A Ribera c’è il mercato

Ribera, Agrigento - foto tratta da commons.wikimedia.org

“Gianni jeu dicu o non jeu dicu?”, grida un uomo con gli occhiali da sole e il cappello di paglia.

“Diglilelu”, dice Gianni.

Allora l’uomo col cappello di paglia urla in modo che i consumatori del mercato lo guardino. “Piccioli nun ce ne stanno e poi guidano la macchinona da cinquantamila euro... la macchinona guidano i cojoni”.

Gianni ride mentre l’uomo col cappello di paglia mima il gesto di un guidatore al volante della macchinona. Sto all’ombra chiedendomi come facciano gli altri a stare al sole. Trentaquattro gradi e una umidità del settanta percento io non li gestisco. Gestisco meglio la bora quando sferza a centoventi, il caldo no. Attorno ai trabattelli che sorreggono arcobaleni di bikini made in Taiwan, Korea, China, Italy, tutti in vendita a tre euro e cinquanta, pascola un mare di gente che invece ce la fa a sopportare la calura, e si sposta, frenetica. Sono tutti molto concentrati, affari se ne fanno, evidentemente. Tre euro e cinquanta, sono molto poco, e la gente compra.

Immagino cosa sia servito per far arrivare lì quei prodotti e non capisco dove stia il guadagno. Materia prima sintetica, colore, assemblaggio, trasporto, e uomo col cappello che grida e, presumo, mangi.

Si sa che costa poco la produzione nei paesi in via di sviluppo, eppure ci sono etichette made in Italy.

Deduco che da qualche parte in quei paesi qualcuno abbia stampato l’etichetta, l’alternativa non mi pare possibile. Non mi pare possibile che la produzione di un bikini in Italia possa costare così. Pare invece accettabile, o meglio nota, all’estero. Ci sono anche vestiti a 10 euro, giocattoli e pentole a prezzi irrisori.

L’uomo col cappello di paglia non è soddisfatto, e pare anche un poco nervoso. Poca gente da lui. E allora strilla di nuovo: “Signore e signori non sono in questa pubblica piazza per vendere ma per regalare, mi servono i soldi perché quella cornuta di mia suocera stasera mi devo sposare”. 

Spingo il passeggino avendo cura di rimanere all’interno delle fettuccine d’ombra proiettate dalle baracche del mercato. Seguo le donne della famiglia che sono adeguatamente allineate ai frequentatori del mercato. Ci deve essere un codice nel DNA femminile che prevede l’adattamento immediato al contesto. Gli uomini stanno quasi tutti in disparte.

Quattro neri hanno i loro banchetti in fila. Sopra espongono borse Gucci, Trussardi e marche che non conosco. Scarpe Nike e altre marche che non conosco. Molti, che invece conoscono quelle marche, si avvicinano, comprano e paiono soddisfatti del prezzo. I neri sono silenziosi e esperti. Non contrattano, dicono il prezzo buono, che al consumatore va bene e stop. Ringraziano e danno il denaro alla moglie che gestisce i figli e cura la cassa.

Dietro di me un vecchio, a petto nudo, chiama “robe belle!”. Avrà settant'anni. Più o meno l’età che mi sento io a causa dell’afa. Due turiste chiedono informazioni sulle taglie, e il vecchio mostra i tre denti buoni e risponde: “The bigge size are on de camper, good prize for yu”.

Ci vorrebbe una granita al gelso o alla mandorla per resistere. Passano gli uomini frigorifero. Spingono carretti con frigoriferi neanche piccoli. Il motore del frigo aumenta il caldo. Prendo coraggio e mi avvicino. Niente granite, solo bibite fresche.

Mi spiega poi che a Ribera, città delle arance, granite al gelso e alla mandorla non si trovano.

Lì fanno quelle al limone. Quelle che piacciono a me si trovano nel catanese a trecento chilometri da lì. Cerco in tutto il mercato uno che venda prodotti locali a base di arance, ma niente. Esco, vivo, incredibilmente.

Entro in un bar pasticceria. “Potrei avere quattro granite per favore? Al gelso ne avete?”. “No solo al limone , quelle al gelso.....”, “Ok, vanno bene al limone”, la interrompo.

C'è una TV in bar sintonizzata su rai news 24. I titoli riportano la notizia della mozione di sfiducia al governo presentata dalla Lega.

Intanto mia figlia grande mi mostra il due pezzi made in China preso a poco.

 

William Bagnariol