Rodafà e quell’anglicana di rito amazzonico

Rotolo amarico/ge’ez nella collezione permanente del Museo dei bambini di Indianapolis

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Scavallato il Ferragosto, appuntamenti importanti attendono il nostro Rodafà: il convegno di ottobre, dal 10 al 12, a Trieste sul tema “Fare memoria; l’amore, la legge” (con la prima assemblea ordinaria dell’associazione culturale “Casa Alta”), il Sinodo speciale sull’Amazzonia, sempre in ottobre – in  Vaticano, dal 6 al 27 - con le possibili evoluzioni ecclesiologiche abbozzate nel relativo Instrumentum Laboris, di cui si continua a parlare e su cui pure si è iniziato a controvertere e ancora, tra un anno però, dal 22 luglio al 2 agosto 2020, la Lambeth Conference – il convenire di tutti i vescovi anglicani del mondo – a Canterbury (https://www.lambethconference.org/). A quest’ultimo evento la nostra testata intende dedicare precipua attenzione giornalistica verificando le concrete possibilità di un accredito; lo diciamo qui per la prima volta.

Il filo rosso che lega questi attraversamenti e appuntamenti “rodafiani” è uno solo e si chiama “amicizia”.

Esiste un ecumenismo dei dibattiti, degli approfondimenti, degli studi condotti con acribia e passione ed esiste però, quasi in parallelo e non in contraddizione, un ecumenismo dell’amicizia.

L’ecumenismo non è solo questione tecnica di rapporti tra confessioni religiose, tra Chiese Cristiane, tra autorità dottrinali. L’ecumenismo è qualcosa di interiore che intende sostituire l’alternativa dell’esclusione, nella logica dell’aut aut, alla dinamica dell’inclusione, della comprehensiveness, secondo la logica dell’et et.

E tuttavia anche nell’amicizia alcune condivisioni sono imprescindibili, alcuni territori, devono essere comuni, alcune frequentazioni pacifiche, accettabili, accettate, tra tutti gli amici e le amiche. La particolare declinazione dell’amore nel linguaggio dell’amicizia postula una sua reciprocità che mantiene una coloritura che si potrebbe persino dire “erotica”, non avvilente, non sminuente la concretezza di ogni personalità, di ogni carattere, sensibilità, ma anzi celebrativa della gioia di esserci, tutti, tutte, assieme.

La Chiesa Anglicana, conosciuta più da vicino in questa settimana, pone interrogativi importanti alla Chiesa Cattolica: uno, anzi due, per tutti.

L’accettazione, ormai persino scontata, delle donne in ogni grado del ministero ordinato, episcopato incluso, può essere cattolicamente giudicata come un errore di fede? C’è una contrarietà al dogma che impedisce di ritenere fondata la decisione della Comunione Anglicana al riguardo? E se c’è, qual è?

Il secondo aspetto: la gigantografia cattolica della questione sessuale che decide persino dell’esistenza (canonisticamente chiamata “consumazione”) del matrimonio può essere utilmente relativizzata, facendo tacere finalmente una specie di ossessione confessionale, così come peraltro il pontificato di Francesco ha con ogni evidenza cercato di attuare? Un silenzio sull’etica sessuale che non sia indifferenza ma spazio di discernimento nel sacrario delle coscienze, che si incarichi di portare in preghiera ogni storia d’amore, sia essa sofferta o felice, consentita o apparentemente illecita (purché d’amore, appunto). Tra libertinismo, meccanicismo genitale e tabuizzazione del sesso esiste la via media e provvidenziale della lode, dell’eucaristia, del farsi cibo e bevanda il corpo di ognuna ed ognuno.

Forse meriterebbe riflettere su che cosa possa dire l’Anglicanesimo oggi, adesso, a tutte le nostre comunità cattoliche, a quelle comunità che pure dovrebbero conoscere una pluralità di riti al proprio interno testimoniata dall’esistenza delle Chiese Orientali (su cui, nonostante la recente istituzione di un Esarcato per gli Ucraini bizantini presenti in Italia, sembra ancora stazionare una coltre nebbiosa assai spessa di ignoranza e sospetto). Il Sinodo sull’Amazzonia potrebbe aprire strade nuove, la cui limitazione territoriale, geografica diverrebbe in realtà potenzialità ecumenica, ascolto cioè – come si accennava – delle ragioni più profonde che animano la fede di comunità e persone concrete, al di là di tutti gli assetti istituzionali sinora noti e consolidati.

Però, allora, pure l’amicizia è in questione. Perché non può darsi una conoscenza annoiata di che cosa essa sia, tanto ormai è semplice intesa, persino naturale dato di esperienza.

Che cosa sia l’amicizia ce lo insegna il passato oppure il presente? O il futuro?

Alberto Melloni si è interrogato sullo statuto dell’amore nella comprensione cattolica (https://rainbowvalsesia.wordpress.com/2015/04/20/segnalazione-alberto-melloni-amore-senza-fine-amore-senza-fini/). Ciò che accade, è accaduto, all’amicizia, accade ed è accaduto all’amore. Ma ciò che accadrà, che potrebbe accadere, è ancora ignoto. Ci sono linguaggi inesplorati dell’amicizia che attendono di poter essere parlati.

Un rito amazzonico cattolico ed un’interrogazione teologica cattolica davanti alla realtà ecclesiale anglicana sono in grado non di aprire le porte al temutissimo progressismo liberale in odore di secolarizzazione, bensì di rimettere a Dio, e non alla religione, la decisione sul senso della vita. Che coincide con l’amore, l’altro nome di Dio.

Ed allora il quadro comincia a trovare la sua cornice, pur restando da dipingere il suo contenuto appena abbozzato.

Ed il nostro Paese? E la crisi di Governo? E le scelte quotidiane, concrete che ognuna ed ognuno di noi deve compiere?

Quell’ecumenismo interiore non relega altrove ciò che ci coinvolge ogni giorno, non stabilisce primati spirituali e bassezze materiali, ma rimette nelle mani accarezzate da amici, da amiche, una vita da vivere sempre, in ogni caso, fosse anche al cospetto della morte, che non è vinta da alcun biologismo giusnaturalistico ma soltanto dall’amore.

Dopo Ferragosto ci attende dunque amore, cioè tutto ciò che è necessario per vivere.

Buona domenica.

 

Stefano Sodaro