Crisi degli abusi e nuovo assetto dei rapporti tra Stato e Chiesa - Massimo Faggioli

Portone di Bronzo, Palazzo Apostolico, Città del Vaticano - foto del direttore

Crisi degli abusi e nuovo assetto dei rapporti tra Stato e Chiesa

di Massimo Faggioli

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(traduzione autorizzata dall’autore del testo presente in https://www.abc.net.au/religion/church-and-state-after-the-conviction-of-cardinal-george-pell/10853280 del 27.02.2019)

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Il verdetto di colpevolezza reso pubblico il 26 Febbraio 2019 nei confronti del cardinale George Pell rappresenta un precedente unico nella storia dei rapporti tra Chiesta cattolica e Stato moderno: un cardinale, uno dei membri scelti della Chiesa con il diritto di eleggere il papa, è stato condannato per abusi sessuali contro minori da un tribunale laico.

Si tratta di un caso molto differente da quello di Theodore McCarrick, la cui perdita dello stato clericale è stata annunciata dal Vaticano solo pochi giorni prima, il 16 febbraio; McCarrick, che è stato espulso dal Collegio dei cardinali per volontà di Papa Francesco nel luglio del 2018, è stato riconosciuto colpevole in esito a un processo canonico innanzi alla Congregazione per la dottrina della fede che ha sede in Vaticano e non ha mai dovuto affrontare la giustizia laica.

La condanna del cardinale Pell è un evento disastroso per la Chiesa cattolica, non solo in Australia, ma globalmente, e richiede di essere contestualizzata.

Sin dal termine del 2017, la Chiesa è entrata in una nuova fase e sta affrontando le conseguenze degli abusi sessuali commessi dal clero: un annus horribilis che non vuole finire. Ciò che ha inaugurato questa nuova fase sono state le ondate di rivelazioni in vari Paesi che hanno di fatto chiamato in causa la personale responsabilità e le decisioni degli ultimi tre papi – Giovanni Paolo II e Benedetto XVI con riguardo a McCarrick, Francesco con riguardo al Cile.

L’Australia sta giocando un ruolo particolarmente importante in questa nuova fase, a cominciare dall’ultimo rapporto della Royal Commission into Institutional Responses to Child Sex Abuse nel dicembre del 2017 e la risposta della Chiesa cattolica australiana (compresi sia i vescovi che gli ordini religiosi) alle raccomandazioni della Royal Commission nel dicembre 2018.

Poche figure hanno un ruolo di particolare rilievo in questa nuova fase e l’Australia ha in essa un ruolo centrale, posto che il Cardinale George Pell è stato scelto da Papa Francesco per condurre l’allora appena creato Segretariato della Santa Sede per l’economia e rilevato che Francesco gli permise (o in realtà gli richiese) di ritornare in Australia nel giugno 2017 per affrontare l’esame di un tribunale laico.

Ma è anche importante ricordare il caso dell’ex arcivescovo di Adelaide Philip Wilson, che è stato condannato da un tribunale laico nel luglio 2018, ma è stato poi assolto in appello nel dicembre 2018. Papa Francesco aveva, tuttavia, già accettato le dimissioni di Wilson immediatamente dopo la sua condanna, e successivamente il Primo ministro australiano Malcolm Turnbull fece pubbliche dichiarazioni quanto alla necessità, per Papa Francesco, di “licenziare” l’arcivescovo Wilson.

I casi di entrambi Wilson e Pell hanno spinto la Chiesa in un territorio inesplorato: siamo testimoni del modo in cui gli abusi sessuali da parte del clero stiano ridefinendo le relazioni tra Chiesa e Stato, tra la giustizia della Chiesa e quella dello Stato. L’idea stessa di una separazione in qualche modo consolidata, o dell’esistenza di sfere giuridicamente distinte appartenenti alla Chiesa ed allo Stato viene testata nel suo nucleo effettivo dalla crisi degli abusi sessuali. In termini abbastanza semplici, parlare di “Chiesa e Stato” non ha più il significato che dovrebbe avere. Ed entrambi i soggetti coinvolti, Chiesa e Stato, stanno cambiando in risposta di questa crisi.

Con il pontificato di Francesco non c’è dubbio che l’istituzione della Chiesa cattolica non combatta più contro la giustizia laica o non protegga più presunti criminali dalla potestà punitiva dalle autorità civili.

La Chiesa in realtà accoglie l’azione dello Stato, sapendo ora che senza l’intervento dei procuratori pubblici molti casi di abuso sessuale nella Chiesa non sarebbero mai stato individuati, investigati e puniti.

Ma la Chiesa cattolica si trova nella posizione di convenuta integrale chiamata a difendersi, localmente e globalmente, in Australia e nel Vaticano, nell’aula di un tribunale e nel tribunale dell’opinione pubblica. E si trova su posizioni oggettivamente di difesa a motivo di una storia venuta alla luce di pratiche indifendibili volte a coprire gli abusatori, ri-vittimizzare le vittime, anche tramite la diffamazione delle investigazioni dei media sui singoli casi e la protezione degli ecclesiastici più importanti dalla Giustizia civile, a volte mandandoli nel Vaticano (iniziando ad esempio dall’Arcivescovo di Boston, cardinale Bernard Law, nel 2004).

Il punto che appare necessario rilevare è che la Chiesa cattolica si trova ora strutturalmente, anche se non esplicitamente, dipendente dai verdetti dei tribunali laici nel determinare la cessazione di cardinali e vescovi dai loro ruoli ecclesiastici. Questo accade perché qualsiasi discussione sulla “tolleranza zero” verso gli abusatori nella Chiesa – e dunque anche verso i ministri ordinati della Chiesa tra le fila del clero cattolico - diventa priva di senso se non si presta attenzione a chi determini se un membro della Chiesa sia un abusatore sessuale. Il fatto è che la battaglia contro gli abusi sessuali nella Chiesa viene considerato, in larga misura, efficace solo a confronto con la pratica giudiziaria in un determinato Paese secondo il suo ordinamento.

Ciò conduce ad una situazione molto complicata, perché noi viviamo in un’“era della rabbia” nella quale appare chiaro come il più potente tribunale adesso sia l’opinione pubblica, ma l’opinione pubblica ora non viene più informata esclusivamente dai media mainstream. Questo nuovo tribunale dell’opinione pubblica, dove sia la Chiesa che i media tradizionali hanno minore influenza di quanta ne avrebbero avuta una volta, è sempre più presidiato dai social media.

È, francamente, impossibile da capire la portata dell’onda della crisi degli abusi sessuali del clero senza un’adeguata considerazione del ruolo giocato dai social media nella psicologia dell’indignazione collettiva.

In un’era saturata dai social media, il vecchio adagio dell’insegnamento giuridico in dubio, pro reo (in caso di dubbio, si sta dalla parte dell’imputato) non si applica più, indifferentemente da quanto preveda la legge scritta, specialmente quando è sotto processo un chierico accusato di abusi sessuali.

È impossibile comprendere il significato della crisi degli abusi sessuali nella Chiesa Cattolica senza guardare ad un orizzonte più lontano di relazioni bilaterali tra Chiesa e Stato. Peraltro, se c’è un “potere globalizzato” che nell’assetto laico dei poteri oggi può condurre una guerra contro gli abusi è proprio la Chiesa cattolica: l’assertività delle corti laiche contro i chierici cattolici – un’assertività benvenuta presso la maggior parte dei cattolici, che sono cresciuti frustrati dalla inazione della chiesa in questo problema – potrebbe fornire il destro ai politici nazionalisti interessati a mettere a tacere voci dissenzienti nella Chiesa. Questo potrebbe accedere specialmente nei Paesi in cui il ruolo della legge e la libertà di stampa sono più deboli rispetto a Paesi di consolidata democrazia.

Ma è anche impossibile capire i significati della crisi degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica senza riconoscere che non si dà possibile separazione tra Chiesa e Stato allorché una corte laica processi un ecclesiastico di alto profilo come un cardinale. Più è alta la dignità ecclesiastica dell’accusato, più è impossibile evitare il rischio che altri fattori – opinioni pregiudizievoli fatte proprie dalla stampa, da giurati, giudici, polizia e politici – influenzino il verdetto e la sua ricezione. Tutto ciò è destinato a dividere la Chiesa cattolica a livello locale e globale lungo strade nuove ed impreviste.

Il cardinale Roberto Bellarmino scrisse cinque secoli fa quanto alla legittima influenza della Chiesa sullo Stato; affermò che la Chiesa esercitava una potestas indirecta in temporalibus (un potere indiretto sulle questioni politiche). Ora la situazione è in certo qual senso invertita: lo Stato ha acquisito un nuovo tipo di potestas indirecta in ecclesiasticis (un potere indiretto in questioni proprie della Chiesa). E ciò potrebbe determinare conseguenze sismiche per il futuro dell’istituzione della Chiesa e la nuova generazione dei suoi leader.

Consideriamo soltanto l’effetto che la crisi degli abusi da parte del clero avrà sul prossimo conclave. Non ci si porrà più una domanda sul “se”, sull’ “an”, ma semplicemente sul “che cosa” e “in che misura”.

Massimo Faggioli

 

 

Massimo Faggioli è professore di teologia e scienze religiose all’Università di Villanova (Philadelphia) e professore aggiunto al Broken Bay Institute (Sidney, Australia). I suoi libri più recenti pubblicati in italiano sono Papa Francesco e la “chiesa-mondo” (Roma: Armando, 2014) e Cattolicesimo, nazionalismo, cosmopolitismo. Chiesa, società e politica dal Vaticano II a papa Francesco (Roma: Armando Editore, 2018).