La donna, il sesso e il diavolo

Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, Masaccio, 1426-1427 - 

Firenze. Basilica di Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci

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Noi, oggi, siamo propensi a ritenere che il peccato non sia collegato alla carne, ma nasca piuttosto nello spirito per poi discendere nella carne, sì che non c’è più distinzione netta tra materia e spirito (Vannucci G., Esercizi spirituali, ed. Comunità di Romena, Pratovecchio (AR), 2005, 41). In passato, e nel giudaismo in particolare, era radicata invece l’idea di un legame strettissimo fra la condizione carnale dell’uomo e la sua condizione di peccatore. Da qui l’associazione che si faceva di frequente fra la carne e il peccato (Is 31,3). Nel cristianesimo anche san Paolo associava il peccato alla carne (Rm 7, 14; 8, 3), perché per lui, stretto osservante della Legge al pari di ogni buon fariseo (Fil 3, 5), era cosa naturale seguire la Bibbia.

E se leggiamo la Bibbia, tutto ciò che concerne le vita sessuale è normalmente impuro: un uomo e una donna che hanno avuto un rapporto sessuale restano impuri fino a sera (Lv 15, 18); l’uomo che ha eiaculato resta di per sé impuro fino a sera (Lv 22, 4). La donna, poi, è quasi costantemente impura: le mestruazioni la rendono impura; ma così pure lo diviene per i rapporti sessuali (Lv 15, 18) e anche col parto; anzi, l’impurità dura più a lungo se la donna partorisce una femmina anziché un maschio (Lv 12, 2-5). Insomma, visto che ai tempi dell’impero romano l’aspettativa di vita media era di appena 27 anni, ed era raro superare i 49 anni (così secondo gli studi effettuati dal Servizio di antropologia della Soprintendenza ai beni archeologici di Roma su ossa umane dell’epoca, rinvenute negli ultimi tempi), la donna era quasi costantemente impura, e quello che toccava diventava a sua volta impuro (Lv 15, 19 ss).

La Chiesa non solo ha proseguito su questa linea, ma l’ha perfino inasprita, e fin dall’inizio, ossessione e repressione sessuale hanno marciato di pari passo. Ciò è accaduto probabilmente perché, da subito, la Chiesa aveva conosciuto il platonismo e lo stoicismo che disprezzavano il corpo ed esecravano il sesso. Forse se la Chiesa avesse incontrato all’inizio l’induismo sarebbe stato diverso: basta vedere le statue dei templi di Khajuraho. Invece già lo stoico imperatore romano Marco Aurelio, pagano che disprezzava la materia, vedeva il corpo come un ignobile involucro di carne, per cui invitava a spogliarsi del corpo; e nel rapporto sessuale non vedeva nulla di più che lo sfregamento di un budellino con emissione di un po’ di muco accompagnato da uno spasimo (Marco Aurelio, I ricordi, ed. Einaudi, Torino, 1968, Capp. 12, 2: 10, 11a; 6, 13): ottica che potrebbe anche essere giusta se limitata alla mera materia che si tocca e si vede, ma che in realtà non tiene minimamente conto dell’aspetto spirituale dell’amore che non si tocca e non si vede.

Poi, sempre all’inizio, la Chiesa ha trovato appunto san Paolo, il quale aveva detto che l’uomo, in quanto ‘essere di carne’ è corrotto dal peccato (Rm 7,14), per cui è cosa buona per l’uomo non toccare la donna, ma siccome è meglio sposarsi che ardere, il sesso nel matrimonio andava tollerato come rimedio alla concupiscenza (1Cor. 7, 1-9): accettabile allora sposarsi, anche se era molto meglio non sposarsi (1 Cor 7, 38). Il sesso è stato così definitivamente inquadrato fra gli atteggiamenti peccaminosi carnali in contrapposizione alla positività della via luminosa dello spirito (Gal 5, 16-22). Più tardi la Chiesa ha trovato anche sant’Agostino, gran sciupatore di femmine prima di votarsi anima e corpo alla religione cristiana, e una volta diventato credente, da convinto sostenitore della concupiscenza peccaminosa, scriveva che quando una coppia generava, dopo essersi unita sessualmente, aveva senza dubbio posto in atto un amore perverso: ecco perché ogni neonato nasceva già col peccato originale essendo ogni generazione macchiata dalla concupiscenza: “Siamo contaminati dal male fin dall’istante del concepimento, avvenuto mediante un amore concupiscente, in balia del piacere lussurioso, perverso”. Questo insegnava Agostino, e questo la Chiesa ha assorbito fissandolo nel dogma del peccato originale che gli ebrei, pur avendo scritto la Bibbia, non sanno cosa sia (cfr. quanto detto al n. 456 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-256---10-giugno-2018/il-peccato-originale).

Anche il famoso Evagrio (in La vita pratica – Precetti, in Simonetti M., Letteratura cristiana antica) ammoniva che i demoni più rapidi, da cui bisogna stare più attenti, sono quelli della fornicazione.

Così, perseverando salda su questa rotta, la morale della Chiesa era arrivata presto a dire che gli sposi che avevano rapporti dovevano aspettare qualche giorno per accostarsi alla comunione, perché la concupiscenza li aveva resi impuri. Anche il matrimonio, proprio per la sua dimensione fisica, era conseguentemente considerato eccessivo per uomini che aspiravano alla vera spiritualità e, agganciandosi a quegli insegnamenti, si finì presto con l’esaltare oltre modo la verginità e l’astinenza, giungendo alla conclusione che il matrimonio – con la sua concupiscenza - era comunque uno stato di vita meno valido, il quale certamente non si addiceva ai santi. Le persone sposate erano viste come i proletari della chiesa, utili per far figli e fornire, o prima o dopo, qualche prete e/o suora.

San Bernardino da Siena (a cavallo fra il 1300-1400) diceva perfino che, di mille unioni coniugali, 999 appartenevano al diavolo: di qui la pericolosità del matrimonio, dove era già peccato grave ammirare la propria moglie nuda. Solo la verginità onorava la vera spiritualità e il modello ascetico era sinonimo di santità (Delumeau J., Il peccato e la paura). Quando ci si azzardava a canonizzare una coppia sposata (come l’imperatore Enrico e santa Cunegonda), ci si affrettava a precisare che a casa loro avevano vissuto come monaci, cioè come fratello e sorella. Del resto, si sapeva che san Giuseppe non aveva mai potuto neanche sfiorare Maria; immaginarsi se l’aveva vista come mamma l’aveva fatta. Insomma, la Chiesa è andata ben al di là della Bibbia, perché almeno il Cantico dei Cantici parla di focoso sesso sfrenato, e non parla affatto di peccaminosa concupiscenza della carne.

Visto però che anche nella Chiesa i più continuavano a sposarsi e andare allegramente a letto insieme, si è dovuto necessariamente riconoscere qualcosa di buono nel matrimonio, per cui vennero individuate delle giustificazioni (i cd. bona matrimonii: indissolubilità, fedeltà, e soprattutto generazione della prole) che in qualche modo dovevano compensare gli aspetti negativi dandogli almeno una patina di sacralità (D’Auria A., Il matrimonio nel diritto della Chiesa). Va ricordato che il codice canonico del 1917, sostituito appena nel 1983 dal nuovo codice, ancora parlava espressamente del matrimonio come rimedio alla concupiscenza, mentre fine primario del matrimonio restava sempre e solo la procreazione (can. 1013). E ancora nel XX secolo il Sant’Uffizio aveva condannato il libro del tedesco Doms Herbert il quale aveva osato affermare che finalità principale del matrimonio non era la procreazione, bensì la comunione profonda degli sposi.

Di nuovo siamo ben lontani dal Cantico dei Cantici dove, oltre alla peccaminosa concupiscenza dei due amanti, la cosa più orripilante per i benpensanti cattolici era che il testo biblico non parlasse mai, neanche in prospettiva futura, dei figli che sarebbero dovuti nascere da questa focosa unione sessuale. Superfluo invece notare che alcuni versi rispecchiano perfettamente, ancora oggi, l’emozione umana invariata nei millenni: quale giovane maschio, se veramente innamorato, la prima volta che vede la sua donna venirgli incontro completamente nuda non ha un tuffo al cuore e un veloce mancamento alle ginocchia simile a quello dell’amante del cantico che resta per un attimo in soggezione e quasi smarrito: “Chi è costei che s’avanza quale aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, tremenda come un esercito schierato?” (Ct 6, 10)?

La Chiesa ha mantenuto per secoli la sua rotta: lo scopo primario del matrimonio è quello di far figli, mentre tutto il resto è concupiscenza. Ovvio e scontato, in quest’ottica, che, in un amore fra due persone dello stesso sesso, incapaci di procreare, si vedesse solo la concupiscenza peccaminosa. E ancora oggi molti, ancorati a questa morale dei secoli scorsi, non esitano a dire: «I gay? Sono istigati dal diavolo, dietro ogni peccato di sensualità e lussuria c'è solo la mano del maligno» (don Pavesi Vilmar). Anche il fondatore dell’Opus Dei (cfr. massima n. 61 della Prelatura Opus Dei) ha confutato chi riprovevolmente pensava, negando l’equazione sesso = peccato, che il sesso potesse essere anche gioia. Perciò ammoniva: «Quando un laico si erige a maestro di morale sbaglia spesso: i laici possono essere soltanto discepoli». Vietato quindi contraddire l’insegnamento ufficiale, che sa perfettamente cosa Dio vuole.

Si è così continuato a vedere nel sesso carnale la più grave delle corruzioni, richiamando perfino il vangelo: se sta scritto che nel cielo «né essi, né esse si sposeranno, ma saranno come angeli nel cielo» (Mc 12, 25), era del tutto logico potenziare un ideale di comportamento morale nel quale si mirava a una repressione o sublimazione della sessualità. In fine dei conti, se lo spirito si sintonizza col divino, il materiale e carnale, che è parte essenziale dell’umano, devono essere controllati e sottomessi ai valori superiori del santo e del celestiale.

Seguendo la Bibbia si è confermato che chi pratica sesso è impuro per cui non può avvicinarsi a Dio, ma deve essere prima purificato. Questo è rimasto per secoli un pilastro anche del cristianesimo: l’uomo deve in continuazione purificarsi per essere degno di Dio. Sogghignate per queste idee obsolete di puro e impuro? Fate male: cosa si è sempre fatto come primo gesto entrando in chiesa? S’immergevano le dita della mano destra nell’acquasantiera e ci si faceva il segno della croce. Il gesto deriva chiaramente da questa tradizione antica secondo la quale bisognava in qualche modo purificarsi prima di tentare il contatto con Dio nel luogo sacro. Il contatto diretto con Dio non è permesso all’uomo, che deve farlo precedere da un rito purificatorio, e Gesù sembra aver parlato al muro quando ha spiegato che è invece l’accoglienza di Dio quella che purifica, per cui ha eliminato tutti i rituali purificatori. Ad esempio, quando effettua la distribuzione dei pani, Gesù non chiede alla folla se si sono purificati prima di mangiare, e neanche chiede di purificarsi (Mt 14, 19s; Gv 6, 11s.). Ciò dimostra che non è necessario purificarsi per ricevere il pane (che è Gesù, che è Dio), ma è la semplice accoglienza che già purifica (cfr. articolo Simon Pietro al n. 478 di questo giornale, https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-478---11-novembre-2018/simon-pietro), mentre gli ebrei credevano che senza le rituali abluzioni quello che mangiavi ti rendesse impuro. Oggi, nella maggior parte delle nostre chiese, l’acquasantiera è normalmente senz’acqua perché ci si è accorti che l’acqua ferma è un ricettacolo di germi. Ma l’idea di allora è durata per secoli, diventando una tradizione insita profondamente nell'animo dei fedeli senza aver neanche capito il significato del gesto che si compiva: infatti, dove c’è l’acquasantiera con l’acqua, si vede ancora della gente che intinge la mano anche quando esce dalla chiesa, cioè quando non serve più purificarsi perché si torna al mondo profano. E sempre in base a quest’idea della necessità di purificarsi (cfr. Lv 12, 4-8; Lc 2, 22) si spiega come la donna cattolica che aveva partorito, prima di entrare in chiesa per il battesimo, dovesse essere purificata dal prete sul sagrato (ricordo benissimo che dopo la nascita della nostra prima figlia, nel 1971, mia moglie ha dovuto essere benedetta dal sacerdote sul sagrato prima di poter entrare in chiesa). La Chiesa non ha sempre detto che la maternità è una cosa bella e santa? Sì, ma per giungere alla santa maternità la donna – a differenza della Madonna - doveva evidentemente essere passata nove mesi prima attraverso porcheriole immonde col suo uomo, e per questo, dopo essere stata punita col dolore del parto, doveva anche essere purificata sul sagrato e farsi perdonare (solo lei, chissà perché non il marito, altrettanto e normalmente ancora di più concupiscente). Ma la gente non si poneva queste domande. La stessa festa dell’Immacolata Concezione era in passato intesa dai più sotto l’aspetto sessuale: la Madonna, unica donna al mondo, beata lei, aveva concepito senza fare sesso col suo promesso sposo, per cui era pura e immacolata. Ovviamente anche questa convinzione era completamente sbagliata perché la festa riguardava solo l’assenza di peccato originale, ma i più non lo sapevano avendo assorbito questa “moralità pelvica” della Chiesa Cattolica.

Il martellamento che, quanto meno quand’ero giovane, la Chiesa faceva contro il pericolo dei peccati sessuali, anche se non faceva sentire tutti in colpa perché la morale imposta difficilmente genera una morale intimamente sentita, aveva inculcato nei più l’idea che il peccato sessuale fosse la fonte principale di ogni male su questa terra, o comunque fosse uno dei più gravi peccati che l’uomo potesse commettere, giacché lo stesso peccato originale era di natura sessuale. In quest’ottica sessuofoba, che vedeva il sesto comandamento giganteggiare su tutti gli altri nove, non ci si rendeva conto di come la condanna del sesso fosse stata elevata a idolo, come inutilmente aveva cercato di spiegare frate Giovanni Vannucci, dell’Ordine dei Serviti.

Sempre e solo in quest’ottica sessuofoba si poteva spiegare come il ballo fra adolescenti fosse bandito ai miei tempi dagli oratori (come ben ricorda don Milani L., Esperienze pastorali), e aborrito a scuola dai preti catechisti, che lo consideravano già l’inizio del peccato, probabilmente perché, come diceva Bernard Shaw, il ballare è l’espressione perpendicolare di un desiderio orizzontale; e poi ti spiegavano come fosse già peccato se ti toccavi la parte alta del corpo con piacere, ma peccato ben più grave se ti toccavi la parte bassa del corpo. “Ti sei masturbato, figliolo? Quante volte?” Era questo l’inizio di ogni confessione di un adolescente maschio. Ricordo anche che ai miei tempi sul grave peccato della masturbazione incombeva la minaccia di tremende sanzioni divine: saresti potuto diventare anche cieco. Il tutto arieggiava la sequela di tremende maledizioni contenute sempre nella Bibbia, in Lv 20, 16 ss. Insomma, con la paura la Chiesa sperava di tenere la gente lontana da quello che lei riteneva essere peccato: ma non ha mai funzionato!

Oggi si ricorda con un sorriso il pittore soprannominato il Brachettone, che venne chiamato a Roma da papa Paolo IV per mettere le brache a tutte le pitture che Michelangelo e altri avevano fatto in passato: la bellezza del nudo spaventava ed era immorale. Ma gli arcigni fustigatori del sesso non sono scomparsi, anzi sono ancora sulla breccia. Chi non ricorda, nel 2016, le statue nude appositamente ricoperte nei Musei capitolini per la visita del presidente iraniano Rouhani, al fine di non urtarne la sua suscettibilità perché sul punto i musulmani sembrano essere più integralisti degli integralisti cattolici? Ora, quando il multiculturalismo diventa il non rispetto della propria cultura (che ha sempre accettato e ammirato quelle statue) e si autocensura per non offendere l’altro, c’è forse qualcosa che non funziona.

C’è da dire che col ’68 e la liberalizzazione sessuale il sesso è stato sdoganato, ed è anche notevolmente affievolito quel terrorismo teologico sul sesso da parte della Chiesa, ma non è che i giovani d’oggi, con meno tabù della mia generazione, siano più liberi e felici di quanto lo eravamo noi, della generazione precedente. Comunque non è questo il punto.

Mi può star bene che la Chiesa predichi con fermezza che c’è differenza enorme fra sesso meccanico e amore. Come è stato assai ben spiegato in “Famiglia Cristiana” n.6/2005: «La sessualità genitale è facile da vivere, perché crea l’illusione che tutte le relazioni umane siano facili da realizzare, come avviene per il rapporto fisico. È spontaneo dire: “Ti amerò per sempre” nel momento in cui un ragazzo e una ragazza si avvolgono reciprocamente in un piacere immediato e intenso. Sfortunatamente, il rapporto umano è in realtà molto più complesso dell’intesa che si crea col solo rapporto fisico. È una relazione che abbraccia la vita a tutti i suoi livelli: fisico, psichico, spirituale.

Il rapporto prematrimoniale può allora far cadere i giovani nell’inganno di credersi fatti l’uno per l’altro solo perché stanno bene insieme sessualmente. Invece il rapporto fisico non può essere l’inizio, ma deve essere la conclusione di un lungo cammino per verificare se sono in grado di essere il punto di riferimento l’uno dell’altro, e dei figli. Se no, finita la tempesta ormonale, è finito il livello fisico; ma a quel punto è finito tutto, perché il resto non esisteva neanche prima».

Mi sta bene, allora, che la Chiesa insegni che il solo sesso staccato dall’amore non è quella gran cosa proprio perché volgarizza la materia (lo ‘sfregamento del budellino’ appunto, per rifarsi al pensiero dell’imperatore stoico Marco Aurelio), perché separa radicalmente l’intimità fisica dalla comunione personale e spirituale, e finisce spesso col trasformare lo stesso corpo dell’altro in un oggetto di umiliante sfruttamento o addirittura di commercio, dal quale trarre un piacere meramente egoistico, un soddisfacimento fugace e frettoloso. Don Milani – ricorda un suo alunno (“Famiglia Cristiana” n.24/2007) - non ti colpevolizzava per un peccato, ma ti dava una scala di valori. Se gli confessavi un’avventura replicava semplicemente: “Ora che ti sei vantato, cosa credi di aver lasciato a quella ragazza?” Erano mazzate che ti facevano capire che l’amore è altro. Insomma, il solo sesso senza amore non sfrutta al meglio quella stupenda creazione di Dio perché tendenzialmente degrada la persona, invece di innalzarla. Ma qui, per l’appunto, più che parlare di peccato, si dovrebbe parlare di carenza di educazione, perché è compito dei maestri far capire a tutti che mentre la nostra aspirazione umana tende verso l’alto, la volgarità ci schiaccia verso il basso (si tratti di sesso o di programmi televisivi). Noi tutti quanto meno intuiamo che, all’interno di quel recinto incantato di amore che ogni coppia innamorata riesce veramente a costruirsi, l’eros diventa un assaggio del paradiso terrestre, perché lungi dal tendere verso la terra riesce a sollevare d’un balzo verso altezze eccelse, elevandosi sopra al mero atto materiale. Non ci può essere allora né male in sé, né inferiorità, né tanto meno peccato ogniqualvolta il sesso va a braccetto con l’amore. E nel momento in cui un uomo si avvicina alla propria donna come se entrasse nel tempio, e non per consumare egoisticamente e frettolosamente il proprio piacere, sicuramente glorifica Dio, e non il diavolo.

Mi sta meno bene, allora, che la Chiesa tradizionalista, che forse avrebbe preferito la cicogna per far nascere i bambini, sostenga da un lato che il corpo umano è destinato a diventare tempio dello Spirito santo (1Cor 6,19-20), ma dall’altro continui a martellare insistentemente sul sesso, come se il sesso fosse il più pericoloso, il più inquietante ed il più comune dei peccati su questa terra.

Se per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte, così per arrivare al cielo non abbiamo altra strada che la terra, e – come è stato opportunamente ricordato (P. Casaldàliga e J. M. Vigil, La spiritualità della liberazione,) - siamo persone in corpo e anima indissolubilmente uniti, non siamo ‘puri’ spiriti, per cui la spiritualità cristiana non può essere spiritualità disincarnata. E allora, anche per arrivare al cielo, si deve passare attraverso la carne: il sesso fa parte della carne, e dobbiamo quindi fare i conti con esso, senza demonizzarlo, senza disprezzarlo. «Dimmi», ha chiesto il monaco ortodosso padre Sava al giornalista, «se la carne non fosse importante, perché Cristo si sarebbe fatto carne? Il platonismo butta via il corpo come cosa inutile. Ma allora, che senso ha la crocifissione? Che senso ha la resurrezione? Come faccio a capire un Dio intoccabile che non scende mai a farsi vedere e abbracciare, un Dio che non sente la vera fame e la morte?» (Rumiz P. e Bulaj M., Gerusalemme  perduta, ed. Frassinelli, Milano, 2005, p.72).

In proposito, mi pare quanto mai istruttivo ricordare che Gesù venne tentato in tre modi (Mt 4, 1-11: In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito santo nel deserto, per essere tentato dal diavolo): fu tentato di mutare le pietre in pane (cioè lo sfoggio dei beni materiali), di buttarsi dall’alto della torre e farsi soccorrere dagli angeli prima di spiaccicarsi al suolo (cioè lo sfoggio di interventi divini inutili), di possedere i regni della terra (cioè il possesso egoistico di tutte le cose del mondo). Ma - udite! udite! - nemmeno il diavolo in persona si è mai neanche lontanamente sognato di tentare Gesù attraverso il sesso e la carne femminile. Né mai Gesù si è sognato di dettare un prontuario dei comportamenti sessuali, né ha mai dato istruzioni sul sesso (etero od omo che fosse), che pur si praticava anche allora. La Chiesa ha completamente ignorato questi punti.

E ricordiamoci anche che nel Vangelo di Matteo si trova scritto: “Avevo fame e mi hai dato da mangiare, avevo sete e mi hai dato da bere”; mica si trova scritto: “sei andato a letto con la tua ragazza prima che diventasse tua moglie?” E vorrà pur dire qualcosa se Gesù non disdegnava di farsi vedere assieme alle prostitute e affermava davanti agli apostoli e ai benpensanti sbigottiti (già allora, come buona parte dei bigotti di oggi) che quelle donne li avrebbero preceduti nel Regno dei Cieli. Dunque, l’equazione “donna = diavolo tentatore”, che si trova all’inizio della Bibbia, e che è stata ripresa con sacro ardore dalla Chiesa, non si trova nei Vangeli. E, allora, come mai la Chiesa mette il sesso come la prima delle tentazioni? Perché questo martellante insistere sul peccato della carne? Perché non insistere almeno con altrettanta costanza su quelli che sono i peccati assai più pericolosi per l’Uomo: la brama di possesso di beni materiali, la frenesia del potere sugli altri, la differenza sempre più abissale tra ricchi e poveri? L’umiliazione che s’infligge alle persone ritenute di rango o razza inferiore? Certamente inserirsi come terzo incomodo in una coppia può essere una colpa perché crea scompenso e sofferenza nella coppia e nei loro figli, ma ben più grave peccato dovrebbe essere quello che riguarda il potere e il denaro: è per sete di potere e di denaro che scoppiano le guerre e si uccidono migliaia e migliaia di persone, si creano lutti e sofferenze che nessun atto sessuale – neanche quando porta allo sfascio di una famiglia - riuscirà a eguagliare. L’uomo che non ha tempo di andare a letto con le donne, perché è tutto impegnato ad andare a letto con le banche, pecca molto di più e crea molti più danni, eppure viene “bacchettato” pubblicamente molto di meno dalla Chiesa.

E allora, non viene forse il dubbio che parlare di quelli che sono i veri peccati metta immediatamente in rotta di collisione col potere, mentre parlare contro il sesso non disturba affatto il potere? Ma non è che la Chiesa riesca ad acquistare credibilità evitando di entrare in conflitto col potere che idolatra mammona, lasciando il mondo così com’è, legittimandolo religiosamente, e concentrando i suoi strali su aspetti secondari della realtà, sui quali Gesù non ha perso neanche un minuto del suo tempo.

Io credo che a molte persone dia fastidio sentire pontificare in materia sessuale come se Gesù ne avesse parlato esplicitamente, o avesse lasciato istruzioni scritte, mentre si tace sui problemi principali, sì che sui grandi temi la presenza della Chiesa è troppo spesso quasi innocua [1]. Siamo in presenza di uno sbilanciamento ormai inaccettabile: oggi, più che mai, si pretende coerenza, e troverei assai più coerente una Chiesa in cui il prete non chiedesse solo: “quante volte ti sei masturbato?” oppure, “con quante donne sei andato a letto?” ma, quanto meno, anche: “per guadagnare un mucchietto di soldi hai per caso inquinato? Hai eluso le regole sanitarie a tutela della collettività? Hai creato disarmonia nella tua famiglia, nella tua società? Hai evaso le tasse? Per quanti euro? Hai messo in regola i tuoi dipendenti, in modo che un domani possano avere la giusta pensione? Li paghi regolarmente e paghi loro il dovuto? Hai predisposto le misure di sicurezza necessarie per l’incolumità dei tuoi dipendenti? Hai sfruttato economicamente qualcuno? Hai difficoltà a vivere vicino al diverso o vicino al povero? Visto che partecipi al benessere del ricco mondo occidentale, cosa condividi con i poveri?” E se uno pensa che questa sarebbe politica e non più religione, ricordo che, come ha detto Gandhi, chi crede che la religione non abbia nulla a che vedere con la politica, non sa cosa sia la religione.

È indubbio che i temi  della contraccezione, masturbazione, omosessualità, i rapporti prematrimoniali e il sesso fuori del matrimonio, nonché l’aborto sono stati i cavalli di battaglia  di questa “moralità pelvica” della Chiesa Cattolica, dove ancora una volta san Paolo è riuscito a lasciare il segno tanto profondamente che ancora oggi è difficile da scalzare. Ma non è possibile ridurre la moralità sostanzialmente alla sfera della sessualità.

Molti si lamentano che questo papa stia distruggendo la Chiesa. In effetti lo sta facendo, perché anche in questo campo ha fatto un’affermazione rivoluzionaria per i conservatori tradizionalisti dicendo che «Dio stesso ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature, che abbellisce l’incontro tra gli sposi». Ha anche ammesso che san Paolo raccomandava l'astinenza perché attendeva un imminente ritorno di Gesù e voleva che tutti si concentrassero unicamente sull’evangelizzazione (1Cor 7,29), ma ha aggiunto che questa era una sua opinione personale (cfr. 1Cor 7,6-8), e non una richiesta di Cristo (1Cor 7,25)  (Papa Francesco, Esortazione Apostolica Amoris Laetitia del 19.3.2016, §150-159). Visto che a messa, alla fine della seconda lettura che di solito riguarda le lettere di Paolo, si dice “Parola del Signore”, Papa Francesco ci ricorda che quello che dice Paolo non è sempre proprio Parola del Signore. Va poi aggiunto che anche prima di lui già Papa Benedetto XVI aveva parlato, seppur di sfuggita, della gioia del sesso e della sessualità come dono (Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 151), senza che nessuno si strappasse i capelli, forse perché questa frase era nascosta fra le pieghe di un libro che pochi leggono, mentre molta maggior diffusione ha avuto l’Esortazione apostolica dell’attuale papa.

Certo che, per molti gladiatori dell’antica morale, accettare che la donna non sia più il diavolo che induce in tentazione, ma una dispensatrice di gioia, è ancora troppo dura da digerire, perché, credendo a un dio del peccato e della paura, ma possono accettare un Dio della gioia. Mi dispiace per loro.

 

Dario Culot

 

    

 

[1] Nella teologia della liberazione, mentre si invoca un’associazione diretta coi poveri, si contesta effettivamente alla Chiesa di essersi associata per troppo tempo alle classi dominanti per aiutare i poveri attraverso questa sua alleanza coi ricchi (P. Casaldàliga e J. M. Vigil, La spiritualità della liberazione, ed. Cittadella, Assisi, 1995, p.331), arrivando ad affermare che in tal modo è successo che la Chiesa si sia interessata ai suoi problemi in vista di sé stessa, a suo proprio vantaggio, e non si sia occupata appieno dei problemi attinenti alla giustizia e alla libertà se non quando si riferivano a sé stessa, alle sue strutture o al suo apparato (P. Casaldàliga e J. M. Vigil, La spiritualità della liberazione, ed. Cittadella, Assisi, 1995, p.320).  D’altra parte, è stato anche osservato come non si possano preparare preti disposti a camminare con le loro povere comunità quando vengono preparati dentro i palazzi, nelle zone belle della città eterna e gli si insegna che la loro cultura è inferiore a quella occidentale, giacché Roma impone un unico metodo formativo che rispecchia l’immagine occidentale medio-borghese del prete (Zanotelli A., Korogocho, Feltrinelli, Milano, 2003, p.82).