Rodafà 500, ovvero del resistere in tempi di antipapi

Disegno di Rodafà Sosteno

Scrive Claudio Magris – da pochi giorni ottantenne -, in Danubio, allorché riflette su Mauthausen (al n. 6 di “Nella Wachau”): Il protocollo dell’interrogazione di Eichmann è un documento estremo di una parcellizzazione dell’esistenza, della persona e del suo agire, che abolisce responsabilità e creatività. Eichmann non uccide, provvede al convoglio e al trasporto di coloro che devono essere uccisi; la responsabilità sembra non coinvolgere nessuno – perché ognuno, anche ad altissimo grado, è solo anello di una catena di trasmissione di ordini – o tutti, ad esempio pure le organizzazioni ebraiche, che i nazisti costringono a collaborare e a scegliere gli ebrei da deportare. Su questi scalini, il singolo si sente uno dei grandi numeri macinati dallo Spirito del Mondo che evidentemente dà segni di squilibrio mentale, uno di quei numeri di matricola che l’ufficio competente del Lager incideva sul braccio dei detenuti. Ma su questi gradini l’individuo ha saputo anche rendersi unico e incancellabile, più grande di Ettore sotto le mura di Troia. Quella giovane donna che, sulla soglia delle camere a gas di Auschwitz, si volta verso Hoss e gli dice, sprezzante – com’egli racconta – che non ha voluto farsi selezionare, come avrebbe potuto, per seguire i bambini che le erano affidati, e poi entra sicura con loro nella morte, è la prova dell’incredibile resistenza che l’individuo può opporre a ciò che minaccia di annientare la sua dignità, il suo significato. Nei vari Lager e anche su questa scala di Mauthausen sono avvenute tante di queste gesta, di queste Termopili che fermano la marea dell’abiezione.

Iniziare in modo simile le poche righe di presentazione di questo nostro numero 500 può sembrare forse inopportuno, fastidioso, scentrato, perché l’occasione è di festa e non di afflizione.

Però la vita non è fatta così: non ci sono zone preservate dal dolore, dallo strazio, ed altre invece deputate alla sofferenza; questa sarebbe appunto la parcellizzazione dell’esistenza di cui parla il nostro grande professore, triestino e torinese.

A pochi chilometri dal computer che digita queste lettere sorge la Risiera di San Sabba, unico lager funzionante in Italia, alla prima periferia della città di Trieste.

Le “periferie esistenziali” sono espressione che sembra un po’ decaduta nella letteratura pastorale ed ecclesiale ma la sua evocazione è potente: la dimensione periferica è parte di noi stessi, l’oscurità avvolge anche le nostre presunte chiarezze interiori. Il Male, che esiste - fuor di dubbio -, non abita regioni metafisiche più o meno inaccessibili ma è il volto del Potere che si autoalimenta, il volto abbastanza mostruoso del contro-amore, del paludamento dell’amore con abiti di sfarzo culturale, dottrinale, ideologico, religioso.

La Domenica delle Palme – domenica di Passione -, in cui esce questo numero 500 de “Il giornale di Rodafà”, trasmette esattamente tale sensazione di tragedia: non semplicemente l’equivoco del Potere, un “Osanna” mistificatorio ed un plauso che porterà alla condanna a morte dell’applaudito, ma la trama dell’Oscuro che deresponsabilizza dalla cura per l’altro, che afferma essere peccato di orizzontalismo il volgersi a chi ha fame invece che a chi offra grani di incenso da bruciare sugli altari.

Oggi è il numero 500 di Rodafà. Il 2 maggio saranno 10 anni di questo nostro giornale.

Festeggeremo entrambi gli “eventi” assieme ad ottobre prossimo, nei giorni di giovedì 10, venerdì 11 e sabato 12, proprio nella settimana che si chiude con la Regata Barcolana, in un incontro aperto a tutti dal titolo “Fare memoria: l’amore, la legge”. La tregiorni si terrà presso la Sala della Chiesa Evangelica Metodista di Trieste. Ne avremo modo di parlare, con maggiori dettagli e precisazioni.

In quest’ultimo anno, da “Il giornale di Rodafà” sono gemmate, per così dire, due nuove concrete realtà: un luogo fisico, la Casa di Rodafà, e un’associazione culturale, “Casa Alta”.

Su questo numero, con orgoglio ed emozione, ma anche con senso di soggezione e di intensa ammirazione, pubblichiamo un lavoro teatrale inedito di Sara Alzetta, vicepresidente di Casa Alta e celebre attrice, in occasione dei 300 anni dalla proclamazione del Porto Franco di Trieste e dei 250 dall’apertura del Canale di Suez che ebbe enorme importanza per la storia della nostra città.

La presenza del Prof. Renzo Stefano Crivelli, massimo conoscitore ed esperto di James Joyce e straordinario maestro dell’opera di Italo Svevo, si appalesa in questo numero con un suo contributo, di cui gli siamo infinitamente grati, proprio sulla congiunta presenza dei due geni della letteratura, che tutt’altro che sopravvalutata – come si sente talora affermare – è invece indispensabile per provare a comprendere davvero Trieste ed il suo indicibile dirsi.

Tre teologi intervengono su questo numero con le loro specifiche competenze ma anche con la loro tipica passione: Massimo Faggioli, Andrea Grillo e Letizia Tomassone, mia docente di teologie femministe e di genere presso la Facoltà Valdese a Roma. Il grazie che esprimo a loro è un grazie profondo e non di circostanza, per un motivo particolare che subito dico. Ma prima di tutto per l’amicizia che ci lega, bella e vera.

Il numero 200 di questo giornale, su cui scrisse il compianto grande storico della Chiesa Giovanni Miccoli, usciva nei giorni delle dimissioni di Benedetto XVI e del successivo Conclave. Questo numero 500 – trecento numeri dopo (non sono proprio pochissimi) – se deve guardare ai fatti di Chiesa, ed in particolare di Chiesa Cattolica, deve constatare che siamo ancora lì, a quegli eventi, a quei giorni. Con una sottolineatura temuta al tempo ed ora concretizzatasi: la duplicità di figure biancovestite dentro il Vaticano non ha portato alla fioritura di una nuova simbolica non più monocentrica, ma ha concentrato, anzi, proprio nell’ormai dimessosi – e dunque  ex – papa una somma di attese e di frustrazioni teologiche che contraddicono sia il Concilio (quello Vaticano II che per almeno due generazioni veniva indicato come “il” concilio per antonomasia”) sia le linee magisteriali del papa attuale che porta il nome inaudito di Francesco.

Nel mezzo il groviglio della questione degli abusi, delle donne, della soggettività come elaborata dalla cultura moderna e postmoderna.

Gli strali contro il ’68 della lettera di Joseph Ratzinger di solo pochi giorni fa si illudono di affossare uno sviluppo del pensiero teologico che è semplicemente inarrestabile perché, per chi crede – pudicamente -, l’amore e lo Spirito non possono essere fermati e impediti.

Scrive così di Heidegger il filosofo Emiliano Bazzanella su questo nostro numero 500.

Scrive una lettera appassionata a noi tutti il sociologo Pietro Piro.

Dario Culot offre i suoi due contributi con la solita capacità di rigoroso approfondimento e di lucida serenità.

Ben quattro poeti danno a Rodafà gli strumenti per vivere la liturgia del quotidiano: Stefano Agnelli, di cui mi onora la confidenza reciproca e il volersi bene anche a distanza, Domenico Petraroli con la sua squisita sensibilità partenopeo-ambrosiana, Stefano Talamini, con cui ci uniscono medesime origini zoldane e medesime frequentazioni triestine di un ultimo piano in Via Economo 5 a Trieste, dove visse mia nonna sino alla morte, e Gabriele Via, amico dolce che ci pensa sempre da Bologna.

Diciamolo chiaramente: senza i poeti, siamo tutti morti.

William Bagnariol dà una lettura, cui totalmente aderisce la nostra linea redazionale, delle assai problematiche dinamiche tra ragioni della maggioranza e quella della minoranza.

Silvano Magnelli si inserisce pure in una partecipata riflessione sull’attualità del nostro Paese e Antonio Sodaro con Sara Sodaro si danno la mano a fare il girotondo tra nonno e nipotina – il primo ottantenne a giorni, la seconda dodicenne pure a giorni -.

Il pensiero conclusivo ci, mi, viene dal confronto con una cara amica alla luce dei fatti vaticani di questi giorni: condannare ciò che si è in nome di qualcosa che si ama porta allo σπαραγμός greco (sparagmòs), a quel dilaniamento esistenziale che azzera la sorpresa della vita e vanifica il mistero del rito, della liturgia, dei tanti riti e delle tante liturgie che sono in realtà preziosa trama del nostro stare al mondo quando risultano prive di ipocrisia, violenza, alienazione.

Sino al 9 ottobre 2019, giorno di uscita del numero 525, ci proponiamo di continuare a festeggiare l’uscita odierna del Giornale di Rodafà con chiunque voglia far ascoltare la sua voce: siamo pronti, pronte, desideriamo farlo, non chiediamo altro.

Buona Domenica delle Palme.

Buona Settimana Santa, tra profumi di oli, gesti scandalosi di Cristi che si buttano a baciare piedi (imitati in modo sempre pure assai scandaloso da incredibili Suoi Vicari), sorprese di una vita assassinata che ama ancora.

Buon numero 500, mio tenero Rodafà, ti conosco bene, sei fatto così.

A presto,

Stefano Sodaro