Il canto, lo sguardo e la lettera - Gabriele Via
Trieste di sera, foto del direttore
Il canto, lo sguardo e la lettera
di Gabriele Via
*
Canto dello Spirito
(componimento poetico utopistico - cioè per un popolo che non c’è - pedagogico e popolare, in forma di via crucis)
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz.
Perché l’unitario è l’enigma
immaginario del nome,
la prima religione
e il suo leggendario racconto,
origine del ritmo del mondo:
ferma agitazione celeste
del fenomeno, come un’alba,
un tramonto, un sorriso
dischiuso, simile a un fiore.
Non riesce a essere spiegazione
la bellezza della natura avviene
come improvvisa rivelazione.
Per questo si dice che Dio
prende l’iniziativa
e l’uomo liberamente risponde.
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz.
Bellezza e solitudine stanno
in silenzio davanti alla seduzione
del mondo, in ascolto.
L’illusione è la messa a fuoco,
letteralmente... Un attimo solo
poi segue la cenere... Shiva
posa lo sguardo sul volto del figlio...
Noi possiamo conoscere
solo la nuova forma:
Ganesh. Un certo altro.
La solitudine per essere solitudine
non può più restare da sola.
Se fosse sola non sarebbe solitudine.
Proprio per essere solitudine,
come il mare che fa l’isola,
occorre altro che la definisca.
La clessidra non sa che ore sono,
o quanto manca, o come stai...
Contro una deriva di decadenza
impara a morire guardando le cose
l’invisibile inganno del discorso
la nuova fede che salverà il mondo:
sì che sono carezze le parole,
e il rituale magico del dire
e mani incerte ancora nella cura.
Contumace, libera da parola,
ancora nel suo enigma: la volontà
diventa corpo abito dimora.
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz.
Nel procedere della tua libertà
che estende l’esistenza sensibile
all’atto del dire che diviene evento
leggendario nell’alba di un mondo
che pare per un respiro ancora
attendere per meglio esistere
che tu lo chiami ad esistere
e dunque lo benedica.
Questo, ora, lo dico io.
Loda. La morale e la politica
devono respirare fra
la responsabilità estetica
e la libertà metafisica. Loda.
Rilke scriveva che siamo qui per lodare.
Ed essere qui è molto.
Nessun ripiegamento quietista,
nessuna genuflessa obbedienza
alla pedagogia catechistica,
prona davanti alle disposizioni
liturgiche di una chiesa normativa,
ma lo stesso urlo barbarico
di Walt Whitman e del suo
“io, olistico e pietoso”.
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz.
Dire “non lo so” è l’unico modo
per conoscere la prossimità
concreta dell’alterità, che è già qui,
nascosta da ciò che predichiamo,
credendo di conoscere. Così
quel “non lo so” diventa
il necessario inizio di un commino,
per vastità concentriche. Un disco
di tronco segato, porta il disegno
di questi anelli concentrici
-legno, cambio- ed è lanciato
al centro del lago che reagisce
disegnando altrettanti cerchi
a partire dal segno della circonferenza
che contiene il disco di legno
che galleggia al centro
dilatando secondo la linea centrifuga
in cerchi maggiori, fino al perimetro
del lago dove le stesse onde
torneranno indietro
per inedite armonie...
Lago logo, l’ago
che il mondo cuce
in un tessuto di senso
significato e corporeo: luogo
alla misura sola di un tappeto.
E intanto una parola segnerà
l’esperienza di questa azione,
rivelazione, fenomeno... Non lo so.
Io sono colui che sono:
che equivale a dire: non lo so.
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz.
Come il folklore in cui ricorre
rumorosa ignota ingombrante
la festa comandata del santo,
apodittica e claustrale si offre
la formula liturgica degli assiomi.
Prima di diventare folklore
la scienza è uno stato di terrore.
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz.
Respiriamo nei tubi
facendone musica
in attesa che l’acqua
e ancora nuova una luce
riformuli il suo corso
trovandoci pronti perché le cose
facciano semplicemente il loro corso.
Sai: il libero arbitrio non esiste,
salvo il salmone che nuota
ora avanti ora indietro,
o armare una vela di trinchetto
il menu sul tavolo del ristorante
e l’insidia pronta dell’orso.
Ma se ti fa sentire meglio
chiamalo pure libero arbitrio:
bello, con il tuo colapasta in testa.
Di lontano i segni nascosti
dal segreto eterno delle cose
vengono raccolti, incerti
ad una prima interpretazione
col loro corpo in attesa
poiché la luce tutta viene sempre
ineffabile d’altrove.
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz.
Il linguaggio-pensiero abita
tra il Cielo e la Terra:
lo spazio-tempo che sta tra loro,
che è respiro. Per questo
la parola è fatta di voce
che proviene dal respiro.
Ogni singola parola
sia che posi o che voli
per umane labbra
per occhi vivi e tra le mani
è segno di questo transito
misterioso tra cielo e terra
e tra terra e cielo, ancora.
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz.
Il Dio che parlò a Mosè
scelse di manifestarsi
nel mondo sensibile
volle diventare Natura
andando incontro all’uomo,
nel fuoco. Il fuoco è l’elemento
libero dai vincoli terreni.
Sale dalla terra al cielo
per sua stessa natura.
Non chiede permesso.
Il fuoco sale dalla Terra al Cielo
tutto solo, è trasformazione.
Perché, Dio che è Signore celeste
per eccellenza, si fa fuoco
per parlare con Mosè
e non invece acqua,
che dal Cielo cadrebbe sulla Terra
per una stessa segreta natura?
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz.
Per rispondere -impossibilmente-
a questa domanda, forse
la cosa migliore è creare
un territorio di osservazioni
e costruire ragionamenti.
È bene comprendere prima di tutto
che la fonte dell’estetica non è il bello.
Il bello è l’ultimo dei temi
che mettono al centro
la questione estetica.
Il cuore dell’estetica è invece Dio,
dal punto di vista della possibilità
concreta di contatto con lui.
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz.
La filosofia con il Logos,
il pneuma, l’apeiron,
cerca da subito il punto
di contatto tra il sensibile, la Fisica
tangibile: con cui si può entrare in contatto
e ciò che sfugge al sensibile,
ma che pure c’è. Per la filosofia,
a partire dalla coscienza
che agisce nel pensiero
e che linguisticamente dice
che il pensiero esiste e prende
a nominare le entità, il gioco
è apparentemente facile e inevitabile.
L’estetica è quindi la disciplina
che connette le attività del pensiero
-il regno dei concetti e la loro economia:
la teoretica- con quanto cade
sotto l’esperienza dei sensi.
Ciò che cade nell’esperienza dei sensi,
in una parola, è il Mondo; mentre ciò
che è libero dal mondo e non cade
sotto l’esperienza sensibile,
in una parola è Dio.
Si pensi ancora ai simboli
del Cielo e della Terra,
del corpo e dello spirito.
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz.
Dio fa la sua comparsa nella libertà.
L’estetica della libertà
è un vento sulla faccia
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz
Per un’utopia di carezze
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz.
Fin quando la libertà
respirerà immobile
nella sua degna libertà da Dio
che è l’unica libertà di Dio
custodita nella materia dello specchio.
Bisogna mantenere viva
l’emozione del jazz.
Basterà osservare i bambini giocare.
L’inizio è solo dove l’occhio mette
a fuoco, come osserva Protagora
lungimirante.
Recuperare all’amore paura
e dolore richiede attenta cura
e un agire, insieme personale,
simbolico e formale.
E un qualcosa fatto di niente
come il tempo la vita
e il ricordo presente a quest’ora
il mistero di un insieme
che si riconosce e a parole si tiene
in petali aromi e colori
o che neppure si avverte
come clorofilliana fotosintesi
la qual pure - metafora naturale di Dio -
governa l’equilibrio della vita
sul pianeta: per alghe, licheni,
erbe e forestazioni.
Senza alcun tormento di teorie scientifiche
sulle catastrofi dell’inquinamento
e l’equilibrio infranto degli ecosistemi
senza conoscere il rapporto
tra fotoni e pigmenti tra foglie e radici
un sumero seimila anni fa
si prese cura del mio prezzemolo,
del basilico e del coriandolo;
del gelsomino, della rosa,
del mandorlo e del melo.
Non c’erano consorzi di bonifica
o per la raccolta differenziata
o lo smaltimento di oli minerali
eppure nulla andava sprecato.
Saranno stati la potenza dei miti
o gli anatemi di oracoli e profeti
ma agricoltura opifici mercati e città,
dimoravano sul letto della terra
in un religioso ascolto.
Tra loro soltanto gli uomini
sferravano il colpo di pugnale
frecce lance e bolidi infuocati
e per gli stessi segreti motivi
che oggi angosciano gli orizzonti:
paura, invidia, gelosia.
E come oggi scendevano in guerra
per una falsa promessa di pace.
Ora viviamo nella piena modernità
Per raggiungere un equilibrio perfetto
occorre tempo, si sa;
e si fanno diversi tentativi.
Il primo stalinismo fallì,
ma il secondo - quello televisivo
pubblicitario - ora funziona
perfettamente.
Come nel primo stalinismo
il progresso tecnologico
cerca in ogni modo
di spiegare all’uomo
come deve essere la sua vita.
E mentre distrugge il pianeta,
produce cento pianti
per accendere una lampadina
e resiste in ogni modo e ad ogni costo
alle lotte per l’uguaglianza,
la libertà e la fraternità,
che - chissà perché -
nessuna nuova tecnologia
(che un attimo prima
di essere messa sul mercato
era stata già venduta come
la tanto attesa risoluzione
di quei problemi
che impedivano il progresso)
ha mai facilitato sul serio.
Le multinazionali della morte
intanto insistono con la loro
ultima promessa:
la biotecnologia genetica
ci salverà dalla sciagura della fame.
Intanto ruspe italiane e americane
schiacciano arance a tonnellate,
per mantenere in salute i mercati.
La plastica, dopo avere reso inutile
qui la nostra vita, scende in mare
e uccide tutto quel che trova.
Se questo è progresso
mi vergogno di avere memoria
di quel saggio sumero
che forse come me ora
già si sentiva allora fuori dal mondo,
tanto aveva frequentato il dentro.
Si tratta quindi di scegliere
da che parte stare
lo stalinismo mi ha sempre fatto schifo.
Oggi più di allora: perché in tanti, ancora
-l’allegria analfabeta del cane negli occhi-
non lo distinguono, continuando a brindare
nella loro miserabile schiavitù
di omologazione fenomenale.
Lettera eretica seconda
Ieri ho incontrato un angelo buono
innamorato dei versi di Caproni.
Bastasse pregare per essere popolo
o qualcos’altro oltre il sole che sale
e alzarsi al mattino a confermare
con riti di incenso e gesti di fiori
la luce insanguinata del giorno
neonato alla tua bocca oracolare,
ché la preghiera forse ci perdona
rimasti in esilio in quella metà
senza sapere cosa stiamo a dire
nel suo rumore sordo di ricerca
cratere infinito di dolore
che non sappiamo neanche consolare.
Ed io ci provo a vivere, ci provo
davvero, e sa Dio quanto dispero
e il movimento cieco delle tende
che scruto con silenzio di preghiera
in questo esilio nudo
che ha la sola virtù della verità
che la meditazione sola ricerca.
E a chi già vorrà dirmi come si vive
dico: mostrami quei fori di chiodo
sulle tue mani e sui tuoi piedi;
non la casa frutto di fatiche
o il posto macchina giù in strada
ché la fatica rimane fatica
e il potere solo potere:
io sono vigile alla dogana
dove l’abito fa il monaco
da prima che tu nascessi.
Mostrami quei tuoi fori
e il sangue ancora del costato
che non smette di ferire
la poca luce che arriva fin quaggiù
mostrami solo questo.
Forse sei tu che non sai
che questo è già l’inferno:
solo qui potrà esserci paradiso.
Lo scrivo soltanto,
non lo devo spiegare.
Dimmi cos’hai fatto per questo,
che della volgare e rumorosa
fragilità del mondo
che inaugura celebra e proclama
i suoi manufatti di fango e sterco
che spiega dimostra e condanna
idoli teoremi e nemici
ahimè so già tutto, fino alla fine:
che ora c’è -e non grazie a te
e domani non più -e tu non sai perché.
Mostrami dunque solo cos’hai fatto
perché l’inferno tramuti in paradiso.
Mostrami quei fori vivi e vedrai
dialogheranno coi miei
perché l’amicizia fa così.
Già mi tocca la lezione quotidiana
dei mille poeti italiani
tatuati nel corpo e nel senno
da brutali guru locali
-ché per uno spiccio e un boccone
impara il cane a muovere la coda-
e mi spiegano cos’è la poesia.
La salvezza esiste solo
per chi arrivi a credere
di esserne rimasto davvero escluso,
e lì trema come un cane abbandonato
come Cristo abbandonato sulla croce
da Dio e dagli uomini, tutti.
Ma oltre quella notte oscura
incontra un eterno tesoro
che tu ancora credi di poter capire,
o -peggio- di ereditare.
Se Dio è morto,
e quel Dio è certamente morto,
perché insiste invece,
come il tuo voler capire,
quella certa Chiesa
barricata nei cervelli
e nell’assedio moribondo
di un clero in estinzione,
o tra le mura dei pochi palazzi
rimasti ai custodi dei loro forzieri?
Vedi, qui non c’è popolo per i canti
e torna indietro, come una noce secca
che rotola nel ventre di una botte vuota,
perfino la proclamata preghiera.
Gli angeli sono rimasti
per la fine dei lavori:
danno un’occhiata in giro
il baraccone ha smontato
Dio si è messo in strada da un pezzo
nella carne offesa da prepotenze bianche
di quattro miliardi circa di persone.
E non ha mai abitato nei tabernacoli
dove covano acide inesistenti colpe
e pericolose paure assieme ai cedolini
dei versamenti imperiali
per il mantenimento sordo
del pretame. Loro sì
che giustamente si sentono in colpa
ogni giorno, perché un giorno al Dio
di carne hanno creduto per davvero,
e i santi, suscitati tra essi,
quel cedolino lo rendono al povero,
e condividono la casa. Ma non tu,
che da sempre alla semplicità
preferisci le più oscure trame complesse,
pigro lettore dei miei lamenti
antichi come le ossa di Isaia
e continui a dirmi:
questa roba non è di certo poesia.