dire mai come poi li risolveranno, tanta gente resta affascinata dal loro modo di esprimersi, e li vota con convinzione, sicuri che miracolosamente risolveranno tutti i problemi. Dunque anche l’uomo moderno si aspetta ancora i miracoli, anzi va in cerca di miracoli più che di Dio (vedi Medjugorje), ma come già osservava Dostoevskij, quando si vede rifiutato il miracolo facilmente rifiuterà anche Dio.

Per fortuna, però, oggi ci sono anche molti che scelgono il raziocinio. Ricordiamoci che ancora non molto tempo fa, di fronte a una siccità o un’epidemia, si facevano processioni implorando la grazia del cielo, cioè il miracolo soprannaturale. Oggi si cercano di fare impianti di irrigazione o vaccinazioni di massa. Questo significa che non si crede più nei poteri divini esercitati dall’alto dei cieli, da un mondo celeste che interferisce direttamente nel mondo terreno. Oggi si crede alle leggi di natura, si cerca di capirle per prendere poi le misure adeguate (cfr. sempre l’articolo Il Dio del teismo è morto).

In effetti, dall’Illuminismo in poi, il mondo non conosce più l’esperienza dei miracoli, sì che torna di attualità  domandarsi: ma è mai possibile che in un brevissimo lasso di tempo, in Palestina, si siano verificati più miracoli di quanti ciascuno di noi riesce a trovare nella storia sua, in quella dei suoi genitori, in quella dei suoi nonni, in quella di tutto il suo Paese? È un dato di fatto che dall’Illuminismo in poi ai miracoli biblici è andata piuttosto maluccio. Se prima sembravano una cosa ovvia, irradiata dalla divinità di Gesù, negli ultimi tempi sono stati contestati: se oggi nessuno riesce a camminare sulle acque, non può essere successo neanche allora; se oggi nessuno riesce a far tornare in vita un cadavere non può essere successo neanche allora (Lohfink G.). Ma non è che neanche allora erano miracoli? Ricordiamoci sempre che i vangeli sono stati pensati e scritti non per storici o medici, ma per credenti (Maggi A.; Castillo J.M.; Lenaers R.),

Oggi, a prescindere da ciò che realmente è accaduto con gli ammalati e gli indemoniati di cui parlano i Vangeli, il succo del messaggio che si vuol trasmettere ai cristiani con quei racconti è che per Gesù una delle cose più importanti della vita è la salute delle persone. In altre parole, Gesù sta dicendo ancora a noi oggi che una delle cose che Dio vuole e che più gl’interessano è in primo luogo la salute, la vita, la dignità e la felicità degli esseri umani. Non il miracolo divino. Questo significa che per Gesù e per il Dio di Gesù l’umano sta prima del sacro, prima del religioso e perfino prima del presunto divino (Castillo J.M.). Dunque una visuale completamente ribaltata rispetto a quella fornitaci dal magistero e dal Catechismo, dove il sacro prevale sempre sul profano.

Anche la religione ufficiale l’ha capito e ha cominciato lentamente a virare dalla vecchia rotta. Non molti se ne saranno accorti, ma oggi le traduzioni del Nuovo Testamento non parlano quasi più di miracoli, bensì di segni. E questo per il semplice fatto che gli autori dei vangeli che avevano scritto in greco, pur avendo a disposizione la parola greca per dire “miracolo” (thauma), non l'avevano utilizzata (Schillebeeckx E.); da subito avevano già utilizzato la parola semeion, che significa appunto segno. Quindi erano le traduzioni successive ad essere inappropriate, probabilmente perché – come detto,- miravano a rinforzare l’idea della divinità di Gesù attraverso i miracoli soprannaturali.

Credo che si possa dire assai poco dei miracoli in termini di razionalità. Ma non lo dico in senso completamente negativo, perché certamente la razionalità non è tutto, come si è visto nell’articolo Conoscenza  e convinzione, al n. 495  di questo giornale, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-495---10-marzo-2019/conoscenza-e-convinzione.

Comunque, per cominciare a schiarirci le idee, vediamo innanzitutto di dare la definizione di miracolo: un avvenimento che non solo non è spiegabile alla luce delle nostre conoscenze scientifiche, ma che è da escludere alla luce delle nostre conoscenze scientifiche, in quanto contraddice le nostre attuali conoscenze scientifiche (tipo la transustanziazione, anche se, su questo punto, stranamente, il magistero omette di ricordare che saremmo davanti a un miracolo che si ripeterebbe ogni giorno, ad ogni messa, in ogni parte del mondo: cfr. quanto detto in proposito nell’articolo Ma Gesù è veramente nascosto dentro all’ostia? al n. 451 di questo giornale, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numeri-dal-26-al-68/1999993---maggio-2018/numero-451---6-maggio-2018/ma-gesu-e-veramente-nascosto-dentro-all-ostia).

Il fatto che non sia spiegabile non vuol dire ancora niente. Non occorre, poi, che il miracolo avvenga all’interno di un contesto religioso. Ci può essere un miracolo anche al di fuori della religione. Non può allora rientrare nel miracolo tutto ciò che la scienza non ha ancora spiegato, ma che potrebbe spiegare un domani e che non contraddice i dati scientifici (pensiamo alla telepatia, a certi fenomeni classificati oggi come parapsicologici). James Randi, uno dei più grandi prestigiatori del mondo, che ha smascherato decine di truffatori i quali vantavano di avere poteri soprannaturali (ad es.: i guaritori filippini che operavano a mani nude; Uri Geller, quell’israeliano che affermava di poter piegare il metallo col pensiero; medium che affermavano di poter far sollevare il tavolo col pensiero), non ha mai detto che non esistono poteri eccezionali: molto onestamente ha detto che non può escludere a priori l’esistenza di poteri oggi sconosciuti, ma che finora, nessun caso da lui esaminato si è dimostrato eccezionale, in quanto presupponeva sempre un trucco da prestigiatore. Il contrario del chimico Luigi Garlaschelli del Cicap - Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale -, il quale ha affermato di essere in grado di riprodurre in laboratorio il miracolo di san Gennaro senza aver mai potuto esaminare le caratteristiche di quel sangue. Se fosse stato veramente obiettivo avrebbe dovuto dire che aveva dei fondati sospetti di un trucco soprattutto perché non gli è mai stato consentito di esaminare il contenuto dell’ampolla, e in laboratorio è riuscito a imitare la liquefazione con una sostanza che sembra sangue. Allora è un ragionamento emozionale sia quello di chi grida: “miracolo! miracolo!”, sia quello del tecnico che si proclama scienziato razionale senza aver esaminato il caso concreto. I fatti vanno accettati come fatti. Poi s’indaga, ma serenamente. È giusto essere scettici, ma se nego aprioristicamente tutto, sono solo un uomo pieno di pregiudizi. 

Il fatto che nell’ampolla il sangue di san Gennaro diventi liquido ogni anno, e quindi che il miracolo si basi su una lunga tradizione, non vuol dire nulla. Anche a Chichen Itza (Messico) chi batte le mani o grida di fronte alla piramide del dio serpente sente da secoli tornare indietro l’eco del verso del quetzal, l’uccello sacro dei Maya. Non è un miracolo, anche se per secoli e per milioni di indigeni sembrava tale; era un effetto dovuto a un super esperto di acustica che aveva costruito quella piramide.

Certo, stando a quello che ci hanno raccontato, Gesù avrebbe potuto fare da Dio i più grandi trucchi di prestigio visti al mondo, ma non credo che Gesù fosse un prestigiatore.

Ad esempio, interpretando alla lettera il racconto della moltiplicazione dei pani, diversi hanno sostenuto che si trattava di un banale trucco che ha fatto gridare al miracolo: Gesù aveva precedentemente fatto nascondere il cibo per poi distribuirlo fra tante persone. Ma esiste un’altra spiegazione ben più razionale e più valida teologicamente senza dover ricorrere al trucco di bassa lega, ma anche senza dover ricorrere al miracolo (e analoghe spiegazioni razionali si trovano per tutti gli altri cosiddetti “miracoli”).

Guardiamo più attentamente all’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci in luce teologica (Mt 14, 13-21; Mc 6, 34-44; Lc 9, 12-17), e non come se il fatto fosse veramente accaduto storicamente: tutto diventa più logico, più razionale, più credibile.

Arriva la sera dopo una faticosa giornata passata da Gesù a guarire gli ammalati e a lenire sofferenze. Gli apostoli si accorgono che la gente ha fame. Ecco il primo punto: accorgersi che la gente ha dei problemi. Vivere nella sequela di Gesù vuol dire leggere le domande che gli altri ci fanno, perché gli altri esistono, e sono vicini a noi. Ovviamente gli apostoli danno la tipica risposta egoistica che avremmo dato anche noi: “che vadano a casa a mangiare”. Non pensiamo ancora oggi così quando ci viene incontro un immigrato? Invece Gesù dice: “dategli voi da mangiare”. Perché? Perché Dio ci interpella sempre così. E come ci ricorda sempre l’evangelista Matteo in un altro passo quando parla della fine del mondo (Mt 25, 31-45), non puoi mandare via gli altri, perché Dio è l’altro (Chiesa S.). Dio, cioè l’altro, aveva fame, e tu gli hai dato da mangiare. Dio non parla direttamente con noi, ci interpella solo attraverso gli altri (come si è visto nell’articolo del mese scorso Incontro con una chiava del 2000, https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa500/numero-500---14-aprile-2019/incontro-con-una-schiava-del-2000---dario-culot). Quando uno pensa di parlare direttamente con Dio, molto probabilmente sta solo parlando con sé stesso. A questo punto arriva la seconda risposta degli apostoli, anche questa scontata: “abbiamo veramente poco, solo cinque pani e due pesci”.

Questo è sempre il nostro alibi: mica possiamo risolvere i problemi del mondo. Al massimo potremmo risolvere i problemi di qualcuno. E intanto non facciamo niente. Quanti pii cristiani dicono: “Io prego tanto, e poi sto così bene con la mia famiglia, con i miei amici, che tutto questo mi basta”. Invece ci sono anche gli altri, e quando Papa Francesco ce lo ricorda, questo disturba molti pii credenti. Anche gli apostoli – come noi - portano i pani a Gesù non per distribuirli, ma per fargli vedere che sono veramente pochi per tutta quella gente, e forse non bastano neanche per loro. Invece Gesù li prende, li spezza, li distribuisce, e poi capiti quello che capiti. Il miracolo, allora, non è la moltiplicazione. Il miracolo avviene prima: è la distribuzione; è la condivisione; è la fine dell’egoismo. Ed è questo che ci chiede Dio. Quando uno esce dal suo guscio di grettezza e personale utilità ed entra nella vita partecipata, i problemi di tutto il mondo - per quel che lo riguardano - sono risolti (Chiesa S.).

Poi, c’è ancora qualcosa di più nella parabola: si deve notare che nella distribuzione dei pani manca il rituale lavaggio delle mani, imposto dalla religione perché altrimenti quello che mangi ti rende impuro. Questo era un pilastro della religione: l’uomo doveva purificarsi per essere degno di Dio. Gesù invece dimostra che è l’accoglienza di Dio quello che purifica. Quando effettua la distribuzione dei pani, Gesù non chiede alla folla se si sono purificati prima di mangiare, e non chiede neanche di purificarsi (Gv 6, 11s.). Ciò dimostra che non è necessario purificarsi per ricevere il pane (che è Gesù, che è Dio), ma è la semplice accoglienza che già purifica (Cfr. quanto detto nell’articolo Simon Pietro, al n. 478 di questo giornale, https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-478---11-novembre-2018/simon-pietro).

Leggendo i racconti evangelici va allora detto che non ci sono miracoli nel senso sopra definito. Va anche detto che, all’epoca, l’idea di leggi della natura era estranea a quella cultura. Piuttosto le azioni di Gesù venivano viste come effettuate sotto il potere del maligno, oppure sotto il potere di Dio: dunque non interessava tanto il miracolo, quanto l'origine di quel potere fuori del comune, maligno o divino. Il discorso sui miracoli è un discorso moderno, perché allora - non essendovi la scienza come oggi l’intendiamo - tutto era di per sé miracoloso, soprannaturale. Era miracoloso che il sole riapparisse ogni mattina, era miracolosa la pioggia, lo era la neve, o che da un seme nascesse la spiga di grano.

Non è miracolo – per come l’abbiamo definito - guarire da una malattia. Nei tre vangeli sinottici non si parla infatti di miracoli; si dice che Gesù fece questo, fece quello, guarì...  Nell’antichità non avevano scoperto i batteri. Parlavano di invasione di esseri malvagi o di spiriti maligni, comprendendo anche le malattie psicologiche (dette demoniache). Ma sicuramente non erano neanche allora una massa di stupidi creduloni: c’era anche allora gente dotata di acuto spirito critico, e il cristianesimo nascente si sviluppò in un ambiente abbastanza ostile, con tanta gente pronta a saltargli addosso (ricordiamo lo scetticismo razionale di Celso, già richiamato varie volte in diversi articoli).

La realtà è che i miracoli non servono ai vangeli, come non servivano a Gesù che – si è visto sopra, - si è sempre rifiutato di dare prove soprannaturali a giustificazione del suo messaggio. Luca era medico, quindi non l’ultimo dei fessi, e riporta la frase di Gesù “fanciulla, alzati” detta in aramaico. C’è un contrasto fra la semplicità della frase e l’effetto (Lc 8, 54). Non vengono usate formule magiche; nient’altro che delicatezza, quieta e calda.

Giovanni (Gv 12, 39) dice: gli occhi non possono vedere perché non hanno fede. E la cosa più interessante in assoluto è far notare come nei vangeli non ci sia mai un miracolo per cui si dice: “adesso finalmente crediamo in Gesù”. Strano, con tutti quei miracoli che avrebbe fatto, non è vero? Ci sono segni, ma quei segni fanno decidere per la condanna a morte, perché Gesù viene ritenuto pericoloso (Gv 12, 1-19). Ad esempio, nel Vangelo di Giovanni, che raccoglie non più di sette fatti straordinari, si parla del miracolo del cieco dalla nascita (Gv 9, 1ss.). Bene! Questo fatto apparentemente miracoloso non converte affatto i farisei, che deducono con assoluta razionale logicità: Gesù ha agito di sabato, quindi ha trasgredito alla legge, quindi ha peccato, se è peccatore non può venire da Dio. Il cd. miracolo, dunque, non costringe mai a credere. Costituisce al più un segno offerto alla libertà dell’uomo. Di fronte a questo segno sono sempre possibili risposte diverse. Ma questo significa che quell’atto non era stato affatto percepito come manifestazione di una potenza soprannaturale, come un’evidenza di divinità che avrebbe costretto tutti a credere.

Dunque, se nei vangeli non ci sono miracoli, ma solo segni, quelli che comunemente sono stati chiamati  miracoli vanno allora visti al massimo come cartelli indicatori. Il cartello stradale di “H” non mi cura; se cerco l’ospedale e poi non vado all’ospedale, non mi curo; vedere il cartello non cambia per niente la mia vita. In sé non ha alcun valore, come tutti i segni di questo mondo (Chiesa S.). Anche le parole che sto scrivendo sono segni. Se uno parte con un fermo pregiudizio, le mie parole non lo sposteranno di un centimetro: infatti sono certo che molti non accetteranno a priori le riflessioni che sto offrendo, e non arretreranno di un passo nelle loro granitiche convinzioni: “Gesù ha fatto miracoli soprannaturali perché è Dio, e non si discute!” Chi parla può offrire solo dei mattoni su cui costruire. Offre dei segni che possono sviluppare nuovi pensieri e allargare l’orizzonte. Finché, però, non li si accoglie e non li si elabora facendoli propri, si è come studenti che scaldano il banco a scuola, ascoltano distrattamente per ore e ore l’insegnante, però non portano a casa niente. Il segno non viene in questo caso utilizzato e trasformato in maniera costruttiva. I segni, dunque, non devono attirare attenzione su sé stessi, ma su ciò che indicano. Il cartello “H” non deve attirare l’attenzione sul pezzo di latta colorato, ma sull’ospedale. Tutti quelli che sono fermi davanti alle madonnine che piangono (non è forse il desiderio di miracoli che fa incontrare madonne che piangono?), se si fermano davanti a queste statuette, non incontreranno mai Dio. Esattamente come non basta abbracciare e lucidare il cartello indicatore di Milano per arrivare a Milano. Il cartello non è inutile, ma diventa utile se lo si lascia alle proprie spalle, se si prosegue il cammino e lo si dimentica. Quindi, supposto che qualcosa sia veramente accaduto nelle apparizioni della Madonna a Medjugorje o in altri posti, queste cose sono utili solo se poi le lasciamo alle spalle. Mi ero distratto e non pensavo più a Dio. Mi rimetto a pensare a Dio. Una volta che ho visto il cartello “Milano” e ho preso la direzione giusta, il cartello non mi serve più.

Non andrò mai a vedere un luogo dove una statuina a forma di Madonna si è messa a piangere. Non per disprezzo dei segni, ma perché non ne ho bisogno. Se uno ha bisogno vada pure  ma poi deve ricordarsi di cosa tutto questo vuol dire. Se uno va a Civitavecchia, o a Lourdes, o a Medjugorje, e in mezzo a quell’atmosfera lui sente una spiritualità intensa e torna a casa convertito, benissimo!, che vada. Ma oggetto del culto deve essere poi Dio, non la madonnina che piange. Se uno si ferma accanto al cartello di Milano, lo lustra, lo coccola, ma a Milano non ci arriva mai, viene il sospetto che non abbia capito a cosa servono i cartelli. Lo stesso discorso va fatto se uno vuol andare a vedere in qualche santuario le reliquie dei santi.

I cartelli indicatori non possono poi essere troppo frequenti, perché se fossimo sommersi di cartelli non li vedremmo neanche più. Tutti i pubblicitari cercano di rendere unico il loro messaggio, perché altrimenti non restiamo colpiti.

Si è però anche detto che questi segni messi in atto da Gesù, che pur colpiscono, non fanno necessariamente nascere la fede; anzi, al contrario, possono facilmente distrarre dalla fede, tant’è che lo stesso Gesù ha paura della gente che crede ai miracoli; o meglio teme l’entusiasmo che si crea attorno ai miracoli. Pensiamo al sopravvvisto ‘miracolo’ della moltiplicazione dei pani (Gv 6.1ss.): un essere divino che dona a tutti gratuitamente il pane avrebbe dovuto convertire tutta la folla, e invece è il più grande fallimento di Gesù, perché tutti si sono allontanati da lui. Ed è successo perché, dopo la moltiplicazione, Gesù ha detto: “ora vi spiego cosa è successo”; ma la gente ha risposto: “no, a noi interessano i fatti straordinari, non le tue spiegazioni. Delle tue spiegazioni non sappiamo che farcene, ma i miracoli ci piacciono. Se fai ancora altri miracoli, ti seguiremo”. E Gesù chiede sconsolato agli apostoli: “volete andarvene anche voi?” (Gv 6, 67).

Doveva essere il miracolo dell’accoglienza e della condivisione. La folla, invece, l’ha preso come il miracolo della moltiplicazione, tanto che in questi termini è giunto fino a noi. Il messaggio, forte, deciso, rivoluzionario, era: davanti alla fame di cibo, di pace, di giustizia, comincia col mettere in gioco tutto ciò che sei. Dio farà il resto. La folla ha capito un’altra cosa: ecco un Dio che fa tutto al posto nostro (Curtaz P.). Che bello! Gesù fugge ogni volta che vede questo entusiasmo esteriore per i miracoli, e rimprovera. Come si può pensare che abbia poi piazzato a caso, nel suo girovagare, miracoli soprannaturali?

L’unico vero ‘miracolo’, allora, è la fede. La scoperta di essere invitati alla vita, la capacità di aprire la propria vita a un orizzonte immenso e sconfinato di significati, l’orizzonte di Dio. Se uno tocca con mano la presenza di Dio, e poi fa la volontà di Dio, questo è l'unico vero miracolo.

Dario Culot