Trinità: l’inquadramento del problema

Particolare della spirale dei Newgrange: vita, morte e rinascita - immagine di Dario Culot

Sarebbe ovviamente presuntuoso e stupido pretender di offrire in poche pagine un sunto completo di come si è sviluppato nei secoli il pensiero sulla Trinità, nelle sue varie e molteplici forme. Tutto quello che posso cercar di fare è presentare un ristretto numero di riflessioni su questo difficile argomento, senza entrare in temi di alta speculazione teologica, visto che non sono neanche teologo.

Con sicurezza si può confermare che, ancora oggi, la teologia cerca di far passare la Trinità come un pensiero spiritualmente vitale per i credenti, affermando che il fondamento della fede cristiana è l’unicità e la trinità di Dio, e aggiungendo che l’esistenza della Trinità (tre persone divine con un’unica natura divina) ci è stata rivelata direttamente da Gesù Cristo. Per molti credenti, però, la Trinità non significa praticamente nulla, e molti che dicono di crederci non la sanno minimamente spiegare, sì che già questo è un elemento che dovrebbe farci riflettere. Comunque, credo sia ancora tutto da dimostrare che sia mai esistito un Gesù terreno che, su questo argomento, abbia trasmesso ai suoi discepoli nozioni tali da farle poi linearmente sviluppare come oggi ci prospetta il magistero della Chiesa.

Per i musulmani, i cristiani che credono alla Trinità sono semplicemente dei politeisti. I musulmani riconoscono Gesù come un grande profeta inviato da Dio, ma negano che abbia rivelato Dio come Essere trinitario: in Dio c’è solo unicità e non trinità[1] (nda: in questo articolo, come nei prossimi di questo mese riguardanti la Trinità, potete anche evitare di leggere le note, che servono solo per chi volesse approfondire o individuare le fonti su cui mi sono basato). Siccome Dio è puro Spirito, se ci fossero tre persone in Lui ci sarebbero tre Spiriti (ovvero tre dei), ma se c’è un solo Spirito non ci possono essere tre persone. Se il Padre è Spirito, non è già Lui lo Spirito santo? E se è Lui lo Spirito santo come ci può essere un altro Spirito santo? E poi, chi è amore? Il Padre, il Figlio, lo Spirito santo o la Trinità?

È stato in realtà Tertulliano (155-230 d.C.) il primo fra i teologi cristiani a parlare di Trinità[2]. Gesù non ne ha mai parlato, tanto è vero che il termine fa capolino appena verso la fine del II secolo[3]. Inoltre la dottrina della Trinità non si è imposta da un giorno all’altro; è stato un faticoso andare a tentoni, con interminabili dispute e grossi sforzi per fissare un lessico condiviso[4]. Per giungere al dogma e alle formule che ancora oggi usiamo ci sono state lotte durate per qualche secolo[5]. Il dogma è infatti del 381, col Concilio di Costantinopoli. Gesù era morto da quasi tre secoli e mezzo. Quindi il consenso teologico sulla Trinità è arrivato fino a noi per gradi e dopo feroci scontri proprio perché il Nuovo Testamento non offriva una teologia trinitaria elaborata[6]. È evidente, allora, che la costruzione trinitaria (che pretende di spiegarci chi è Dio e com’è Dio in sé, cioè qual è il vero essere di Dio) non può essere stata prospettata direttamente da Gesù.

Infatti, se leggiamo i vangeli, cosa ci ha detto Gesù di Dio? Nulla circa il suo essere; molte cose circa il suo modo di comportarsi: Dio è come un papà sempre pronto al perdono (Mt 18, 21-22), buono con tutti, con i buoni e con i cattivi, proprio come il sole che splende per tutti, per i buoni e per i cattivi (Mt 5, 45). Dio non vuole l’uomo al suo servizio non avendo bisogno di niente, ma al servizio degli altri uomini[7]. Con l’unico e nuovo comandamento Gesù non chiede nemmeno di amare Dio (Gv 13, 34). Visto che Dio è amore (1 Gv 4, 8) “vedete anche voi uomini di volervi bene e di custodirvi gli uni gli altri” (Gv 13, 34). È la Bibbia che impone di amare Dio (Dt 6, 5), e anche il Catechismo (n. 358 Catechismo) impone di amarlo e servirlo. Invece Gesù invita ad amare l’uomo, perché così si assomiglia a Dio. Anzi, non serve amare Dio se manca un amore operoso verso gli altri (Gc 1, 22-23; Gc 2, 14-17; 1 Gv 3, 18). Di più, quando nei vangeli i farisei chiedono a Gesù qual è il comandamento più importante (Mt 22, 36-40) nella sua risposta, Gesù non solo non cita il comandamento del riposo del sabato (quello che, come diceva la Bibbia, Dio stesso osservava - Gn 2, 3), ma neanche nessuno dei comandamenti delle due tavole, neanche i primi tre che riguardano proprio Dio. Peggio ancora: Gesù trae dal Deuteronomio (Dt 6, 5) la prima norma, e dal Levitico (Lv 19, 18) la seconda, ed unendo i due precetti dimostra innanzitutto che l’amore per Dio diventa pura astrazione se non si esprime contemporaneamente nell’amore per il prossimo[8]. Inoltre va sottolineato che questo resta un insegnamento per la comunità giudaica che lo stava interpellando, ma non per la comunità che segue Gesù, e quindi non per i suoi seguaci, per i quali vale solo il nuovo comandamento dell’amore reciproco (Gv 13, 34) (cfr. l’articolo Gesù non chiede di amare Dio, al n. 483 di questo giornale, https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-483---16-dicembre-2018-1/numero-483---16-dicembre-2018). Nel comandamento nuovo Gesù non parla proprio dell’amore di Dio e del prossimo, anzi, neanche menziona più Dio. Dunque, chi ama l’essere umano, chiunque sia, ama Dio (Castillo J.M.). E Gesù aggiunge che “Da questo (amore vicendevole) tutti sapranno che siete miei discepoli”, non quindi dagli abiti indossati, non dalla liturgia e dal culto sacro seguiti alla perfezione, non dall’aver osservato il digiuno o il riposo del giorno festivo, non dall’aver proclamato al mondo i dogmi, come appunto quello della Trinità.

Insomma, dopo duemila anni, per quanto piccoli e grandi teologi abbiamo sviscerato l’argomento, noi ci troviamo nel rapporto uomo-Dio come il cane si trova nel rapporto cane-uomo. Mi spiego meglio. Cosa sa di me il mio cane? Sostanzialmente nulla, anche se viviamo vicini vicini tutto il giorno: non sa niente dei miei interessi culturali, non sa niente del mio passato, della mia pregressa vita affettiva, non sa niente dei miei amici che contatto via internet, non sa niente del posto che occupo nella società, non sa niente di quello che sogno per il mio futuro. Conosce solo un’infinitesima parte di me. Sa però che gli voglio bene e che può fidarsi di me, e questo gli basta. Stando ai vangeli, probabilmente dovremmo fermarci qui anche nel nostro rapporto uomo–Dio. Gesù, divulgando la Buona notizia, ci ha fatto sapere che Dio ci ama e che ci si può fidare di Lui, e se vogliamo assomigliargli dobbiamo solo amarci reciprocamente. Non molto altro ci ha detto Gesù di Dio in tutta la sua vita (Chiesa S.). Il resto è stato congetturato, elevato a norma e imposto dalla religione. Il magistero della Chiesa, infatti, mettendo insieme dei frammenti che possono essere variamente intesi, ha tratto delle conclusioni come se Gesù ci avesse rivelato tutto di Dio, mentre tutte le dottrine ed i dogmi sono frutto di pensieri e congetture esclusivamente umani, i quali hanno utilizzato uno schema metafisico sorto con la filosofia greca. Anche la formula trinitaria è dunque una formula umana,[9] e come tale non è rivelata da Dio, ma traduce un’esperienza umana. E l'esperienza di Gesù nel suo incontro con quel Mistero può forse riassumersi così: egli ha provato l’esperienza di essere amato incondizionatamente da quel Mistero, ma allo stesso tempo di essere richiamato da esso[10].

Si può essere d’accordo che nei vangeli si afferma la fede in Dio come Padre, in Gesù come Figlio e nello Spirito Santo. Cioè, si dice che il Dio nel quale crediamo è prima di tutto Padre, il quale si impone per la sua amorevole bontà e non per il suo potere divino. Questo Padre si è fatto conoscere in un essere umano, Gesù, che viene denominato il Figlio, e questo Figlio rivela un Padre profondamente umano e vicino a tutti gli esseri umani. Infine questo Dio nel mondo e nella storia agisce per mezzo della forza dello Spirito. In maniera tale che i “segni dei tempi” nella storia e nella vita degli “uomini di spirito” ci segnano l’orientamento ed i percorsi che dobbiamo seguire per essere fedeli al Padre di Gesù nello Spirito (Mt 28, 16-20) (Castillo J.M.). Si deve invece ribadire con certezza che nei vangeli mai si trova una sola pericope in cui Gesù abbia detto che in Dio ci sono tre persone e una natura, e che lui è la seconda persona di questa Trinità, essendo però solo persona divina e non umana.

Pertanto, se il dogma trinitario è frutto del pensiero filosofico umano, e non rivelazione diretta di Dio, perché non dovrebbe essere possibile ripensarlo e riformularlo in termini più adeguati alla cultura di oggi? Mi permetto di osservare che, o i dogmi sono talmente autoevidenti (e quindi inattaccabili dal punto di vista razionale[11]), oppure è forse giunta l'ora di pensare che ogni dogma (che in realtà per la Chiesa equivale a un tabù giacché pone il divieto di metterlo in discussione) debba invece essere riconsiderato alla luce delle circostanze storiche in cui venne formulato, adeguandolo alla cultura e alla mentalità odierna, visto che entrambe sono sempre dinamiche (cfr. l’articolo I dogmi, al n. 470 di questo giornale, https://sites.google.com/site/agostosettembre2018rodafa/numero-470---16-settembre-2018/i-dogmi). I protestanti, ritenendo i tabù cattolici connessi al senso religioso più bigotto, ritengono che possano essere criticati e che possa essere sottoposta a critica anche la stessa istituzione ecclesiastica che ha imposto quei dogmi. Anche noi dobbiamo avere il coraggio di parlarne! Tanto più che la Trinità è ancora oggi un dogma aggrovigliato, visto che lo stesso magistero ci dice che è un mistero assoluto che rimane essenzialmente incomprensibile (n. 237 - 1066 Catechismo). Ma allora, com'è possibile che il magistero pretenda di imporre a tutti la propria verità su concetti che sono per lui stesso misteriosi, che sono stati pensati in passato da persone appartenenti al magistero terreno, ma mai affermati da Gesù? Sembra cioè che il magistero abbia voluto spiegare quello che non sapeva.

Immaginiamo per un momento Gesù oggi, non in mezzo agli apostoli, ma in mezzo a un gruppo di vescovi a Roma, che ripropone la stessa domanda che aveva fatto a Pietro: “Chi dite che io sia?” Tutti questi vescovi all’unisono risponderebbero in coro: “Tu sei la seconda persona della Trinità, l’unione ipostatica della divinità e dell’umanità, tu incarni due nature nella tua unica persona,” mettendo in evidenza l’abissale impreparazione teologica di Pietro e facendogli fare una meschina figura, visto che si era limitato a dire: “Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente” (Mc 8, 29; Lc 9, 20). Ma siamo poi così sicuri che Gesù non resterebbe sbigottito davanti a questi discorsi teologici che lo riguardano? Siamo così sicuri che Gesù forse non risponderebbe: “Ma cosa state dicendo? non capisco”. Non vi sfiora mai il dubbio che, a volte, non sia stata proprio la teologia speculativa, nel corso dei secoli, a deformare il vangelo? Non vi passa mai per la testa che un’enorme distanza sembra spesso separare il Gesù terreno dei vangeli dal Cristo che ci è stato illustrato dal magistero? (Gounelle A.).

Certamente l’idea trinitaria non è né originale, né esclusiva del cristianesimo. Nell’antico monumento celtico di Newgrange, in Irlanda, costruito prima delle piramidi egiziane, c’è una grande pietra all’ingresso. La pietra contiene un simbolo antico e diffuso, quello delle tre spirali. Questo simbolo echeggia quello del mistero pasquale del cristianesimo, e cioè i cerchi della vita, della morte e della rinascita attraverso cui tutti passiamo. Dio stesso è il primo a creare le forme per poi dissolverle e ricomporle in manifestazioni differenti: crea il fiore, poi decompone il fiore perché nasca il frutto, quindi fa cadere il frutto sulla terra perché la pianta riprenda il suo ciclo. Pochi, quando fanno il pieno di benzina ed usano un carburante fossile, pensano che in passato quel petrolio era animali e piante, e che quegli animali e piante sono morti e rinati sotto forma di petrolio. Dunque, quando anche noi parliamo di un Dio creatore, parliamo in realtà di un divenire continuo, di un passaggio continuo da una forma ad un’altra, di un passaggio continuo dalla vita alla morte, e dalla morte alla vita; morte e resurrezione. Ecco che anche in India troviamo un Dio trinitario che è continuamente creatore (Brahma), è continuamente conservatore (Visnu), è continuamente distruttore (Shiva). Anche lo zoroastrismo ha la sua trinità: Ahura Mazda, la sua sposa Anahita e il loro figlio Mitra.  Dunque il mistero trinitario è una consuetudine cosmica (Fox M.).

“Ma la Trinità cristiana è diversa” affermerà qualcuno con sicurezza. “È possibile. Ma per convincerci deve essere spiegata chiaramente”. E come prima risposta vorremmo sapere: come si è arrivati alla formulazione trinitaria cristiana? Perché poi i cristiani hanno distinto in Dio ciò che è sempre identico (chiamandola natura divina) e ciò che resta distinto (tre persone)? Se ognuna delle tre persone (Padre, Figlio e Spirito) ha un nome che lo identifica individualmente come possono tre individui costituire un solo Dio unitario? Di primo acchito, dire che uno è uguale a tre è come dire che il cerchio è quadrato. Non per niente sono stati spesi fiumi d’inchiostro per cercar di far capire alla gente comune cos'è questa Trinità. Vuol dire che la cosa non era poi così evidente. Ed è proprio per queste oggettive difficoltà che ancora oggi, la maggior parte di coloro che dichiarano di credere alla Trinità, non sanno spiegarla perché non hanno capito di cosa veramente si tratta. Non credono realmente alla Trinità, ma al magistero che dice che bisogna credere.

Per le spiegazioni più semplici i sapienti hanno fatto ricorso ad immagini: è stato fatto l’esempio del triangolo equilatero, in cui tre angoli uguali ma distinti fra loro fanno parte della stessa superficie[12]. Altri han fatto l’esempio di una bandiera unica con tre colori distinti, oppure del trifoglio, unica foglia con tre punte distinte. Altri ancora hanno fatto l’esempio dell’acqua (una sostanza), che può assumere la forma solida, liquida e gassosa, ma sempre acqua rimane.

Sant'Agostino ha portato un altro esempio: “tre cose sono negli uomini. Tre cose che sono diverse dalla Trinità... Parlo di queste tre cose: l’essere, il sapere, il volere. In realtà io sono, so e voglio. Sono, sapendo e volendo; so che sono e che voglio; voglio essere e sapere. Tre cose: una sola vita”[13]. Sempre Agostino, poi, ha aggiunto che lo Spirito è la base primaria dell’unità trinitaria, perché come amore lega il Padre e il Figlio; perciò lo Spirito procede dal Padre e dal Figlio[14].

Papa Giovanni Paolo II ha fatto riferimento alla famiglia: «Il nostro Dio, nel suo mistero più intimo, non è solitudine, bensì una famiglia, dato che ha in sé paternità, filiazione e l’essenza della famiglia che è l’amore. Questo amore, nella famiglia divina, è lo Spirito Santo»;[15] l'analogia con la famiglia ha indubbiamente una poderosa forza di evocazione perché si fonda su un’esperienza umana naturale: padre e madre si amano e si riconoscono; il figlio è la testimonianza della realtà di questo amore davanti a tutti, ed è co-amato dai genitori.

Usando un linguaggio più difficile e filosofico è stato detto che in Dio vi sono tre persone in un’unica natura (o sostanza). Il Padre da nessuno è fatto, né creato, né generato; il Figlio (Logos o Verbo o Parola) è generato, ma non fatto, né creato dal Padre; lo Spirito Santo procede da loro, senza essere fatto, né creato, né generato. Il Figlio è il frutto del pensiero del Padre, e dalle relazioni fra Dio e il suo Pensiero eterno abbiamo l’Amore, con cui le prime due Persone si amano. E questo Amore infinito che va e che torna, si consolida assumendo una forma personale che si chiama Spirito Santo[16]. Tutto ciò che il Padre è, lo trasmette al Figlio[17]. Tutto ciò che il Figlio riceve lo ridona a sua volta al Padre. Questa donazione è lo Spirito, che è quindi comunione fra Padre e Spirito. Il Padre può continuare a generare il Figlio perché riceve indietro la Divinità che gli ha dato. In questo modo si completa il ciclo trinitario,[18] che è dinamismo comunitario.

Da tutta questa costruzione, l’unica cosa sufficientemente chiara è che siamo davanti a un dinamismo. I nomi Padre, Figlio, Spirito, perciò, non significherebbero tanto tre individui consapevoli e responsabili aventi una comune natura o essenza, come fossero tre uomini aventi la stessa natura umana. In tal senso si è voluto ‘chiarire’: «Questi nomi dichiarano piuttosto che l'esistenza di ogni ipostasi (persona) della Causa incausata di tutte le cose (che noi chiamiamo Dio) si realizza come libertà di relazione amorosa. Il Padre non esiste per sé stesso. Generando il Figlio e processionando lo Spirito nega l'individuale autocompiutezza e liberamente attua l'essere come relazione, come amore. Colui che è la causa dell'esistenza esiste non perché è Dio, ma perché vuol essere il Padre, libertà ipostatica di amorosa autodonazione. Il nome "Figlio" dichiara che la concreta ipostasi non esiste in sé e per sé. Vuole esistere perché ama il Padre: rende testimonianza al Padre e non a sé stessa»[19]. Chiarito tutto? Non credo, perché questi linguaggi teologici che volano così alti mi sembrano assai involuti. Se uno scrive in maniera complicata è forse perché lui stesso non ha le idee chiare. Già qualche secolo fa, Thomas Jefferson, uno dei primi presidenti degli Stati Uniti, aveva scritto in maniera lapidaria: “Le idee devono essere chiare perché la ragione possa procedere ad analizzarle, e nessun uomo ha mai avuto un’idea chiara della Trinità”.[20]

Alla fin fine, mi sembrano molto più chiare e comprensibili le confutazioni di tutte queste spiegazioni, piuttosto che le spiegazioni stesse, che comunque la gente comune non riesce a capire.

Già sembra improprio parlare di “attuare l’essere come relazione”, perché è vero che, come hanno insegnato altri studiosi della Trinità, Dio è perfetto e l’amore mutuo fra le persone è più perfetto dell’amore singolo. È anche vero che una relazione presuppone la co-esistenza di almeno due esseri, ma ci si dimentica che Dio non può essere ricompreso né nella categoria del singolare, né in quella del plurale, essendo al di sopra di queste categorie limitative. Non è possibile perciò parlare di Dio come si parlerebbe di una relazione fra due singole persone (ad es. padre e figlio).

Quanto all’amore che unisce Padre e Figlio (denominato Spirito Santo), soprattutto nelle Chiese orientali si è obiettato che in tal modo lo Spirito Santo veniva depersonalizzato, o quanto meno la sua identità di persona non emergeva in modo chiaro[21]. Forse è giunto il momento di cominciare ad abbandonare proprio il termine “persona” quando si parla di Trinità, visto che ormai anche nella dottrina ufficiale si riconosce che il termine “persona” ha, nell’uso corrente, un significato diverso dal passato (cfr. l’articolo Gesù e Calcedonia al n. 449 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numeriarchiviati2/numeri-dal-26-al-68/1999992---aprile-2018/numero-449---22-aprile-2018/gesu-e-calcedonia), quando non corrispondeva all’idea odierna di singolo individuo umano, che per di più noi percepiamo come un’entità limitata,[22] per cui è impropriamente usato oggi per spiegare la Trinità.

Non vanno bene neanche le immagini del triangolo, né quella della bandiera, che non sono esseri viventi per cui non c’è bisogno di coordinare intelletto e volontà fra il triangolo e i tre angoli, o fra i tre colori e l'unica bandiera, o fra l’acqua liquida, solida e gassosa. Comunque tutte queste immagini mancano del dinamismo presente nella Trinità.

Quanto all’esempio della famiglia, si può obiettare che quando si afferma che Dio è comunione perché è Trinità di tre persone, cioè tre persone e una sola comunione o comunità trinitaria, si può pensare, sì, a una comunione fra i due coniugi e un figlio; ma per quanto si affermi che Dio è comunione, come la famiglia è comunione, le tre persone della famiglia restano tre persone autonome, ciascuna con un suo intelletto e una sua volontà (come ben sanno i genitori quando il figlio diventa adolescente, o i due coniugi quando litigano e non la pensano allo stesso modo); le tre persone della Trinità, invece, non si distinguono visto che una sola rimane la volontà e uno solo l'intelletto, per cui si finisce per annullare la stessa personalità.

Quanto a sant’Agostino si può obiettare che quelle tre cose unite (essere, sapere, volere) sono caratteristiche di ogni singola persona, di ogni vita umana che è separata dall'altra, per cui con questo esempio siamo sempre in presenza di un’unica persona, non di tre persone distinte.

Comunque, essendo Dio incorporeo, nessuna immagine di figure corporee potrà mai rappresentarlo perché nessuno di questi esempi permette di considerare un Dio non-spaziale, e tutte mancano del senso del Padre come fonte della divinità,[23] per cui sono tutte immagini inadeguate.

Non solo: visto che ci è stato insegnato che la Trinità agisce all’unisono (quello che vuole il Padre lo vogliono anche le altre due persone), ma che esistono anche azioni proprie delle tre persone divine della Trinità, quale sarebbe il criterio in base al quale queste tre persone agiscono ora all’unisono, ora singolarmente? (Boff L.). Il magistero non è in grado di spiegarlo; infatti non l’ha spiegato. Ad esempio, Anania ha mentito a Dio (At 5, 4) e la moglie Saffira allo Spirito santo (At 5, 9): è la Trinità tutta assieme che li ammazza, o solo lo Spirito santo? Se anche il Figlio partecipa alla decisione trinitaria, diventa difficile sostenere che l’insegnamento di Gesù impone di non ammazzare mai nessuno, essendo meglio essere vittima che carnefice (pensiamo a come ha trattato Giuda, che l’ha fatta ben più grossa dei coniugi Anania e Saffira). Altro esempio: l’Incarnazione è opera della Trinità o propria di una sola delle tre persone? Se tutte e tre le persone hanno voluto la stessa cosa ed hanno agito all’unisono, anche il Figlio avrebbe partecipato nella gravidanza di sua madre, per cui sarebbe - in quanto Dio,- padre di sé stesso. Ma se è stato solo il Padre a volere e decidere, e lo Spirito santo ad agire, il Figlio sarebbe stato tagliato fuori; come mai? Forse perché non venissimo sfiorati dall’idea di incesto? Insomma, più si cerca di puntualizzare, più dubbi sorgono.

“Occorre superare i dubbi e credere per fede” diranno i pii credenti.

“Eh no! non ci siamo”.

Come si è spiegato nell’articolo Cosa è la fede al n. 498 di questo giornale (https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-498---31-marzo-2019/cosa-e-la-fede), noi non accettiamo l’idea paolina secondo cui fede è quella che viene dalla predicazione (Rm 10, 14-17), per cui aver fede vuol dire accettare la verità insegnata dai legittimi pastori della Chiesa. Nel Vangelo di Gesù la fede non s’intende come la credenza in una dottrina di una determinata religione e come l’obbedienza ai dirigenti di questa religione, ma come sequela di Gesù. Quindi giustamente pretendiamo di ottenere spiegazioni ragionevoli proprio dal magistero.

Sempre nello sforzo di chiarire cos’è la Trinità (fatta di una sola natura e tre persone), il papa emerito ha scritto: mentre nella donna, attraverso l’atto del generare, viene generata una persona diversa (il figlio), nella Trinità è la stessa azione del generare del Padre, cioè del suo darsi, dell’uscire da sé, senza il successivo e separato atto di generare, a costituire la persona del Figlio. L’azione di donazione, nella Trinità, è già persona[24]. Se ho ben capito cosa intendeva dire il papa, mi sembra che si possa azzardare questo paragone: l’idea di generare senza un prima e senza un dopo può aversi umanamente solo in riferimento al pensiero. Pensiamo a un cubo: ne è risultata un’immagine mentale. È evidente che l’atto immaginativo è stato la causa, e l’immagine mentale il risultato. Ma ciò non significa che prima abbiamo immaginato, e poi abbiamo ottenuto l’immagine. Le due cose sono avvenute simultaneamente. In altre parole, la nostra mente ci ha messo davanti agli occhi l’immagine del cubo; eppure l’atto di volontà e l’immagine sono cominciati esattamente nello stesso istante, e nello stesso istante sono terminati. Allo stesso modo si dice della Trinità che la causa (il Padre) non è anteriore agli effetti (il Figlio e lo Spirito Santo)[25]. Se c’è un Essere che è sempre esistito e che ha sempre pensato (Dio), il suo pensare produrrebbe sempre un’immagine mentale (sé stesso, che chiamiamo Figlio), e questa immagine sarebbe eterna come l’atto del pensare. Dunque, Dio-Padre pensa, ed essendo il suo pensiero un pensiero di amore, si può dire che l’amore di Dio viene dal suo pensare[26]. Se Dio pensa ha un suo pensiero infinito, ma anche reale, in Lui. E se è in Lui è Dio. Non è il pensare di Dio che è la seconda persona; ma il frutto del pensare, cioè l’immagine di sé stesso, uguale a Lui, perfettissimamente in tutto quanto[27]. La sorgente di questo amore che va, la definiamo nella Trinità col nome di Padre[28]. Chi riceve l’amore e lo ritorna lo definiamo col nome di Figlio. Dunque, amore paterno, e di rimando amore filiale. Poi il papa emerito aggiunge ancora: solo il Figlio conosce davvero il Padre, ma la conoscenza richiede sempre in qualche modo l’uguaglianza (Mt 11, 25ss. – Lc 10, 21s.). Di più: la completa conoscenza di Dio presuppone la piena comunione con Dio, anzi l’unità sostanziale (cioè della stessa natura) con Dio. Ma se Dio nessuno l’ha mai visto (Gv 1, 18) l’unità della conoscenza in Gesù è possibile solo perché esiste l’unità dell’essere;[29] e se Gesù dichiara di manifestare solo ciò che ha visto (Gv 3, 11), significa che ha visto Dio, per cui è Dio. Solo essendo Dio, Gesù può aver visto Dio e può rivolgersi al Padre chiamandolo “Padre mio.” Solo essendo Dio, Gesù può dire “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5). Solo essendo Dio, Gesù può dire “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 30; Gv 17, 11; 17, 22). 

Mi sembra si possa obiettare che anche queste affermazioni del papa emerito non possono essere decisive giacché anche noi chiamiamo Dio “Padre nostro”. Ma soprattutto, quei passi evangelici utilizzati per sostenere la tesi della Trinità (di com’è Dio in sé) non hanno un’unica possibilità di interpretazione: infatti, con quelle parole, Gesù ben può riferirsi all’aspetto dinamico operativo anziché all’aspetto ontologico (all’essere di Dio in sé). Gesù cioè sta parlando di ciò che insegna e di ciò che compie, e quindi dell’esperienza che potevano fare con lui i suoi primi discepoli, non a cosa è Dio in sé, all’essere di Dio. Leggiamo infatti il versetto al completo: Gesù parla delle pecore: “Nessuno le strapperà dalla mia mano; il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti (e quindi è più grande anche di Gesù che sta parlando, il quale non si sta allora identificando con Dio) e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 29-30). Ma prima ancora aveva anche detto: “Il Figlio da sé stesso non può fare nulla” (Gv 5,19) e “da me io non posso fare nulla” (Gv 5, 30). Queste affermazioni indicano che Gesù non si considerava ontologicamente Dio. Chi sostiene l’inverso dovrebbe richiamare non solo passaggi che possono corroborare la sua tesi, ma spiegare anche quelle pericopi che smentiscono la sua tesi.

Perché il magistero continua a pensare che, senza una profonda visuale metafisica, non sia possibile capire nulla di Dio? Ricordate Gesù quando lodava il Padre per aver nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti (cioè, ad es., a quelli che studiano metafisica), rivelandole solo ai piccoli? (Mt 11, 25; Lc 10, 21) (cfr. l’articolo Il vescovo, al n. 506 di questo giornale, https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa500/numero-506---26-maggio-2019/il-vescovo). Intendeva dire che lo Spirito agisce più facilmente nei poveri cristi e con loro funziona meglio, mentre agisce assai meno nei grandi (benestanti come noi o teologi che si scervellano sul problema della Trinità).

Anche quando il Vangelo di Giovanni definisce Dio come spirito, luce e amore, si può perciò ragionevolmente pensare che non si tratti di nuovo di affermazioni ontologiche su Dio in sé (cioè sulla sua intima natura). Ben può trattarsi sempre di affermazioni sulle forme e sui modi della rivelazione di Dio; ci si riferisce al suo agire dinamico nella storia, al rapporto di Dio con l’uomo e dell’uomo con Dio.

Perché non  pensare che, quando ci viene chiesto di essere una cosa sola con il Padre dobbiamo vedere in Lui semplicemente la proposta di vita, la fonte di vita, il modello di vita che garantisce la nostra crescita? Che basta allora che tutti vedano in Dio un’unica sorgente che si mette a servizio dell’uomo, che non discrimina, che perdona sempre, che è misericordioso nel concedere questo perdono ancora prima che venga richiesto? Non è questo sufficiente per creare comunione, perché già in tal modo ci sarà questa unione con il Padre anche se ogni Chiesa avrà espressioni sue proprie, e seguirà sentieri diversi per manifestare la sua fede? Se si aspetta di avere l’unità quando tutti si saranno convertiti alla dottrina cattolica metafisica e saranno sottomessi al papa, non la vedremo mai. Se invece tutti ci accordiamo sul credere in un Dio che non fa discriminazioni, non condanna e non castiga, non minaccia, non disprezza gli impuri, ognuno di noi - per assomigliargli - cercherà di fare lo stesso nei confronti degli altri. Solo così, forse, la comunione sarà possibile, pur con tutte le nostre diversità, con tutte le nostre strade diverse, con tutte le liturgie e le dottrine che abbiamo. Altrimenti appare pura utopia parlare di unione e di comunione. Questo l’aveva intuito san Francesco quando era andato in terra santa,[30] e col sultano d’Egitto si era ritrovato sui principi, perché l’universalità porta alla pace, mentre le particolarità, le definizioni dettagliate, i dogmi portano al conflitto. Le differenze cominciano quando i credenti provano a costruire teorie sulla loro esperienza di fede, a fare discorsi su Dio e sulle ipotetiche relazioni che Egli ha o può avere con gli uomini[31]. Dunque san Francesco si è ben guardato dal parlare della Trinità perché gli avrebbero tagliato la testa, mentre soffermandosi sull’universalità dell’amore che unisce ha trovato ampio consenso.

Quanto all’azione di donazione e al pensiero di Dio che è già persona (Figlio), è scontato che il pensiero è distinto da colui che pensa. Quando parliamo di pensieri, i pensieri sono dentro di noi, ma quando escono non si trasformano in persone. Perché allora il frutto del pensare di Dio-Padre dovrebbe essere una vera e propria persona? I pensieri io posso manifestarli, ma il pensiero di chi pensa resta necessariamente dentro a chi pensa, e il frutto del pensiero non si trasforma né in una persona, né in una cosa tangibile. Il  pensiero non è una stampante in 3D che crea all’esterno l’oggetto programmato (pensato).

Da notare poi che anche il papa emerito insiste sul fatto che la Trinità non va cercata sullo stesso piano ontologico (i famosi tre angoli uguali dello stesso triangolo, per cui abbiamo la conferma che quelle immagini debbono essere accantonate), ma sul piano relazionale,[32] chiarendo cioè che l’amore va sempre indirizzato verso un’altra persona, perché se resta chiuso all’interno della stessa persona sarà autostima, sarà auto-contemplazione, ma sarebbe improprio definirlo amore. Dunque, alla fin fine, Trinità starebbe solo a significare che l’Amore di Dio è creativo,[33] perché fuoriesce dalla Persona-Dio; si espande senza rimanere rinchiuso su sé stesso nella sua inaccessibile unità[34]. Dunque, per la dottrina cattolica ufficiale, Dio non è solo Logos (Pensiero e Senso) ma anche dia-logos (Colloquio e Parola):[35] non c’è moltiplicazione delle sostanze perché si parte dall'unità e unicità dell'Amore infinito, ma nell’unica e indivisibile sostanza sussiste internamente il fenomeno del dialogo, ed il dialogo implica necessariamente relazione, uscire verso l’esterno, e relazione ci può essere solo tra le persone.[36] Ma questo non è antropomorfismo? Per il semplice fatto che, se parliamo di persona, noi uniamo immediatamente l’immagine di un essere umano.

Nel non facile libro del papa emerito “Introduzione al Cristianesimo[37] mi pare di capire che, alla fin fine, il concetto di Trinità dovrebbe servire al cristiano nella vita di tutti i giorni soprattutto perché aiuta a intravedere come dovrebbe essere l’uomo: la Trinità serve per rendersi conto di come ognuno debba sentirsi dipendente in tutto da Dio (essere-da), ma nello stesso tempo, seguendo l’insegnamento di Gesù, essere totalmente aperto agli altri,[38] aperto quindi anche nell’essere-per, senza invece vivere fondandosi solo su sé stesso e restando chiuso a riccio in sé stesso[39]. Sotto questo freddo termine ‘Trinità’, dunque, si nasconderebbe la calda parola ‘Amore totale’. Ma se tutto si riducesse a questo (capire come dovrebbe essere l’uomo, ogni uomo), bastava leggere nei vangeli come è vissuto Gesù; e comunque mi sembra molto più felice e appropriato il paragone con la ruota ed i suoi raggi, che non richiede di avventurarsi in disquisizioni metafisiche sull’essere di Dio in sé, che essendo trascendente è al di fuori della nostra portata (Cfr. l’articolo Perché Dio non è conoscibile con la ragione, al 442 di questo giornale, https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numero-442---4-marzo-2018/perche-dio-non-e-conoscibile-con-la-ragione). La relazione fra Dio e gli uomini ben si rispecchia nel centro della ruota e i suoi raggi. Noi non sappiamo com’è il centro (Dio), perché vediamo solo i raggi (gli uomini) e solo con i raggi possiamo interferire. Più si percorre il raggio verso il centro, più ci si avvicina al centro (Dio), ma al tempo stesso più ci si avvicina agli altri raggi (agli altri uomini). Ed è anche vero che più ci si avvicina agli altri, più ci si avvicina (anche inconsapevolmente) al centro. Insomma, ama il prossimo e se lo ami forse ami anche Dio. Quindi, anche l’essere-per-gli-altri come lo è stato di Gesù, non richiede affatto la Trinità, ma piuttosto la carità, la misericordia[40]. Se l’uomo che orienta la propria vita verso gli altri, come ha fatto il Gesù terreno, assume già condizione divina (perché figlio è colui che assomiglia al padre, che si comporta come il padre), mi sfugge l’importanza fondamentale della Trinità se serve a concludere che Dio in sé è Amore. Questo lo si poteva capire e affermare già leggendo il vangelo. In effetti, questa è anche l’unica definizione di Dio che compare in tutto il Nuovo Testamento, e si trova nella prima lettera di Giovanni: «Dio è amore» e colui che non ama l’altro non ha idea di Dio (1Gv 4, 8.16b). Tale definizione non può essere però una definizione metafisica, perché l’amore non è una verità di carattere astratto, ma un’esperienza umana. Quando due innamorati si tengono per mano e si guardano negli occhi non studiano la struttura dell’amore in assoluto, esaminando in cosa consiste la sua essenza, ma vivono un’esperienza. Forse, allora, la religione si può spiegare anche senza ricorrere alla metafisica. E se crediamo che Dio è amore, la prima cosa da dire sarebbe non che Dio è trinitario, ma che non può agire se non per amore. Col che dovremmo immediatamente abbandonare tutte quelle tristi preghiere con cui s’invoca in continuazione la sua pietà per noi poveri peccatori (cfr. l’articolo Ma come facciamo a sapere di essere perdonati? al n. 468 di questo giornale; https://sites.google.com/site/agostosettembre2018rodafa/numero-468---2-settembre-2018/ma-come-facciamo-a-sapere-di-essere-perdonati). Se Dio è amore, come possiamo essergli indifferenti? Com’è possibile che non pensi già a noi? A ciascuno di noi? Chi ama non vuole già il bene dell’amato?

Dunque tutti questi sforzi teologici sarebbero solo per dire che la Trinità di Dio è essenzialmente amore, al punto che l'unità è un semplice effetto dell'amore,[41] che tra i termini uniti da questa relazione di amore divino c'è qualcosa di più di una vicinanza, c'è vicinanza infinita, anzi identità. Tutto questo aiuta certamente a far intuire come nell'Uno non ci sia solitudine, ma relazione e comunione, però non era necessario l’uso dei termini ‘persona’ e ‘natura’ (che non esistono nei vangeli). Bastava infatti dire che nel Vangelo si chiarisce che Dio è amore e che occorre fare esperienza dell’amore per capire qualcosa di Dio.

Ora, se il magistero della Chiesa non riesce a dare una spiegazione così chiara e lineare da essere compresa da tutti, perché mai deve dispiacersi[42] del fatto doloroso che la Trinità nulla significa praticamente nella vita di moltissimi cristiani? In effetti, la Trinità resta una nozione astratta, gelida (che nulla ha da spartire col calore dell’amore sperimentato), per cui è normale che venga dai più considerata una manipolazione mentale astrusa di teologi che viaggiano alti fra le nuvole, lontani dalla vita reale quotidiana. Nella quotidianità i più continuano ad avere l’idea di un Dio unipersonale e onnipotente, quello di Abramo, Isacco e Giacobbe[43].

Ora io penso che si dovrebbe sapere a cosa si crede, prima di dire: “io credo!” Pertanto dobbiamo approfondire il discorso sulla Trinità, e vedere se si può dire: “io credo alla Trinità”.

Dario Culot

 (continua)

[1] “Gente del libro, non esagerate nella vostra religione, non dite di Dio altro che la verità, il Cristo Gesù figlio di Maria è un inviato di Dio…Credete in Dio e non dite «tre», smettetela, è meglio per voi, Dio è una sola divinità” (Corano, Sura IV - Le Donne, 171; analogo in Sura IX  - Il pentimento, 9, 30).

[2] De pudicitia 21, 16; Adversus Praxean 8; entrambi in www.documentacatholicaomnia.eu;  sotto autore Tertullianus.

[3] Moingt J., I tre visitatori, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 12 e 15.

[4] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 61.

[5] O’Collins G., The Tripersonal  God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 131.

[6] Tanner K., The Trinity as christian theology, in “The Oxford Handbook of the Trinity, ed. Oxford University, Oxford-New York, 2011, 349.

[7] Mateos J. e Camacho F., L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo,ed. Cittadella, Assisi, 1989, 96-98.

[8] Matino G., Un amore concreto, “Famiglia Cristiana”, n.43/2011, 10.

[9] Lo si vedrà ancora meglio nell’ultimo articolo di questo mese “Importanza della Trinità”.

[10] Lenaers R., La fede è conciliabile con la modernità?, relazione tenuta a Bergamo il 26-27.1.2014,

 in http://www.ildialogo.org/LeInC.php?f=21&s=parola

[11] La ragione, ad es., ci dice che non è possibile discutere del dado-sfera, per cui è la stessa ragione a dirci che non si può discutere sugli assurdi. Ma non occorre certamente creare un dogma per convincere la gente di questo.

[12] O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 197: è stata soprattutto l’arte gotica a disegnare la Trinità come triangolo. Coggi P.R., Il dono dell’eucarestia, in Piccolo catechismo Eucaristico, ed. ESD, Bologna, 2009, 13.

[13]  S. Agostino, Le Confessioni 13-11.12, ed. S. Paolo, Milano, 2005, 332.

[14] De Trinitate, libro II, 35; IV, 20.28s.; XV, 17.29)

[15] In www.vatican.va/Papa Giovanni Paolo II/sito web/Omelie/1979/ 28.1.79 a Puebla de los Àngeles.

[16] Olgiati F., Il sillabario del Cristianesimo, ed. Vita e Pensiero, Milano, 1956, 136ss., che ha ripreso l’analogia di Sant’Agostino in De Trinitate, 5.11-12; 8.8.12. Daniélou J., Trinità e mistero dell'esistenza, ed. Queriniana, Brescia, 1969, 36. Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 101.

[17] Daniélou J., Trinità e mistero dell’esistenza, ed. Queriniana, Brescia, 1969, 42.

[18] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell’uomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 78 e 96.

[19] Yannaras C., Contro la religione, ed. Qiqajon Comunità di Bose,  Magnano (BI), 2012, 49ss.

[20] Riportato da Dawkins R., L’illusione di Dio, Mondadori, Milano, 2006, 41.

[21] O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 135.

[22] Te Velde R.A., The divine person(s): Trinity, person and analogous naming, in “The Oxford Handbook of the Trinity”, ed. Oxford University, Oxford-New York, 2011,  361.

[23] O’Collins G., The Tripersonal God, ed. Paulist Press, New York/Mahwah, N.J. (USA), 2014, 198.

[24] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 173.

[25] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 180.

[26] Ratzinger J, Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2005, 52: Nello Spirito creatore pensare e fare costituiscono un’inscindibile unità: il suo pensare è creare. Le cose esistono perché sono da Lui pensate. 

[27] Daniélou J., Trinità e mistero dell'esistenza, ed. Queriniana, Brescia, 1969, 36: il Figlio è l'immagine perfetta del Padre.

[28] Nella Bibbia non è mai stato dato a Dio il titolo di Madre. Papa Giovanni Paolo I, affacciato sulla piazza di S. Pietro, osò parlare per la prima volta di Dio non solo come Padre, ma anche come Madre. Padre significa non solo sorgente, significa anche protezione e specialmente amore, e quindi anche Madre (Panikkar R., La pienezza dell'uomo, ed. Jaca Book, Milano, 2000,  157).

Dobbiamo cercare di spiegarci con le nostre parole limitate, e in realtà Dio non è né uomo, né donna, né padre, né madre, ma appunto Dio, creatore dell’uomo e della donna. Si è sempre ritenuto che nella madre la differenza fra creatore e creatura scompaia; l’immagine del padre è quindi apparsa la più adatta a esprimere alterità fra creatore e creatura (Ratzinger J-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, ed. Libri Oro Rizzoli, Milano, 2008, 170), fra Dio e l’uomo, ma resta sempre un’immagine limitativa; e la sorgente rispetto al Figlio Gesù potrebbe ben essere allora indicata anche col nome di Madre, perché qui – dice il Papa - non c’è alterità.

[29] Ratzinger J-Benedetto XVI, Gesù di Nazareth, ed. Libri Oro Rizzoli, Milano, 2008, 389s.

[30] Sembra che nel 1219 al-Kamil, nipote di Saladino, abbia ricevuto San Francesco. Tuttavia nessuna fonte araba risulta riportare l'avvenimento (Maalouf A., Le crociate viste dagli arabi, ed. Sei, Torino, 1994, 298).

[31] Ortensio da Spinetoli, Bibbia e catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 29.

[32] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 171.

[33] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 135.

[34] Mondin B., La Trinità: mistero d’amore, ed. ESD, Bologna, 1993, 115; Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 101: Dio è il sommo Bene, l'Amore supremo (1Gv 4, 8-16). Ed è proprio del bene e dell'amore essere diffusivo e auto-comunicarsi, uscire da sé e farsi dono ad altri. Nell'espandersi questo Principio amoroso si mostra come Verbo, mantenendo la stessa natura del Principio. La relazione d'amore è reciproca e dà origine allo Spirito Santo, espressione di comunione fra i due. Moingt J., I tre visitatori, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 55: la Trinità è la rivelazione di un Dio che si dà ad un altro. Esattamente il contrario di Is 42, 8: “Io sono Yhwh: questo è il mio nome; non cederò mai la mia gloria ad altri”. Monoteismo assoluto, al pari dell’Islam.

[35] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 172.

[36] Boff L., Trinità e società, ed. Cittadella, Assisi, 1992, 102.

[37] Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, ed. Queriniana, Brescia, 2000, 174.

[38] Dio ha donato tutta la sua pienezza a Cristo capo della Chiesa (Ef 5, 23), che a sua volta l’ha donata alla Chiesa, ai fedeli. Questi non debbono trattenerla per sé, ma a loro volta devono farla fluire nel mondo, verso gli altri (Gnilka J., Teologia del Nuovo Testamento, ed. Queriniana, Brescia, 1992, 113).

[39] E fin qui il papa emerito non dice nulla di nuovo, perché rielabora quanto aveva scritto dal carcere nazista il teologo protestante Banhoeffer: «Il nostro rapporto a Dio non è un rapporto ‘religioso’ con un essere, il più alto, il più potente, il migliore che si possa pensare, bensì è una nuova vita nell’ ‘esserci-per-altri’, nel partecipare all’essere di Gesù. Il trascendente non è l’impegno infinito, irraggiungibile, ma il prossimo che è dato di volta in volta, che è raggiungibile. Dio in forma umana! non il mostruoso, il caotico, il lontano, l’orribile in forma di animale, come nelle religioni orientali; ma neppure nelle forme concettuali dell’assoluto, del metafisico, dell’infinito, ecc.; e neppure la greca forma divino-umana dell’ ‘uomo in sé’, bensì ‘l’uomo per altri’!, e perciò il crocifisso» (citato da Ciancilla I., Dietrich Bonhoeffer: la forza dell'immanenza lungo le vie della trascendenza, in http://mondodomani.org/dialegesthai/ic01.htm).

[40] Van Buren P., The secular Meaning of the Gospel, ed. SCM Press, Londra, 1963, 121ss.

[41] Daniélou J., Trinità e mistero dell'esistenza, ed. Queriniana, Brescia, 1969,  36. Weil S., L’amore di Dio, ed. Borla, Roma, 1978, 171s.

[42] Olgiati F., Il sillabario del Cristianesimo, ed. Vita e Pensiero, Milano, 1956, 136.

[43] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 49.