L’Assunzione

Assunzione di Maria, Guido Reni, 1627, 

chiesa di Santa Maria Assunta a Castelfranco Emilia 

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Si avvicina Ferragosto, la festa italiana delle vacanze per eccellenza: i più al mare, ma molti anche in montagna. La festa, in realtà, ha origini antiche e risale ai tempi del paganesimo. Deriva infatti da “Feriae Augusti, che significa “riposo di Augusto”, in onore di una festività istituita dall’imperatore Augusto nell’8 a.C., la quale si associava agli antichi riti pagani della fine dei principali lavori agricoli. Durante questo periodo si organizzavano feste, banchetti, corse di cavalli, aperte perfino agli schiavi.

Come si è già visto a proposito del Natale, giorno pagano del sole invitto (cfr. articolo Il bue e l’asinello nel n. 434 di questa rivista, https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numeri-dal-26-al-68/199998---gennaio-2018/numero-434---7-gennaio-2018/il-bue-e-l-asinello), anche a questa festa pagana è stata sovrapposta una festa religiosa per far dimenticare la prima. Ma qui l’iniziale timbro pagano rimane ancora oggi più evidente rispetto al Natale. Si pensi solo a Siena e al Palio dell’Assunta: la parola “Palio” deriva dal latino pallium, il drappo di stoffa che veniva consegnato come premio ai vincitori, appunto, delle corse di cavalli nell'Antica Roma. E sono certo che, ancora oggi, i più pensano a Ferragosto come giorno di pic-nic e di relax. Non credo, proprio, che il dogma dell’Assunzione abbia soddisfatto le aspettative del papa che l’ha pronunciato con l’auspicio che è “da sperare che tutti i cristiani siano stimolati da una maggiore devozione verso la Madre celeste”. Io credo che, al contrario, più si cerca di divinizzare questa donna più la si allontana da noi poveri umani, e quindi non penso proprio che un nuovo dogma abbia apportato maggior devozione.

Comunque, il 1° novembre 1950, con la costituzione apostolica Munificentissimus Deus, Papa Pio XII fece la solenne proclamazione: “Pertanto, dopo avere innalzato ancora a Dio supplici istanze, e avere invocato la luce dello Spirito di Verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria vergine la sua speciale benevolenza a onore del suo Figlio, Re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre e a gioia ed esultanza di tutta la chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo.

Perciò, se alcuno, che Dio non voglia, osasse negare o porre in dubbio volontariamente ciò che da Noi è stato definito, sappia che è venuto meno alla fede divina e cattolica”.

Che sia venuto meno alla fede divina, lo dubito, perché bisogna ben capirsi su cosa s’intende per fede (cfr. l’articolo Cosa è la fede, al n. 498 di questo giornale, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-498---31-marzo-2019/cosa-e-la-fede). Che sia venuto meno alla fede cattolica è vero solo se per fede s’intende un credere nei contenuti dottrinali, basato sull’autorità di chi parla (il magistero della Chiesa), a prescindere dal contenuto affermato. Ricordo in proposito che né i protestanti né gli ortodossi credono al dogma, pur essendo cristiani. Ricordo anche come il Vangelo di Giovanni racconti del cieco guarito di sabato da Gesù: avendo egli accettato la guarigione (cioè finalmente si accorge di vedere quello che prima non vedeva) viene cacciato dalla Chiesa (Gv 9, 34) di allora, viene cioè scomunicato essendo venuto meno alla fede divina (perché la dottrina allora insegnata dal magistero proibiva di guarire gli ammalati di sabato). Ma a questo punto non si può far meno di notare quanto evidenziato dal prof. José Castillo: esattamente quando il cieco rompe con la religione e la religione rompe con lui, in quel momento e in simile situazione, il cieco guarito s’incontra con Gesù, si prostra davanti a lui e rende l’affermazione fondamentale di fede: “Credo, Signore” (Gv 9, 38). Il che significa che, se il Vangelo ci sta dicendo la verità, siamo davanti a una conclusione tremenda: la fede in Gesù e nel suo Vangelo è possibile e autentica solo quando uno si comporta in maniera tale da vedersi rifiutato e scomunicato dalla religione. C’è materia su cui meditare.

Ma torniamo alla Costituzione Apostolica dove c’è una parte in cui il papa dà una motivazione, spiegando le ragioni di questo nuovo dogma, e lo fa affermando che sul punto vi è stata unanime concordia fra i vescovi e che la decisione è fondata “sulla sacra Scrittura, insita profondamente nell’animo dei fedeli, confermata dal culto ecclesiastico fin dai tempi remotissimi, sommamente consona con altre verità rivelate, splendidamente illustrata e spiegata dallo studio della scienza e sapienza dei teologi”.

Tutto qui per dimostrare che si tratta di rivelazione di Dio? Tutto qui! Certo il dogma, come ogni dogma, può dare l’impressione di svolgere una funzione stabilizzante per fedeli, i quali preferiscono credere in una dottrina chiara ed eterna capace (se solo si crede) di spazzare tutti i dubbi, stante la convinzione che questa verità sia stata infusa da una forza superiore sovrumana.

Ma a ben guardare, a parte la pomposità probabilmente da attribuire all’epoca in cui la formula dogmatica è stata pronunciata, quello che colpisce è la disarmante pochezza delle fonti a sostegno del dogma, come subito appare dalla generica e fumosa indicazione contenuta nella parte motiva della costituzione papale: si parla di un’antica tradizione che suffraga le Scritture, una sintonia con altre verità già rivelate, una concordanza con scienza e studio dei teologi. In poche parole: una grande cortina di fumo che non dice niente.

È piuttosto curioso notare come altri papi – dopo Pio XII, – evidentemente non proprio a loro agio col dogma, abbiano dovuto tornare sullo stesso per limarlo e renderlo più accettabile: Papa Giovanni Paolo II (udienza generale del 25.6.1997, reperibile in http://wwww.mariedenazareth.com) ha per primo parlato espressamente della morte di Maria, visto che il dogma parla fumosamente di ‘termine della vita terrena’. In precedenza, effettivamente non si osava parlare di morte: si parlava solo di “Assunzione” (in occidente, o di “Dormizione” in oriente), facendo intendere che Maria avrebbe continuato a vivere, con il suo corpo risorto, nel paradiso, accanto a Gesù senza essere passata attraverso la porta della morte. Ma immaginare il ‘termine della vita terrena’ senza la morte è oggi piuttosto difficile, così come immaginare l’inizio della vita terrena senza la nascita: non ci è riuscito neanche Gesù, che è dovuto nascere e morire come tutti gli uomini.

Un evidente autogol è stato poi tirare in ballo la scienza, che – come si sa - è del tutto refrattaria ai dogmi. All’assunzione di Maria in cielo si poteva credere più facilmente da parte della gente nei secoli passati, in base alla cosmologia di allora, e questa convinzione poteva essere rafforzata dal fatto che non si era mai trovata la sua tomba, che invece oggi si comincia a pensare di aver forse trovato a Gerusalemme, nel Getsemani. Comunque oggi, l’immagine di questo corpo richiamato verso l’alto, nel cielo, non può essere accettato dalla cultura corrente proprio in base alle conoscenze scientifiche. Nell’antichità, per andare in cielo, bastava salire in cielo (pensiamo solo al nostro Credo, risalente al IV secolo: “Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo”). Ascendere vuol dire appunto dirigersi dal basso verso l’alto. Ma quando Copernico e Galileo misero in dubbio il cielo a più piani, al di sopra della terra, la cosa si complicò. L’ascensione non era più possibile (così il vescovo Spong J.S.). Il problema, allora, è che l’idea del corpo che sale direttamente in cielo, accettabile con la cosmologia di allora (discorso analogo va fatto per l’ascensione di Gesù in At 1, 9-10), è oggi scientificamente inaccettabile proprio perché la scienza ci spiega che solo i razzi capaci di superare la forza di gravità salgono in cielo, ed immaginare l’ascensione di Gesù o di Maria come l’ascesa di un razzo è oggi un’immagine risibile. Sempre la scienza ci spiega che nei cieli non c’è niente di diverso da quello che c’è presso di noi (cfr. Il Dio del teismo è morto, nel n. 461 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-461---15-luglio-2018/il-dio-del-teismo-e-morto), e comunque, dietro alle nuvole dov’era sparito Gesù ascendendo, non c’è il paradiso posizionato dall’antica cosmologia nel terzo cielo sopra di noi. Oggi sappiamo anche che nessun corpo può viaggiare a una velocità superiore a quella della luce: quindi dopo duemila anni di viaggio, il corpo di Maria si troverebbe ancora all’interno della nostra galassia, che ha un diametro di circa 100.000 anni luce, mentre l’universo intero misura qualcosa come 13 miliardi di anni luce. Come si è detto in altra occasione, gli antichi vedevano nel cielo il simbolo adeguato del Dio che abita nei cieli. A noi non è più permesso pensare così. Noi siamo costretti, in base ai progressi effettuati nella conoscenza dell’universo, a ragionare secondo quanto la scienza ci ha fatto conoscere, e non possiamo pensare a questa povera Maria che vaga per miliardi di anni nello spazio. Se un domani sarà possibile viaggiare a velocità superiore a quella della luce, si potrà riparlare della questione da un altro angolo visuale; oggi, nella nostra cultura, è impossibile fare un discorso serio ancorandoci alla cosmologia di Tolomeo.

In effetti, Papa Benedetto XVI (festa dell’Assunzione del 15.8.2012 a Castel Gandolfo) è dovuto anche lui intervenire e limare il dogma, accantonando del tutto la scienza e dicendo che non si deve immaginare che la Madonna sia finita su una galassia, ma solo che è accanto a Dio. Quindi, da una parte questo papa riconosce che deve essere abbandonata la cosmologia del passato, ma dall’altra che la scienza, che secondo Pio XII confermava appieno il dogma, non può proprio essere utilizzata, perché mai la scienza potrà confermare che qualcuno si trova accanto a Dio, essendo scontato che la scienza non può dimostrare né che Dio esiste, né che non esiste (cfr. la dichiarazioni dell’astronoma atea Margherita Hack, in Di Piazza P., Compagni di strada, ed. Laterza, Roma-Bari, 2014, 8). Certamente la scienza ha smentito che Dio si trova al settimo cielo sopra di noi. 

Parlare poi di convinzione “insita profondamente nell'animo dei fedeli, confermata dal culto ecclesiastico fin dai tempi remotissimi, sommamente consona con altre verità rivelate” (quali?) è formula piuttosto nebulosa, che probabilmente può sintetizzarsi con una sola parola: Tradizione. Si è però già visto nell’articolo sulla Tradizione (al n. 463 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-463---29-luglio-2018/la-tradizione) come questo termine significhi solo che una proposizione è antica, ma non dimostra affatto che sia garanzia di verità. Di più: si è detto che nella Tradizione, al contrario che nel dogma, possono coesistere significati diversi; la Tradizione può cioè anche progredire (Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione del 18.11.1965 – Dei Verbum §8) e quindi modificarsi, al contrario del dogma; ma ricordiamoci anche che Gesù stesso aveva ammonito che la Tradizione poteva perfino falsificare la volontà di Dio.

Poi, proclamare un dogma a furor di popolo sembra piuttosto azzardato: anche Barabba era stato preferito a Gesù a furor di popolo (Mt 27, 15 ss). E che senso ha dire che una credenza è insita profondamente nell’animo del popolo? Nell’antichità era insita profondamente nell’animo del popolo l’idea che il sole girasse attorno alla terra e che il mondo fosse popolato di spiriti. Come ho già scritto nell’articolo Demoni e diavoli (al n. 476 di questo giornale, https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-476---28-ottobre-2018/demoni-e-diavoli) oggi noi ci consideriamo civili ed evoluti, eppure non ci siamo ancora del tutto liberati da queste antiche credenze e sbagliamo se pensiamo che streghe, malefici, spiriti impuri siano stati ricacciati nelle tenebre fin dai tempi dell’Illuminismo più di due secoli fa. L’immaginario del mondo rurale è stato di tale lunga durata, e talmente profondamente inserito nell’animo del popolo, da passare indenne attraverso il tempo. Ma restando all’oggi, pensiamo a come il popolo non sia scalfito dai dati ufficiali: ciò che conta è la percezione della gente, e pazienza se la verità è diversa. Per fare un esempio concreto: oggi la gente si sente molto più insicura di trent’anni fa. Eppure se si consultano le statistiche Istat e della polizia di Stato, si scoprirebbe, ad es., che nel 2017 in Italia ci sono stati 357 omicidi (compresi i femminicidi), pari a 0,59 ogni 100.000 abitanti (abbiamo i valori fra i più bassi nel mondo), mentre nel 1991 ci sono stati ben 1901 omicidi, pari a 3,4 ogni 100.000 abitanti. Dunque, basarsi su quello che crede la gente, per quanto queste credenze siano “profonde”, non è di certo garanzia di verità.

Si è poi già spiegato nell’articolo Gesù non è il Verbo (al n. 447 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numeriarchiviati2/numeri-dal-26-al-68/1999992---aprile-2018/numero-447---8-aprile-2018/gesu-non-e-il-verbo) come Dio non può aver madre, per cui Maria può essere chiamata Madre di Dio solo in base alla comunicazione degli idiomi. E al n. 433 di questo giornale si è anche detto (https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numeri-dal-26-al-68/199997---dicembre-2017/numero-433---31-dicembre-2017/la-verginita-della-madonna) in che termini attuali può essere intesa la perenne verginità della Madonna, che è stata una donna in carne e ossa come noi, mentre noi cattolici l’abbiamo divinizzata.

La differenza rimarcata dal dogma è che noi, prima di passare alla nuova forma di vita, moriamo, mentre Maria sembrava non essere morta. Ma dopo che Papa Giovanni Paolo II ha affermato che anche lei è morta, non c’è più neanche questa differenza.

Pertanto, parlare oggi di Assunzione della Madonna può significare solo una cosa: che Maria è giunta alla forma definitiva di esistenza, cosa che però dovrà succedere anche a noi visto che anche noi dovremmo passare a una nuova forma di vita (cfr. articolo Resurrezione non è un fatto storico? al n. 501 di questo giornale, https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa500/numero-501---21-aprile-2019/la-resurrezione-e-un-fatto-storico). Il problema è che nessuno di noi (neanche Papa Pio XII) sa qual è questa forma definitiva perché fa parte della trascendenza (cfr. quanto detto nell’articolo Immanente e trascendente al n. 494 di questo giornale, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-494---3-marzo-2019/immanente-e-trascendente). Perciò qui la scienza – né la sapienza dei teologi, né le altre verità rivelate - proprio non possono essere d’aiuto. Calza a proposito il paragone col feto, che pur vivendo a pochi centimetri dall’aria e dal mondo, non è in grado di immaginare il mondo esterno non avendo gli strumenti per farlo. Lo saprà solo quando avrà attraversato la porta della nascita. E allora neanche noi, prima di aver attraversato la porta della morte, possiamo immaginare come sarà la vita futura, perché si entra nell’ambito trascendente, mentre noi possiamo avere conoscenza solo di ciò che esiste nell’ambito immanente, al di qua della porta della morte. Pertanto non possiamo neanche affermare che saremo vicini a Dio in anima e corpo. Tanto più che il dualismo anima e corpo è un concetto che abbiamo ereditato dalla cultura greca, ma che non vale e non viene accettato neanche da tutte le altre culture nel nostro stesso mondo immanente.

Quando si parla di assunzione o di ascensione ci si pone sul piano trascendente del divino, vale a dire nell’ambito propriamente di Dio. Ma in tal modo con ogni parola che si dice in più, si finisce subito nella contraddizione che consiste nel tentare di conoscere il trascendente (l’ambito sconosciuto di Dio) partendo dall’immanente (l’ambito umano, l’unico che possiamo conoscere). Evidente che dal conosciuto (l’umano) non si potrà mai arrivare a conoscere l’inconoscibile (il divino).

Per renderci conto di quanto sia reale questa incomunicabilità fra piano trascendente e immanente, basterà una sola domandina per mettere in crisi tutto questa proclamazione fatta con l’ “autorità dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra” (come se Papa Pio XII avesse potuto parlare al telefono con Pietro e Paolo già nell’al di là): siccome Maria è sopravvissuta svariati anni a Gesù, e quindi era ormai vecchia quando ha raggiunto il figlio in cielo, anche il suo corpo era ormai vecchio, con l’artrosi e gli acciacchi tipici dell’età avanzata; allora il suo corpo assunto era quello di Maria vecchia oppure è tornata, per grazia ulteriore che su di lei sembrano essere state profuse a iosa, giovane e scattante come quando da adolescente aveva partorito Gesù? Questo, il dogma non l’ha detto e non è capace di chiarircelo, mentre ce lo avrebbero dovuto chiarire, visto che chi proclama un dogma dice di sapere già tutto.

Si sostiene poi che l’assunzione in cielo sarebbe stata confermata dalla stessa Madonna a un veggente, tale Cornacchiola (e la Chiesa ha riconosciuto le apparizioni ufficialmente), tre anni prima del dogma (Cammilleri R., Le lacrime di Maria, ed. Mondadori, Milano, 2013, 107). È chiaro che tre anni prima già si parlava del problema. Più credibile sarebbe stato affermarlo 1900 anni prima, magari in base a testimonianze tratte da precisi passi delle Scritture, che invece mancano del tutto, visto che nessun passo specifico è richiamato nella ‘motivazione’ del dogma.

Ci si deve allora domandare: che prova esiste per dimostrare che la proposizione di fede è garantita dallo Spirito santo e non dal sig. Cornacchiola? Visto che il dogma non ha riscontro nelle Scritture, come si garantisce la sua verità?

Non si può sottovalutare, infatti, un altro elemento fondamentale: il Nuovo Testamento non spende una parola sul punto. Che Maria sia stata assunta in cielo senza essere sepolta, ce lo dicono alcuni vangeli apocrifi (ad es., pseudo Giuseppe di Arimatea XII, XVI, XIX, in Vangeli apocrifi, ed. Giunti Demetra, Firenze, 2006, 181 ss.), ma non quelli canonici. Neanche il magistero cattolico, dunque, il quale segue il dogma secondo cui la Vergine Maria venne trasportata, anima e corpo, in Cielo senza dover attendere la fine terrena come gli altri mortali (venne cioè "assunta", ricevuta, in Cielo), sfugge al fascino degli apocrifi, che però formalmente rifiuta. Proprio la Chiesa ha sempre sostenuto che gli scritti apocrifi non si possono utilizzare.

Nel IV secolo, un Padre della Chiesa, Epifanio di Salamina scrisse, mi sembra molto più lucidamente di Papa Pio XII, che tre erano le possibilità sulla fine di Maria:

1) non era morta ma era stata trasferita da Dio in un posto migliore (e questa è la tesi accolta col dogma);

2) era morta martire;

3) era morta di morte naturale.

La triplice possibilità in astratto appare ineccepibile ancora oggi, anche se solo la prima è miracolosa. Epifanio, con lucida e piena razionalità, non fece alcuna scelta, affermando che non c’erano elementi affidabili per poter affermare quale delle tre fosse stata veramente la sua fine. Nel corso dei secoli non si sono poi aggiunti altri elementi per poter cambiare idea ed effettuare questa scelta. Infatti ancora oggi, la Catholic Encyclopedia ripete sul punto: “A proposito del giorno, anno e del modo della morte della Nostra Signora, nulla di certo è noto. [...] La fede cattolica, comunque, ha sempre derivato la nostra conoscenza del mistero dalla Tradizione.

Epifanio (morto nel 403) riconosceva di non sapere nulla di certo a proposito [...] La credenza nell'assunzione corporea di Maria si basa sul trattato apocrifo De Obitu S. Dominae, che porta il nome di san Giovanni, ma che risale invece al IV o V secolo. Si trova anche nel libro De Transitu Virginis, falsamente attribuito a san Melitone di Sardi [...]. Se consultiamo le opere autentiche dell'Oriente, è menzionata nei sermoni di sant'Andrea di Creta, san Giovanni Damasceno, san Modesto di Gerusalemme e altri. In Occidente, san Gregorio di Tours (De gloria mart., I, IV) la menziona per prima. I sermoni di san Girolamo e sant'Agostino su questa festa, invece, sono spuri”.

Insomma, fino al VII secolo non c’erano prove autentiche e autorevoli che testimoniassero questo evento, e comunque siamo ai tempi in cui imperava la cosmologia di Tolomeo. Quindi, anche dire che il dogma si fonda su una decisione splendidamente illustrata e spiegata dallo studio e sapienza dei teologi, appare piuttosto azzardato.

Infine, concludere decisamente per la prima delle tre possibilità evidenziate da Epifanio, in mancanza di precisi riferimenti tratti dalle Scritture, solo perché la Madonna – a furor di popolo - doveva aver fatto necessariamente una fine gloriosa, dimentica forse un altro dato fondamentale: che lo stesso Gesù non aveva poi fatto una fine tanto gloriosa.

 

Dario Culot