Maddalena, di rito amazzonico

Maddalena penitente, Tiziano Vecellio, 1533

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Dell’Instrumentum Laboris relativo alla prossima Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi dedicata all’Amazzonia ha colpito, a livello diffuso, in modo particolare il passaggio sulla possibile ordinazione presbiterale di anziani (preferibilmente indigeni) anche se sposati. Ma le prospettive che si aprono ad una lettura estesa del documento risultano molto più vaste, articolate e complesse. Al n. 126, lett. a), si legge: «Si suggerisce che le celebrazioni siano di tipo festivo con la propria musica e la propria danza, nelle lingue e nei vestiti autoctoni, in comunione con la natura e con la comunità. Una liturgia che risponda alla propria cultura perché sia fonte e culmine della loro vita cristiana (cf. SC 10) e legata alle loro lotte, sofferenze e gioie.»

Il cenno ai “vestiti autoctoni” sembra essere transitato via senza particolari osservazioni e considerazioni, ma, se si riflette sulla assoluta inconciliabilità diciamo “culturale” - financo al cospetto delle norme di pubblico decoro – dell’abbigliamento amazzonico con il nostro “dress code”, forse il potenziale ecclesialmente esplosivo di simile riferimento può cogliersi.

Una notazione per tutte: la valenza non strettamente erotico-sessuale della nudità corporea, bensì comune e condivisa, a fronte del suo confinamento presso di noi in ambiti del tutto intimi e privatissimi. Il corpo è vestito di per sé, ma noi abbiamo imparato a ricoprirlo per le sue troppe evocazioni. Nudi si nasce, nudi si ama, nudi ci si lava, ma nudi non si vive e non si muore.

La costruzione di un “rito”, non inteso come apparato cerimoniale e liturgico bensì come ordinamento autonomo benché non indipendente, dentro la Chiesa Cattolica – dentro, si badi – è faccenda molto difficile, intricata, contorta. Bisognosa di riconoscimenti formali seppure suscitata da esigenze insopprimibili di riconoscimento di identità non liquidabili pena la resecazione spirituale dal Popolo di Dio di intere comunità. E quando non viene riconosciuto il diritto di cittadinanza di una spiritualità, non viene riconosciuto il diritto di cittadinanza di un intero modo d’essere Chiesa.

Domani è la festa di Santa Maria Maddalena.

Oggi il Vangelo di Luca racconta delle due sorelle di Betania, Marta e Maria, amiche di Gesù, che è necessario tenere ben distinte dalla donna di Magdala.

Ma in ogni caso, di tutto questo folto gruppo di donne intorno a Gesù di Nazaret, la memoria ecclesiale sembra essersi volentieri dimenticata.

E tuttavia pensare ad una “Chiesa di donne” in modo che anche le presenze femminili nella Chiesa possano finalmente identificarsi in un “rito” proprio ed autonomo, come quello futuro amazzonico di probabilissima istituzione, relegherebbe ancora questa così ingombrante memoria dentro gli spazi angusti di un femminile deprivato di ogni identità ed attesa femministe. Un “rito” femminile, magari addirittura “muliebre”, ma assolutamente non femminista. E saremmo daccapo dentro una sacca ecclesiologica.

Invece, dall’Amazzonia, dal Sinodo di ottobre prossimo, possono giungere approcci del tutto inediti alla stessa lettura dei Vangeli, perché promossi dalle donne, da quelle donne, di quella sterminata regione geografica, da quella elaborazione teologica che viene ricondotta alla Teologia della Liberazione o alla Teologia India e dunque, in ogni caso, a teologie contestuali, a teologie di processo, a percorsi di elaborazione concettuale e pratica che interrogano la Tradizione di Oriente ed Occidente fino a ridurla al suo solo potenziale comunicativo, alla sua essenza evangelica, di maieutica ecclesiale, di “ecclesiogenesi” – come ebbe ad intitolare Leonardo Boff uno dei suoi testi -, secondo un’attitudine che coinvolge anche noi, radicalmente non amazzonici.

Chi sono Maria Maddalena, Maria e Marta di Betania per donne scevre dai nostri schematismi culturali, dai nostri millenni di indottrinamento? Come vengono letti gli incontri del rabbi di Nazaret in contesti dove i nostri codici comunicativi (compresi quelli che disciplinano il vestire) non dicono nulla di nulla e abbisognano di traduzioni precise, appassionate, scrupolose, affettuose, comprensive, intelligenti?

Perché nelle omelie quasi mai viene evidenziata la critica di Gesù a certa retorica familista che blocca ancora, più che mai, le donne in ruoli consolidati ed indiscussi? “Marta, Marta” come sei in grado di mettere in crisi la subordinazione millenaria femminile con la tua sola domanda…

La soluzione probabilmente sta in un concetto di “comunione” che sia capace di aprirsi ad una pluralità ordinamentale anche nel Rito Latino, il più diffuso, e che non si riduca ad una legittima differenziazione di liturgie. Il Rito Ambrosiano, per esemplificare, mentre si caratterizza autonomamente per la sua identità liturgica, non si differenza dal Rito Latino per appartenenza giuridica; il Rito Ambrosiano appartiene al Rito Latino canonicamente, mentre non appartiene al Rito Romano liturgicamente. E ci sono molti Riti Orientali autonomi giuridicamente, con le relative Chiese di diritto proprio, mentre esiste un solo Rito Latino, dal Brasile alla Cina all’Italia.

Maria Maddalena, Maria e Marta di Betania ci aspettano con i loro “vestiti autoctoni” di Amazzonia nella gioiosa severità dell’aula basilicale di San Pietro. Dentro, non fuori. Ad ottobre.

Buona domenica.

 

Stefano Sodaro