Che cos’è la spiritualità

Tempio baha’i di Nuova Delhi - foto di Dario Culot

Come ha affermato il cardinale Etchegaray, ex presidente della Pontificia commissione Justitia et Pax, e come, dopo di lui, ha sostenuto la Commissione Teologica Internazionale: “la purezza della religione e della giustizia viene da Gesù Cristo e solo in lui si trova la Verità” (“Famiglia Cristiana”, n. 44/2011, 37 e il Documento “Dio Trinità” della Commissione Teologica Internazionale, pubblicato nel 2014, in http://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_index-doc-pubbl_it.html); col che non si dice, ma è sottinteso, che all’infuori di Gesù Cristo c’è solo impurità, ingiustizia e falsità. Simile impostazione pone ovviamente seri problemi al dialogo interreligioso; anzi questo è probabilmente uno dei motivi principali per cui il dialogo resta fermo, girando sostanzialmente a vuoto. Esortare al dialogo quando non si tollera alcun dialogo, perché ci si considera già in possesso della Verità assoluta, è sicuramente una grave colpa della Chiesa ufficiale.

In realtà, oggi, con la circolazione delle informazioni e delle persone da un Paese all’altro, davanti a una nuova e ancora non digerita mescolanza di culture con cui si deve ormai convivere (cosa che non esisteva fino a pochi decenni per cui neanche ci si poneva il problema) appare difficile negare a tutti gli altri la possibilità di conoscenza di Dio indipendentemente dalla rivelazione evangelica. Come dubitare - si chiede il teologo Carlo Molari (Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 155),-  che l’azione di Dio sia più vasta di quella della Chiesa cattolica, senza che nessuna spiritualità possa pretendere di esaurire la perfezione umana? La Chiesa cattolica (e cattolico vuol dire universale, ma dai tempi delle scissioni non è più universale, per cui cattolico è oggi sinonimo di Chiesa romana) vuole modellare tutto il mondo secondo un unico criterio: il suo. Ma come ha detto non ricordo quale filosofo, il mondo è un vaso spirituale che non può essere modellato; chi cerca di modellarlo lo distrugge.

Oggi non basta certamente dire che chi non è cattolico crede automaticamente in uno dei tanti falsi idoli (nel Dio sbagliato o, peggio, nel denaro o nel potere), mentre solo il cattolico osservante crede nell’unico vero Dio. Ogni ebreo, ogni musulmano e ogni cristiano è sicuro di credere nell’unico vero Dio, che dovrebbe essere quindi lo stesso Assoluto trascendente per tutte e tre le fedi, ma neanche su questo “unico” c’è grande accordo.

In realtà non c’è nulla di più sconosciuto di Dio, per quanto si sia scritto o si sia discusso su questa parola, sul suo contenuto e sul suo significato.

Come ha osservato il giornalista Flores D’Arcais: in quale Dio unico crediamo? Il Dio cristiano dei valdesi – compassionevole – che riconosce in certi casi ai suoi figli il diritto all’eutanasia? Quello di Ratzinger – gelido – che tale diritto nega sempre? Quello di Küng (cristiano cattolico come Ratzinger) che di nuovo lo consente in certi casi? Il Dio dei Testimoni di Geova, che proibisce ogni trasfusione di sangue anche a costo della propria vita? Il Dio che parla al profeta Mohammed dicendogli: “ti ho mandato solo per misericordia” (Corano, XXI, 107, sura dei profeti), sì che la misericordia è l’unica ragione d’essere della missione profetica di Maometto, al che si collega l’ulteriore insegnamento "Non vi sia costrizione alcuna per la religione" (Corano II, 257, sura della vacca), oppure il Dio – sempre lo stesso Allah, però, - che impone di uccidere i politeisti e di combattere quelli che non credono in Lui (Corano, IX, 5.29, sura del pentimento)? O ancor peggio il Dio di altri musulmani d’Africa (sempre lo stesso, però, perché unico), il quale esige mutilazioni sessuali per le bambine, come l’infibulazione?

È evidente – per dirla con un altro giornalista (Camon F., I passi indietro degli italiani, “Il Piccolo”, 3.8.2010, 1.) - che qui, ogni Dio è inconciliabile con l’altro; peggio uno scomunica l’altro.

Anche san Paolo, nella sua vita, ha sempre creduto in Dio, per cui è sempre stato un credente. Però dapprima aveva seguito con passione il Dio padre di Abramo, e per compiacere questo Dio della Torah si era dato un gran da fare per ammazzare più cristiani che poteva; poi è subentrata la passione per lo stesso Dio padre di Abramo, inteso questa volta come Amore. Allora è evidente che non basta neanche essere appassionati di Dio per essere veri credenti, mentre è altrettanto indubbio che, a seconda del Dio in cui uno crede, cambia la religione che uno pratica (Castillo J.M.).

Superfluo aggiungere che, di fronte a queste plurime immagini di Dio, anche la battaglia sulle radici cristiane nella Costituzione europea, se avesse trovato spazio nel suo preambolo, avrebbe permesso alla Chiesa cattolica di impugnare per incostituzionalità le leggi sul divorzio o contro l’aborto, ai testimoni di Geova quelle sulle trasfusioni di sangue, eccetera, creando così nuove divisioni anziché unione. 

È scontato che, per difendere l’immagine immanente che ci siamo fatti di un Dio trascendente, e per difendere quello che noi pensiamo essere il suo onore, si cada facilmente nel fanatismo: la storia ci insegna che mai si odia con tanto gusto come quando si odia in nome del proprio Dio, perché ci si sente giustificati in questo odio. Dice il salmo 139, 21-22: “Quanto odio, Signore, quelli che ti odiano. Li odio con odio implacabile, li considero miei nemici”. Certo, è difficile vivere senza nemici; lo sa bene il tifo da stadio, che insegna come l’odio per il nemico (un’altra tifoseria) serva a definire la propria identità più della propria appartenenza. Ma lo stesso sta accadendo nella nostra vita quotidiana: quando si sente dire da alcuni politici che occorre difendere la nostra identità italiana dai troppi immigrati, anche qui, più che la fede o la cultura è l’idea di nemico che definisce questa identità. Questi scaltri politici hanno capito che, per ricevere voti basta additare un nemico; abbiamo bisogno di un nemico ed è molto meglio che sia esterno piuttosto che interno, altrimenti la storia sarebbe molto complessa e a dir poco dolorosa (Cristiano R., Salvini mostra il rosario per darci un’identità, “Il Fatto quotidiano”  31.5.2019).

Se poi questa strada fondamentalista (“io ho ragione e tu sei nell’errore perché non credi nel Dio in cui credo io”) arriva a sfociare nella teocrazia è una disgrazia per tutti. Ogniqualvolta nel mondo una teocrazia riesce a impossessarsi del potere politico, gli effetti sono devastanti per il semplice fatto che ogni teocrazia difende innanzitutto i diritti del Dio in cui crede; questo basta a farla diventare violenta in quanto reputa questi diritti più importanti dei diritti degli uomini. In nome di Dio non si esita ad ammazzare anche gli uomini. Anzi, mai si ammazza con tanto gusto come quando si uccide in nome del proprio Dio unico (Maggi A.). Per fare un facile esempio, si pensi oggi all’Isis. Gesù stesso l’aveva predetto: «verrà il momento in cui vi uccideranno pensando di fare cosa grata a Dio» (Gv 16, 2). Proprio per questo, anche all’interno della stessa religione, cristiani cattolici e cristiani protestanti, musulmani sciti e musulmani sunniti [1] si sono scannati per secoli con zelante fervore, tutti sempre convinti di farlo per far contento il loro unico Dio, che ovviamente stava sempre al loro fianco come alleato “contro” gli altri, i nemici. E non bastando neanche lo scontro con i sunniti, gli sciti ortodossi hanno da subito contrastato con la forza anche il movimento del dissidente Bab, martirizzato non appena è diventato troppo imbarazzante da contenere. Questa religione, sorta appena nell’800, minava il potere del clero scita, perché conteneva un netto rifiuto di ogni forma dogmatica, mirava a un forte rinnovamento morale, all’emancipazione femminile, al riscatto dei poveri, e si poneva come obiettivo centrale l’unità di tutti gli uomini, da raggiungere nel pieno rispetto della non-violenza, nel rifiuto di ogni forma di separazione razziale, religiosa, sessuale ed economica, attraverso una seria formazione, per cui insisteva molto sull’istruzione e sullo sviluppo della conoscenza. Troppo per la religione ufficiale scita che si vedeva messa in discussione. Probabilmente sarebbe stato troppo anche per la Chiesa di Roma dell’800. Per ogni religione è meglio non essere messa in discussione, è meglio non far pensare la gente. È quasi superfluo ricordare che mantenere la gente nell’ignoranza, senza farla pensare, è sempre stata una delle regole auree su cui si è sempre fondato ogni potere, anche quello religioso. Se  uno neanche sa che c’è una domanda da porsi, non pretenderà mai una risposta da chi detiene il potere, e mai penserà di ribellarsi. E la brutalità cui storicamente han fatto ricorso le religioni ogni volta che hanno visto che mediante la disobbedienza e l’insubordinazione si minava il potere dei propri capi religiosi ne è la dimostrazione. Se qualcuno avesse ancora qualche dubbio legga il libro del prof. universitario Del Col Andrea, L’inquisizione in Italia – Dal XII al XXI secolo, ed. Mondadori, Milano, 2006.

Tornando al profeta Bab, il celebre santuario a forma di fiore di loto eretto a Nuova Delhi (vedi foto di copertina), è forse il Tempio baha’i più conosciuto al mondo, essendo quello più visto almeno in fotografia. Come ogni Tempio baha’i, è aperto ai fedeli di ogni religione che intendono raccogliersi in preghiera, anche perché al suo interno non si celebrano riti di alcun tipo. Nei templi baha’i ognuno può sentirsi perciò come a casa sua, mentre fuori del Tempio si trova la vita comunitaria baha’i, che provvede ad offrire vari servizi (scolastici, sanitari, di accoglienza, ecc.). Un ulteriore esempio di come siamo ancora una volta davanti a un’ennesima immagine diversa dell’unico Dio.

Naturalmente tutte le religioni sono accomunate da una certa spiritualità, ma cosa è la spiritualità? È un concetto piuttosto vasto, che si incontra presso tutti i popoli della terra, ed è sicuramente limitativo identificarla – anche per noi cattolici,- con lo stare in chiesa, pregare, partecipare a dei riti sacri o credere esclusivamente a quell’immagine di Dio unico e trino prospettataci dalla nostra religione.

Per spiritualità, che può essere religiosa ma anche laica, intendiamo semplicemente quell’atteggiamento interiore che si basa su due princìpi:

(1) prima di tutto, la consapevolezza che nella nostra vita è in gioco una forza più grande di noi; nella vita c’è qualcosa più grande del nostro “io”; c’è una presenza che contiene ricchezze ancora non espresse, anche se per esprimerle occorrerà del tempo.

Ognuno di noi, sia ateo o credente, percepisce che al di fuori di lui esiste una forza, un’energia vitale che sostiene il mondo, sulla quale non ha nessun controllo, e della quale non può prendere possesso. Ogni maschio innamorato vorrebbe poter fare della sua donna «ciò che la primavera fa con i ciliegi», per usare le parole del poeta Pablo Neruda, ma normalmente si rende conto di non avere in lui la forza per farlo. Al contrario, anche se tutti possiamo metterci di lena a tagliare materialmente i boccioli, nessuno può comunque impedire che esploda la primavera. Resta chiaro, allora, che, se questa forza non la si può né vedere né toccare, non la si può né contare, né misurare, né comandare ci troviamo al di fuori di quella che chiamiamo “materia”, ci troviamo davanti a un mistero: siamo nell’ambito spirituale, così chiamato proprio per distinguerlo dal campo materiale, visto che non risponde alle regole proprie della materia. Che poi questa forza invisibile la si voglia chiamare Natura, Energia vitale o Dio non ha grande importanza.

(2) In secondo luogo, si coglie nella nozione di “spiritualità” un atteggiamento di accoglienza che richiede sintonia, un porsi sulla stessa lunghezza d’onda per ascoltare e interiorizzare questa forza, che ci attraversa a prescindere dalla nostra volontà.

Questo secondo aspetto vale per ogni campo, non solo per quello religioso, e non è certamente esclusivo della religione cattolica.

Se nella mia stanza mi concentro solo sul computer che ho davanti, non riesco a percepire i messaggi che tutti gli altri oggetti nella stanza mi stanno comunicando: c’è l’orologio che mi dice l’ora, un quadro o dei libri che cercano di trasmettermi altri messaggi; solo se pongo l’attenzione ad essi, solo se entro in sintonia con essi, riuscirò a capire cosa vogliono dirmi; se resto concentrato sul computer, neanche mi accorgo di essi. Quel libro, nella biblioteca alle mie spalle, che non ho mai letto, avrebbe forse potuto illuminarmi su una determinata questione assai meglio delle informazioni cercate su internet. Allora è sbagliato dire, a quel punto, che solo il computer è in grado di dirci qualcosa e non esistono altri messaggi all’infuori di quello. Eppure proprio questo succede alla maggior parte delle persone in Occidente, tutte prese dal vorticoso mondo materiale esteriore e impossibilitate a sintonizzarsi sul mondo spirituale.

Nella stanza dove sto scrivendo, o dove voi state leggendo, c’è una musica bellissima; perché non la sentiamo? Ci vuole uno strumento, una radio, bisogna accenderla e soprattutto sintonizzarla sulla lunghezza d’onda che trasmette la musica; altrimenti non si sente nulla.

Noi qui, nelle nostre stanze, in questo preciso momento siamo immersi – così ci dice il credente -  nell’amore di Dio. Se non lo sperimentiamo non è colpa di Dio, è colpa nostra che non abbiamo sintonizzato la nostra lunghezza d’onda d’amore con la sua lunghezza d’onda.

Dunque, la spiritualità, che richiede un’apertura della mente e del cuore, non è affatto sinonimo di religione, che spesso è solo una burocratizzazione della spiritualità. Anche il laico può essere spirituale, mentre tutte le religioni possono corrompersi strada facendo, compreso il cristianesimo, come aveva riconosciuto anche il papa emerito (Quid est veritas?, “Micromega,” n.3/2000, 221).

Un esempio di questa corruzione? Ogni chiesa cristiana (non solo quella cattolica), si è impadronita della Cena e ne ha fatto una sua proprietà esclusiva, sentendosi autorizzata a redigere una propria lista di invitati ed escludendo quelli che non giudicava degni, magari solo perché contrari alla sua spiegazione dottrinaria (Ricca P., L’Ultima Cena, anzi la Prima). Vi siete mai fermati a pensare che nella cristianità vige uno scandaloso regime di apartheid eucaristico chiaramente contrario all’esplicita volontà e preghiera di Gesù (Gv 17, 21), che però viene ancora oggi accettato come normale dalla maggioranza dei credenti? Ma come possiamo davvero pensare che Gesù sia disposto a celebrare con i cristiani di oggi tutte queste Cene separate? (Ricca P.). Se nell’ultima Cena egli ha condiviso il pane perfino con Giuda, con Pietro che di lì a poco l’avrebbe rinnegato tre volte, e con tutti gli altri che sono fuggiti a gambe levate lasciandolo solo, se solo in lui si trova la Verità anche secondo la Chiesa cattolica (come si è visto sopra, il che significa che dovremmo guardare al suo comportamento per capire cos’è la Verità), come possiamo pensare che Gesù potrebbe mai accettare di sedersi a una mensa dalla quale, in Suo nome, i cristiani escludono altri cristiani, vuoi perché peccatori, vuoi perché protestanti? Non è questa un inquinamento religioso della spiritualizzazione, perché le regole burocratiche della religione hanno preso il sopravvento?

Sono invece elementi comuni a tutte le spiritualità, anche a quelle laiche dove si parlerà di energia, di forza cosmica anziché di Dio, questa consapevolezza unita a questa accoglienza della forza universale al fine di interiorizzarla.

La spiritualità cristiana si caratterizza inoltre per un particolare, in quanto questa forza è vista come una forza di vita che, venendo da Dio, è capace di suscitare vita nelle persone. Vivere la nostra esperienza in questo orizzonte dell’amore di Dio che suscita vita, è cioè caratteristico della spiritualità cristiana, la quale dunque ha un orizzonte teologale.

Noi nasciamo centrati su noi stessi (fase narcisistica), poi ci riferiamo alle cose e agli altri come assoluti (fase idolatrica), ma alcuni arrivano a scoprire che esiste un Altro che è la sorgente della vita e della perfezione (fase della fede): quando si è consapevoli dell’azione con cui Dio ci rende vivi, e ci si abbandona con fiducia mettendo Dio al centro della nostra vita (questo del resto è il significato del primo comandamento), si è finalmente cristiani (Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 193). Custodire la fede teologale cristiana, rivelata nel vangelo, significa riporre piena fiducia in Dio, ed essa è poi capace di calare nella vita concreta principi molto astratti, tipo “siamo tutti fratelli,” sì che, ad esempio, dovrebbero essere incompatibili nella nostra vita quotidiana vangelo e xenofobia, come sentimento di rifiuto del fratello straniero anche se di un’altra religione; o vangelo e omofobia, come sentimento di rifiuto del fratello che ha un altro comportamento sessuale. Il Catechismo vede l’omosessualità come disordine morale, ma la fede non può immedesimarsi in una morale, non può far sua una morale, perché la morale non è vangelo.

Guardando al mondo d’oggi, non sembra che la religione cristiana sia riuscita a custodire questo tipo di fede. Ma non sembra sia riuscita nemmeno a custodire una fede che mostri fiducia nella vita, che dia la forza di alzarsi quando si cade, che scelga sempre il bello, il buono, tutte cose che rientravano nell’orizzonte teologale cristiano. Forse qui sta la vera ragione della crisi della religione cristiana oggi: non è riuscita a custodire la fede che diceva di professare, come ha ben ricordato il teologo Scalia Felice (Oltre la crisi delle religioni, relazione tenuta al Centro Veritas di Trieste, il 6.11.2013). Forse per questo motivo sono in molti, oggi, che guardano verso altre spiritualità.

Proprio guardando fra i buddhisti, oppure fra gli induisti, e perfino fra gli animisti, non si ha la sensazione che essi ignorino proprio tutto della vera spiritualità, né che la visione che essi hanno di Dio e di come egli si rapporta con gli uomini non abbia mai nulla da insegnarci. Una riprova si ha in questa storia che ho letto tanto tempo fa:

 

Un vecchio indiano Sioux era seduto davanti al tramonto con suo nipote.

“Nonno, perché gli uomini combattono?”

Il vecchio rispose con calma: “Ogni uomo, prima o poi, è chiamato a farlo. Per ogni uomo c’è sempre una battaglia che aspetta di essere combattuta, da vincere o da perdere. Perché lo scontro più feroce è quello che avviene fra i due lupi.”

“Quali lupi, nonno?”

“Quelli che ogni uomo porta dentro di sé.”

Il bambino non riusciva a capire. Attese che il nonno rompesse il silenzio che aveva fatto scendere fra di loro, forse proprio per accendere la sua curiosità.

Infine, il vecchio che aveva dentro di sé la saggezza del tempo, riprese con tono calmo: “Ci sono due lupi in ognuno di noi. Uno è cattivo e vive di odio, gelosia, invidia, egoismo, risentimento.”

“E l’altro?”

“L’altro è il lupo buono, che vive in pace, con compassione, amore, generosità, fede.”

Il bambino rimase a pensare un momento, e poi domandò: “Ma quale lupo vince?”

Il vecchio Sioux si girò verso di lui e guardandolo negli occhi rispose: “Quello che hai nutrito di più.”

 

Il vecchio Sioux sicuramente non conosceva il nostro Dio cattolico, ma in due minuti ha fatto una lezione di catechismo forse migliore di quella che tanti preti fanno ai nostri ragazzi nell’arco di un intero anno scolastico.

A questo punto, tutti coloro i quali beatamente annegano nella certezza che il cristianesimo sia l’unica vera religione, mentre tutte le altre spiritualità sarebbero false, dovrebbero essere in grado prima di spiegare con assoluta chiarezza: cosa induce tanti cattolici ad essere convinti che lo Spirito santo, in cui credono, sia agli arresti domiciliari all’interno della Chiesa cattolica? Se lo Spirito soffia dove vuole senza che nessuno possa dire da dove viene e dove va (Gv 3, 8), se lo spirito di Gesù è già presente dove due o tre si riuniscono in suo nome (Mt 18, 20) senza che nessuno dei due o tre debba essere un prete, come possono pensare che questo Spirito resti incatenato a doppio filo alla sola gerarchia della Chiesa? Su quale base si fonda la certezza che Dio si sia volontariamente autolimitato, obbligandosi da duemila anni circa a contattare esclusivamente la gerarchia vaticana? Da dove si ricava la certezza che Dio si sia impegnato a tacere per sempre nei confronti di tutto il resto dell’umanità, delegando in esclusiva il magistero vaticano a rappresentarlo in terra e a parlare in sua vece, in regime di pieno monopolio? Insomma, poniamoci una buona volta queste domande, perché – come diceva don Mazzolari, - dobbiamo ricordarci che quando si entra in chiesa ci si toglie il cappello, ma non la testa.

E non è stato forse proprio a causa di questa illogica convinzione che la Chiesa ha bruciato quelli che considerava eretici, e che l’istituzione religiosa ebraica uccise i profeti e uccise lo stesso Gesù, semplicemente perché ogni istituzione segue la logica tipica della religione, che in tutti i luoghi e in tutti i tempi pretende di sequestrare Dio nelle proprie categorie teologiche? E cosa significa essere profeti? Significa essere in sintonia con la presenza di Dio nell’umanità e formularla in maniera, inedita, in maniera nuova (Maggi A.). Significa essere immersi nella spiritualità.

Io penso che dovremmo tutti interrogarci a fondo su questo punto cruciale: com’è che il Gesù dei Vangeli non ha mai respinto nessuna persona anche se peccatrici e anche se di credenze religiose diverse dalle sue, mentre il Cristo della religione insegnataci dal magistero è quel giudice implacabile che respinge gli infedeli, gli eretici e i peccatori?

Se non siamo neanche in grado di capire quale Gesù dovremmo seguire, come pensiamo di poter capire Dio trascendente che, in quanto tale, non è alla portata della nostra capacita di conoscenza?

 

Dario Culot

[1] Cominciando a litigare su quale fosse stata la funzione di Alì. Le tribù arabe seguaci di Maometto, al momento della sua morte (632 d.C.), si divisero su chi avrebbe dovuto ereditare il suo ruolo (che era sia politico che religioso). La maggioranza dei suoi seguaci, che sarebbero in seguito divenuti noti come sunniti e che oggi rappresentano l’80 per cento dei musulmani, appoggiarono Abu Bakr, amico del profeta, padre della moglie Aisha e quindi suocero di Maometto. Altri ritennero che il legittimo successore andava individuato tra i consanguinei di Maometto. Sostenevano che il profeta avesse designato a succedergli Ali, suo cugino e genero, e diventarono noti come sciiti, una forma contratta dell’espressione “shiaat Ali”, i partigiani di Ali.