Religione e Vangelo

Vangelo di Giuda, codice Tchacos, p35, 

in Wolfgang Rieger, Il vangelo di Giuda. Edizione critica. Washington 2007

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Merita soffermarsi su un paio di libri del prof. José Maria Castillo (“La Humanización de Dios”, L’umanizzazione di Dio che dovrebbe uscire in italiano a settembre con le Edizioni Dehoniane, e “El Evangelio marginado”, Il Vangelo emarginato, che sarà probabilmente pubblicato in italiano l’anno venturo), i quali brillano per incisività e chiarezza d’idee. Quello che mi stupisce costantemente di questo grande teologo è che, leggendo i suoi scritti, uno finisce sempre col pensare: “Ma io queste cose le ho in realtà sempre pensate, anche se non così chiaramente; come mai non sono riuscito a esprimerle? Com’è che non sono arrivato prima io a quelle sue stesse conclusioni sensate ed equilibrate che adesso mi sembrano ovvie?”

Cercherò qui di riassumere in sintesi, a grandi linee, il filo conduttore che unisce questi libri, augurandomi di farlo in maniera adeguata.

Ci rendiamo tutti conto che, nel nostro cammino terreno, è diverso se ci focalizziamo su questa vita, oppure se ci focalizziamo sulla vita futura, sull’al di là. Se il centro è fissato su questa vita, c’è una sola cosa da fare: impegnarci seriamente per umanizzarci sempre di più. Purtroppo, invece, abbiamo davanti agli occhi, ogni giorno di più, una sempre maggior dissoluzione dell’umano, il che va contro ciò che ogni essere umano chiede: una vita piena e soddisfacente.

La Chiesa ha posto al centro la Religione con l’al di là, non il Vangelo che si focalizza su questa vita terrena, e siccome la Religione oggi è in crisi (sempre meno gente in chiesa, sempre meno vocazioni, ecc.), è in crisi anche la Chiesa con tutto il suo insegnamento, rimasto quasi immutato per secoli.

Per cercar di avere le idee un po’ più chiare in questa situazione confusa di crisi, occorre cominciare ad aver ben presente che Religione e Vangelo sono due cose diverse. Il Vangelo non è cioè parte della Religione, non è un elemento della Religione. Per convincersene, basta pensare a come la Religione si sia subito scontrata col Vangelo, tanto da uccidere il suo protagonista principale (Gesù).

Di più: il prof. Castillo dice che Religione e Vangelo sono incompatibili: o si sceglie l’una o si sceglie l’altro. Invece la gente è stata educata in modo tale da unire le due cose, per cui ha per secoli creduto che praticando la Religione capiva e praticava anche il Vangelo.

Ma se solo si va a leggere il Vangelo, si scopre subito che non appena Gesù cominciò a relazionarsi con la gente immediatamente si scontrò con la Religione. Il Vangelo, in altre parole, è la storia di un conflitto costante con la Religione, terminato per di più nel peggiore dei modi: con la sconfitta e la morte di Gesù, il che dimostra ancora chiaramente l’incompatibilità fra i due.

Stando al Vangelo, Gesù era sicuramente un uomo molto religioso, anche se di una religiosità alternativa e marginale in relazione alla religione ufficiale della sua cultura, tanto che non praticò mai la Religione come la intendiamo noi. Pregava molto, ma mai nel Tempio: in altre parole non ha mai partecipato a una cerimonia religiosa e lì si è recato solo per far sentire il suo innovativo messaggio che doveva liberare le persone dalla dottrina religiosa loro imposta; per pregare, Gesù andava nel deserto, sui monti o in campagna, cioè in luoghi profani. La Religione proibiva di curare di sabato, e lui curava quasi sempre di sabato. La Religione proibiva di mangiare senza essersi prima purificati con l’acqua, e lui mangiava allegramente senza neanche fare il minimo cenno di purificazione. La Religione imponeva di stare lontano dagli impuri peccatori, e lui li toccava amorevolmente e si accompagnava ad essi. E avanti così.

Riducendo il Vangelo a una formula estremamente sintetica, si può dire che esso contiene una teologia narrativa, non una teologia speculativa (cfr. quanto detto nell’articolo I binari della Chiesa, al n. 428 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numeri-dal-26-al-68/199996---novembre-2017/numero-428---26-novembre-2017/i-binari-della-chiesa).

La teologia speculativa o dogmatica, è fondata sulle dottrine, sui ragionamenti filosofici e sulla metafisica, e questa teologia - iniziata da Paolo nelle sue lettere, - ha portato a un concetto di fede inteso come una verità dottrinale da accettare in obbedienza (Rm 1, 5). Cioè si ha fede quando si ritiene vera una determinata dottrina, elaborata da parte di un’autorità indiscussa (il magistero della Chiesa), a prescindere dal contenuto che viene affermato.

La teologia narrativa, o pastorale, o popolare, propria del Vangelo, si rifà invece alle narrazioni e alle esperienze che si trovano nei vangeli. Secondo questo filone teologico, fede è abbandonarsi con fiducia a quel Padre che nessuno ha mai visto (Gv 1, 18), ma che l’uomo Gesù ci ha fatto vedere (anche il magistero dice che Gesù è immagine visibile di Dio invisibile - Col 1, 15). E come ce l’ha fatto vedere? Col suo esempio, col suo modo di vivere e, soprattutto, con il suo modo di relazionarsi con gli uomini, in particolare con la gente che la Religione - di allora e di oggi - disapprovava e condannava.

Guardando in quest’ottica il Vangelo, Gesù ci ha presentato un’immagine di Dio radicalmente diversa da quella offerta dalla Religione. È un dato di fatto che la Religione (ogni religione) assolve sempre a una funzione ambivalente, perché accoglie e respinge; vale a dire, la religione benedice e maledice, difende e attacca, perdona e condanna, e così via. Ebbene, una delle cose più stupefacenti che si trovano nel Vangelo è che Gesù accolse quelli che la religione rifiutava, benedisse quelli che la religione malediceva, difese quelli che la religione attaccava, perdonò quelli che la religione condannava. Siamo agli antipodi.

Ma al di là della formula sintetica, cosa sono i vangeli? I Vangeli sono un insieme di racconti brevi, scritti con l’intenzione di trasmettere un modo di vivere, un progetto di vita. E questo modo di vivere, così come ha fatto Gesù, si basa su tre colonne portanti. Gesù, infatti, si è preoccupato principalmente di tre cose: la salute, il cibo e le relazioni umane. Attraverso i racconti su questi tre elementi Gesù ci ha insegnato chi è Dio e come è Dio.

Anche se a molti sembrerà strano, la sorprendente frequenza e insistenza con cui questi temi si ripetono nei vangeli mostrano con assoluta chiarezza che Gesù si preoccupò e s’interessò più di salute e alimentazione che di peccati, di culto, di liturgia, di rituali religiosi, o perfino di preghiere. Per di più, curiosamente, quando Gesù raccomanda di pregare, dice che bisogna farlo in segreto, da soli, con la porta chiusa e dove nessuno ti può vedere. Perché quando si tratta della preghiera, il Padre vede soltanto nel segreto (Mt 6,6). Di più: Gesù non dà orari obbligatori per pregare, e nell’unica preghiera trasmessaci (il Padre Nostro) invita tutti a rivolgersi a Dio non con i titoli più altisonanti comunemente usati dalla Religione (“Altissimo, Eccelso, mio Signore”), ma chiamandolo “Padre” come i figli fanno col proprio padre, a dimostrazione che il Dio rivelatoci da Gesù non vuole credenti tremebondi, prostrati e incensanti, ma vuole figli collaborativi.

Dappertutto nei vangeli appaiono questi elementi di cui si è detto: la preoccupazione per la vita (salute e alimentazione) e l’insistenza nel migliorare le relazioni sociali, vale a dire l’insistenza su tutto quanto può favorire e potenziare un modo di pensare e un modo di vivere incentrati sul rispetto e il riconoscimento della dignità di tutti (corrette relazioni umane di rispetto, tolleranza, stima e amore in libertà).

Nel Vangelo numerosi sono i racconti sulle guarigioni o comunque sulle cure prestate da Gesù. È chiaro a tutti che una persona sana è più felice in questa vita di una persona ammalata. Ma ancor più numerosi sono i racconti sul mangiare, e in particolare sul mangiare condiviso, sul mangiare insieme, perché proprio in quest’esperienza fondamentale e assolutamente laica della vita umana, comune a tutti, credenti e non credenti, Dio comunica meglio con noi, lo conosciamo meglio e sperimentiamo meglio il Dio a noi rivelato da Gesù, per quanto, mentre condividiamo la tavola, neanche lontanamente nessuno pensi a Lui.

Guardiamo il racconto delle nozze di Cana (Gv 2, 1ss.): è inutile scervellarsi sul fatto se c’è stato o meno il miracolo della trasformazione dell’acqua in vino. L’attenzione va posta sul fatto che il vino dà felicità, mentre la Religione con le sue richieste spropositate di purificazione (le giare fredde di pietra con le centinaia di litri d’acqua), non porta felicità. Il nocciolo del racconto, allora, è che lì mancava il vino, perché in quella casa c’era tanta Religione, ma poca felicità. Gesù porta felicità, da godere qui, su questa terra, non nell’al di là.

In tutti i vangeli c’è quest’ottica particolare: Gesù sta sempre guarendo gli ammalati, dando da mangiare o mangiando… funzioni religiose? Cercatele pure, non ne trovate nessuna. Mai Gesù invita la gente ad andare al Tempio per seguire il culto (andare a messa), e neanche prima dei pranzi condivisi Gesù inizia con una preghiera di ringraziamento a Dio. Mai Gesù, che fra l’altro era un laico, ha elevato qualcuno alla dignità sacerdotale. Mai ha imposto ai suoi discepoli di vestirsi in qualche modo particolare (ad es. col talare). Nessun rituale cultuale, ma una condotta totalmente laica.

I grandi temi pratici nel Vangelo sono i grandi temi laici che preoccupano ogni persona, ieri come oggi: la salute, il mangiare e il relazionarsi con gli altri, mentre perfino l’al di là passa in secondo piano. Su quest’ultimo punto il Vangelo ci offre solo una speranza di poter trascendere a una vita superiore e definitiva (col racconto della risurrezione), ma l’al di là non lo possiamo capire e conoscere perché ciò che è trascendente non sta alla nostra portata; al contrario, ogni giorno noi dobbiamo affrontare questa vita immanente che tocchiamo con mano, non quell’altra trascendente. Quindi dobbiamo focalizzarci su questa vita, non su quella eterna, perché è questa vita che ogni giorno c’interpella.

Ecco perché il centro del Vangelo non è neanche la fede, ma la sequela di Gesù, cioè cercar di tenere una condotta su questa terra che si avvicina a quella di Gesù.

E se la prassi quotidiana ci fa veramente seguire il comportamento di Gesù sarà questo che ci indirizza automaticamente verso l’altra vita. Perché? Perché la condotta di Gesù, vista dal di fuori, non ha una spiegazione reale. L’unica spiegazione che può avere è che chi ha agito così crede fermamente che esiste un al di là. Dunque se noi viviamo ogni giorno con bontà, onestà, trasparenza verso gli altri, se riusciamo a diffondere felicità anziché minacce e paure, allora siamo già cristiani, a prescindere dalle cerimonie religiose e dai culti che seguiamo o non seguiamo.

Ma la messa e i sacramenti? Questo, più che  al Vangelo, appartiene alla Religione che li ha ipertrofizzati trasformandoli in culto.

Ma com’è che la Religione ha preso presto il sopravvento? La Religione è sorta perché tutti abbiamo domande alle quali non sappiamo rispondere, e nella vita dobbiamo anche affrontare situazioni che non sappiamo risolvere: pertanto ci si rivolge a una ipotizzata realtà trascendente (che non possiamo vedere, che sta al di fuori della nostra capacità di comprensione) sperando che risponda alle nostre insicurezze, e cerchiamo anche di farcela amica attraverso dei rituali. La Religione ha dunque, innanzitutto, una funzione tranquillizzante. La Religione nasce dalla nostra necessità, dalla nostra inquietudine. Al contrario, il Vangelo nasce dalla nostra generosità. La religione è una creazione dell’uomo per entrare in contatto con l’inconoscibile Trascendente, sperando di ottenere qualcosa da questo contatto (pensiamo solo al digiuno religioso, con cui si spera di ottenere meriti presso Dio). La Religione è l’uomo che cerca Dio, mentre il Vangelo è Dio che cerca l’uomo, si offre a lui e vuol farsi conoscere da lui.

La necessità religiosa riguarda ciò che manca a noi stessi e che non troviamo da soli, mentre la generosità evangelica riguarda ciò che manca agli altri e che noi possiamo ovviare (nei nostri limiti) Se non pensassimo di aver limiti saremmo in preda a un delirio di onnipotenza. Ecco perché se nella nostra vita non ci si occupa degli altri che incontriamo durante il nostro cammino, non siamo seguaci di Gesù e non siamo cristiani.

Pensiamo all’episodio della cd. resurrezione di Lazzaro (cap. 11 del Vangelo di Giovanni): anche qui non interessa l’aspetto storico della vicenda, cosa è realmente accaduto. Il messaggio che ci viene trasmesso è che Gesù sta facendo rifiorire la vita anche dove stava prevalendo la morte. E allora, se vogliamo essere seguaci di Gesù, compito di noi tutti è quello di difendere la vita, di dare vita, di migliorarla dove ci è possibile, di renderla più sopportabile alle tante persone che incontriamo e che sono in difficoltà. Ma la parte più forte del messaggio di questo racconto è che, di fronte a questa condotta di Gesù, il sinedrio si riunisce d’urgenza e decide di dare la morte a Gesù, perché altrimenti teme che i romani metteranno fine alla sua Religione, distruggeranno il suo Tempio, fonte di enorme ricchezza e di potere per la classe sacerdotale. Ecco l’incompatibilità col Vangelo, dove Gesù ricorda che i titoli, le cariche non servono, e che la ricchezza fa deviare dal seguire il Vangelo (Mt 6, 24). Ecco infatti il suo monito finale per chi è tutto teso ad accumulare ricchezze (Lc 12, 20s), come il ricco proprietario di terre che continua a costruire granai sempre più grandi, e muore prima di godere dei suoi beni accumulati: «Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio». Il tesoro è quello che dà la fiducia: ma, o uno mette la fiducia nel Padre e quindi liberamente mette la propria vita – con quello che è e quello che ha – a servizio degli altri, oppure la mette nei suoi beni pensando solo a sé stesso. In questo secondo caso ha ottime probabilità di finir male. Di nuovo un’ennesima dimostrazione dell’incompatibilità fra Religione e Vangelo.

Va poi anche sottolineato che quelli che vogliono uccidere Gesù (Mc 3, 6) non sono affatto i cattivi peccatori come ci hanno sempre insegnato al Catechismo (ricordate? Gesù è morto per i nostri peccati); al contrario sono proprio le persone più pie e più devote, sono le persone che osservano scrupolosamente la Religione con tutti i precetti divini, sono quelle che mettono Dio al centro della loro vita, a voler eliminare Gesù. Il Vangelo ha messo l’uomo al centro della vita, non Dio; ogni uomo che incontriamo è come se ce l’avesse fatto incontrare il Dio di Gesù. E come se Dio ce l’avesse messo lì, è un incontro con Dio come se Lui ci dicesse: “Ti stavo aspettando”.

Nella Religione è sacro il Libro che contiene la Legge con i suoi precetti ed è sacro il culto. Ma per rendere onore a Dio si sacrifica l’uomo (si pensi alla parabola del buon samaritano al n.444 di questo giornale).

Nella fede del Vangelo è sacro l’uomo (Mc 2, 27), ogni uomo. Dura questa da digerire, con tutti gli immigrati (uomini come noi) che arrivano sulle nostre coste: più facile recitare ogni giorno il rosario, seguire qualche cerimonia in chiesa, ma poi ricacciarli in mare. È chiaro che mentre nella Religione ci può essere un rapporto con Dio situato ad un livello spirituale senza necessariamente restar coinvolti con gli altri, col Vangelo di Gesù, è Dio che prende l’iniziativa chiedendoci di andare verso gli altri: e allora occorre sporcarsi le mani, non usare solo la mente; ma collaborare praticamente richiede fatica che non tutti coloro che si dichiarano credenti sono disposti a fare.

Come si è detto all’inizio, la Chiesa ha quasi subito optato per la Religione, convertendo il Vangelo in un elemento della Religione, e ora siamo al punto in cui siamo, con una Chiesa finita ai margini della società.

Papa Francesco forse non sarà un grande teologo come sostengono tanti suoi detrattori (ma se per questo non lo era neanche Gesù che non ha fatto seguaci proclamando ai quattro venti profondi concetti teologici, o dando lezioni magistrali sulla metafisica), però ha iniziato una rivoluzione perché vive il Vangelo e cerca di rimetterlo al centro delle nostre vite. Di nuovo sono le persone più pie ed ortodosse quelle che vorrebbero cacciare questo papa perché – secondo loro,- sta distruggendo la Chiesa; in realtà sta mettendo in secondo piano la Religione. Torno allora a ribadire il punto terribile, ricordato nell’articolo della scorsa settimana, su cui – penso – dovremmo meditare: nel momento in cui il nato cieco rompe con la Religione e la Religione rompe con lui, in quel momento tragico, il cieco guarito s’incontra con Gesù, si prostra davanti a lui e rende l’affermazione fondamentale di fede: “Credo, Signore” (Gv 9, 38).

Il Vangelo dimostra che vera fede non è quella che si conforma all’insegnamento dei legittimi pastori della chiesa, deputati a stabilire cosa è eretico e cosa è ortodosso, ma è la risposta dell’uomo al Dio invisibile che ha dimostrato agli uomini il suo grande amore capace di far fiorire la vita.

Ma allora tutto questo racconto del Vangelo sul cieco nato, se il Vangelo ci sta dicendo la verità e gli crediamo, ci porta a questa conclusione destabilizzante: la fede in Gesù e nel suo Vangelo è possibile e autentica solo quando uno si comporta in maniera tale da vedersi rifiutato e scomunicato dalla Religione. Come ha detto più volte il prof. Castillo, alla fin fine dobbiamo scegliere: o la Religione o il Vangelo.

 

Dario Culot