Statuae intereunt tempestate

L’histoire du Jardin d’Eden. Au premier plan la tentation d’Adam & Eve par le Diable

Base de la statue de la Vierge à l’Enfant, trumeau du portail de la Vierge, Façade ouest de Notre-Dame de Paris

- foto tratta da commons.wikimedia.org

La questione sessuale – se una tale questione ancora esiste, se può essere sintetizzata così e se con essa è possibile tuttora identificare un intero apparato di norme e comportamenti, di etiche e di emozioni – è questione intrinsecamente politica.

L’attualità urge e comprime.

Il fatto che Carola Rackete sia una donna non è constatazione secondaria, o così pacifica e dunque trascurabile, anche se si nota un crescente fastidio a doverla considerare.

La “salvatrice” mette in crisi la monosessualità del “salvatore” e la portata della sua vicenda, sulle cronache di tutti i giornali italiani da giorni, sembra dover prescindere da ogni alternativa culturale che ne possa derivare.

Un nome ed un cognome sono sufficienti ad inscatolare tutto quanto in coordinate anagrafiche e basta. Il suo gesto non ha altro da dire, di diverso, di inedito, di nuovo, di insperato, di sognato. Sta tutto dentro un brogliaccio già adoprato, che sia una donna è irrilevante. Questo il messaggio veicolato con un certo martellamento.

Ed in effetti la questione sessuale è diventata sottile e sotterranea.

Da un po’ di tempo (o forse da un po’ di più) va molto di moda presso asseriti sostenitori, ed asserite sostenitrici, delle conquiste femministe argomentare che sarebbero i maschi a dover di esse occuparsi, non le donne. Ed in questa induzione culturale a fare i femministi volenti o nolenti non si nota tuttavia una messa in discussione dei ruoli, bensì, completamente all’opposto, un loro consolidamento, dal momento che le donne, perdendo progressivamente un’esclusiva legittimazione attiva ad intervenire proprio in quei campi dove hanno lottato, lasciano – lascerebbero – spazio a nuovi Adamo ed Eva di cui s’invoca l’avvento. Una specie, insomma, di palingenesi dei codici sessuali e sessuati che riconsegni alla realtà, al nudo fatto, al 2+2=4, una serie di interrogativi inutilmente complessi, a cominciare dalla scontatissima domanda su cosa sia mai l’amore.

Adamo ed Eva sono simboli potenti. Si gioca molto, se non tutto, intorno alla loro costruzione o distruzione.

Ed il problema politico, la valenza politica sono aspetti che hanno molto a che fare con il simbolo. La politica non è soltanto faccenda di poteri da esercitare per influire sulla società secondo i propri convincimenti ideali. La politica è affare simbolico, le cui dinamiche sono assai più complicate dei giochi di potere.

Quand’anche eventualmente per detestarlo - si può pensare a tutti i simboli repressivi, sanzionatori, costrittivi, ai roghi, alle guerre -, il simbolo convoca sempre l’amore e se viene ignorato, eliminato, soppresso, è l’amore a soffrirne e a morirne. E se il simbolo genera anti-amore, la sua sparizione non garantisce alcun trionfo affettivo, che abbisogna di ben altro. O Altro.

Pure la, possibile, dissociazione tra questione sessuale e questione amorosa è inquietudine sia politica sia simbolica.

“Fare l’amore”, senz’altra specificazione, sembra corrispondere al “fare sesso”, nel parlare corrente, e tuttavia l’espressione cui si ricorre è appunto la prima, dove compare “l’amore”, e non la seconda. Un guazzabuglio, abbastanza ancora pudibondo e abbastanza ancora ignoto.

L’amore è sempre implicato nel sesso? Indiscutibilmente no. Ma che cosa intendiamo per “sesso”? La sola fisiologia unitiva purtroppo presente anche in un gesto criminale di violenza? Eppure anche l’amore non è privo di una sua certa volontà appropriativa, di una certa, per così dire, “violenza”, che però non fa male. E allora?

C’è qualcosa di molto vetusto, anzi di obsoleto, nella supposta capacità rivoluzionaria di farla finalmente finita con il femminismo e con le salvatrici.

Le controrivoluzioni alla fine non sono rivoluzioni ed il linguaggio grandguignolesco, scritto o parlato, che azzeri l’Altro - perché tanto è tutto eguale e bisogna solo mostrare al mondo che il re è nudo - non è una conquista di civiltà ma un suo inesorabile arretramento. Le ragioni? Le cause?

Ha scritto venerdì scorso Pier Aldo Rovatti, a p. 19 de “Il Piccolo” di Trieste, in un articolo intitolato Il nostro deficit di senso civico: «Stiamo vivendo tempi bui per tante ragioni, soprattutto perché ciascuno di noi vuol vivere, anche quando ne soffre, come un’entità isolata, incapace di relazionarsi veramente a chi gli sta attorno. I vincoli che si costruiscono sono accidentali, superficiali, dunque casuali e senza spessore. Così va il mondo? Oppure: così vogliamo che vada? Questo gentile “oppure” non regge, perché tutti sappiamo bene che in fondo stiamo assecondando tale processo. Tendiamo a rifiutare relazioni impegnative, illudendoci che così saremo più liberi.»

Il simbolo è capace di mantenere la trama delle relazioni. Quell’ “anche quando ne soffre” enucleato da Rovatti trasmette, da lato, un senso quasi di angoscia – peraltro verissima – e, dall’altro, di attesa terapeutica che neppure la questione sessuale è in grado di raccogliere e realizzare finché resti incistata nel privato sospettoso, finché rifugga dall’amore.

Poiché l’amore non è mai privato, mai individuale, anche quando debba nascondersi.

E la rabbia è quasi sempre sintomo di debolezza, la furia tracotante emersione di un traballamento prossimo allo schianto.

Far piazza pulita di statue e simulacri celebrativi non è equivalente a sbarazzarsi dei simboli che accarezzano la nostalgia e il futuro. Che tessono l’amore.

Il nostro presente ha bisogno vitale di deporre la violenza d’eloquio che si incastona nella violenza culturale, per ritrovare, al suo posto, quella gentilezza antica per niente passatista e capace, invece, di far posto alle “salvatrici”, finalmente, dopo gli inni ai “salvatori”.

Il beneficio sarà enorme, per chiunque.

Buona domenica.

 

Stefano Sodaro