L’opposizione dei Gesuiti atei

Mary and Gabriel, Nazaret, Israele, Basilica dell’Annunciazione

- foto tratta da commons.wikimedia.org

Sono momenti in cui incombe sulle nostre vite – giacché ignorarne le implicazioni esistenziali per ciascuna e ciascuno di noi non è che ratifica di una tragedia politica in atto, di una inconsapevolezza da incubo – una crisi di Governo, che non è semplicemente noiosa ripetizione di un rito burocratico, ma è diaframma di una vera e propria crisi culturale, con conseguenze a lunghissimo termine esattamente per noi, tutti, tutte.

Il momento istituzionale che vive il nostro Paese in queste ore è di una tale delicatezza ed importanza da richiedere spazi di silenzio – di discernimento, direbbero i Gesuiti -, per illuminare la notte così come si può, per riscattare la forza del pensiero e della parola, della legge e dell’amore (come ambiziosamente si intitola il nostro Convegno previsto per il prossimo ottobre).

Il diritto costituzionale risulta negletto un po’ da tutti – anche nella discussione per strada o sul bus –, perché è il diritto privato, come ha commentato in suo post su Facebook il teologo liturgista Andrea Grillo, ad avere centralità assoluta, il contemperamento di interessi non più, però, nella logica del “prego, prima lei” bensì secondo quella del “prego, prima io”.

Eppure, lo diciamo quasi trattenuti dal pudore ma dobbiamo dirlo, una opposizione esiste, un’alternativa viene disegnata, indicata, un ragionamento altro si insinua tra le fenditure della sopravvissuta sensibilità civica, ma è oltremodo fastidioso.

Per quanto paradossale possa sembrare, è l’opposizione del Papa, sì di Francesco papa, vescovo di Roma, a ritagliarsi, ad occupare uno spazio di alterità rimasto vuoto e, bisogna ben considerarlo, è l’opposizione di un papa che viene giudicato non solo eretico ma sostanzialmente ateo da tutta una folta schiera di religiosissimi esponenti, d’élite o di popolo.

Proviamo a dire meglio.

È molto forte in sé l’affermazione di ateismo, cioè il sostenere che nessun Dio esista, sia presente, sia ammissibile, sia avvicinabile, interrogabile e men che mai “incarnabile”.

E tuttavia i Cristiani furono accusati proprio di ateismo dal potere imperiale romano e Gesù di Nazaret fu apostrofato come “bestemmiatore”, secondo quanto narrano i Vangeli. Il bestemmiatore è il nemico e chi lo accusa si considera unico titolare della lecita invocazione del nome di Dio.

Il cattolicesimo non cristiano di Mussolini si configurava come angoscioso tentativo di scongiurare un ateismo assai simile a quello dei primi secoli della comunità ecclesiale onde evitare la portata francamente politica di qualunque coerenza di fede evangelica professata o tacitamente praticata, cercando di resecare la religione da essa, dalla fede, per salvare l’apparato sociologico di quella unica religione di Stato.

La religione combatte fieramente l’ateismo, la fede invece lo stima, lo studia, ne è interpellata, lo cerca come suo alleato, anzi, meglio, come suo ingrediente, suo componente necessario, sua dimensione costitutiva.

La religione è insieme di regole, discipline, dottrine che devono incontrarsi o scontrarsi con la politica. Le fede è altro, mette in crisi la politica perché mette in crisi la coscienza.

Abbiamo letto e sentito dell’invocazione a Maria di Nazaret quale patrona di leggi che sanzionano, punendolo, il soccorso in mare. La fede ne è semplicemente inorridita, la religione può disinteressarsene o forse addirittura compiacersene, giacché l’ossequio alle Sacre Figure è sempre apprezzabile anche quando completamente capovolto il suo senso.

Maria di Nazaret era donna di fede, ma assai poco di religione dal momento che riuscì ad evitare accuse di adulterio solo grazie alla (assai sospetta per ogni devoto custode di morale) sensibilità di un marito che si infischiò di tutti i codici religiosi tenendo con sé lei e il figlio, di qualcun altro, che portava in grembo.

Il Papa gesuita parla molto chiaramente. E molto chiaramente parla il direttore gesuita de “La Civiltà Cattolica”. Il cattolicesimo italiano è come superato dalla parresìa vaticana di queste ore, possibile forse anche in virtù della vituperatissima indipendenza statuale della Santa Sede. Ma così obiettivamente è. E che la Santa Sede si opponga in modo evidente a chi invoca la Vergine Maria crea un salutare, benefico, sempre più auspicabile cortocircuito tra religiosità come cementificazione della società intorno al potere e profezia come costante ascolto degli altri, di chi non ha alcuna rappresentanza (meno che mai politica), nessuna voce, nessuna possibilità di far conoscere neppure il proprio nome, che è condannato a morire in mare, non dando ossigeno nemmeno ad un’ultima, disperata, speranza.

E così Francesco si ritrova in buona compagnia, imputato di un “ateismo” di cui c’è da andar fieri perché è il medesimo di Gesù di Nazaret davanti al potere religioso.

Esiste, tuttavia, una variante che si configura come reazione congiunta sia alle invocazioni a Maria sia alla denuncia papale. È la variante del cinismo, del liquidare tutto sino al punto da ritenere inutile l’esercizio del voto: è la variante del “siete tutti uguali” ed anzi del ritenere chi si oppone più uguale ancora, più condannabile di chiunque altro perché agitato da demone inane, da un soggettivismo meritevole di compassione e nessuna cura. L’opposizione al Governo in questo momento è bersaglio anche di simile attitudine critica, del tutto legittima beninteso ma completamente all’opposto dalle ragioni ideali che animano pure chi dirige questo nostro settimanale.

Che cosa fa la differenza? La parola sembra abusata, probabilmente addirittura impropria, eppure è l’amore a distinguere. Esiste un amore privato, privatissimo, da cono d’ombra, persino clandestino (ma per niente destinato ad affogare, anzi, celebrato come unico e vero amore, e però, sia detto per inciso, manco parente dell’ammiratissimo amor cortese) ed esiste un amore pubblico, che sporca, contamina, ingloba, suscita empatie, allarga invece di restringere, si mette in discussione, va in crisi, rischia invece di garantirsi sicurezze, si mette alla prova, si spende, si alimenta di passioni civili, sociali, filosofiche. Anche la coppia, qualunque coppia, può vivere ed in effetti vive di simile dialettica.

L’Amoris laetitia di Francesco parla di un amore che ha molto indispettito – addirittura fatto infuriare – molti devotissimi spiriti religiosi. Perché è appunto un amore che accetta di attraversare la crisi ed ogni crisi, anche quella più intima, è politica, pubblica, dal momento che coinvolge e interroga la società in cui avviene.

Ed anche la politica, la politica di queste ore, di questi minuti, di questi giorni, o è “amoris laetitia” o è gioco di potere.

E l’amore traluce dalla gioia di sapere che io godo se godono con me gli altri. Non è questione di etica e buona creanza – “prego, passi pure prima lei” -, è questione di sapere che le nostre vite sono indissolubilmente unite le une alle altre, che esiste un matrimonio “ontologico”, “universale”, che supera di molti i tanti matrimoni e le tante contraddizioni, sofferenze o gioie di essi.

Vedremo se il cattolicesimo non cristiano sarà ancora premiato o se l’ateismo cristiano, follemente nuziale, troverà finalmente spazi esplicativi finora neppure osati.

Per il momento continuiamo a cercare Altro, insieme ai Gesuiti pare.

Buona domenica.

 

Stefano Sodaro