Origini
delle idee
socialiste
e comuniste
delle idee
socialiste
e comuniste
In molti racconti mitici e religiosi esiste il concetto di “età dell'oro”, di paradiso perduto, un'epoca in cui l'umanità viveva in armonia, il più delle volte nell'abbondanza: il Satya Yuga nell'induismo, l'età dell'oro nell'antica Grecia, i riferimenti a un antico Datong o Taiping in Cina, il giardino dell'Eden nella Genesi biblica... Alcuni vi hanno visto un ricordo mitizzato dei rapporti sociali del comunismo primitivo. Questa idea è stata spesso invocata dai movimenti di rivolta popolare per denunciare le classi dirigenti e lottare in nome del ritorno all'età dell'oro. Questo tipo di utopismo ha alimentato notevolmente le lotte di classe nell'antica Cina. La giustificazione ideologica attraverso la legittimità del passato ha dominato a lungo nella storia dell'umanità.
Il pensiero su questa età dell'oro era talvolta esplicitato come avente un carattere ciclico (presso i Greci, gli Indù...). Ma un'altra visione più lineare, che tende ad affermarsi storicamente, colloca l'età dell'oro sia all'inizio che alla fine dei tempi: le tre grandi religioni monoteistiche con il ritorno in paradiso dopo il Giudizio Universale, il buddismo con l'attesa del Buddha Maitreya...
Fin dall'antichità, sono attestati fenomeni di concentrazione della terra da parte dei grandi proprietari, che costituiscono il terreno fertile per regolari rivolte contadine. Allo stesso tempo, alcuni poveri si indebitavano fino a subire una vera e propria servitù. Almeno dal VI secolo a.C., sotto la pressione popolare, si verificarono ridistribuzioni di terre - chiamate anadasmos - e cancellazioni di debiti - seisachtheia. Ma il processo di accumulazione si ripeteva inesorabilmente, alimentando riflessioni su questa lotta di classe e sui mezzi per raggiungere l'uguaglianza tra i cittadini (che quasi sempre escludeva gli schiavi).
Platone (nell'immagina a fianco), nel suo libro La Repubblica, immaginò una società divisa in tre classi i cui leader avrebbero messo in comune i loro beni.
Sparta adottò per un certo periodo un regime di comunità terriera (dove la vita era molto regolamentata) all'interno della sua classe dirigente.
Atene ha istituito una prima forma di democrazia formale (che escludeva le donne e gli schiavi): nonostante le disparità di ricchezza, i cittadini avevano gli stessi diritti politici (ma di fatto gli eletti appartenevano alle famiglie potenti).
Quando apparve il cristianesimo delle origini, fu un movimento che ebbe molto successo tra i poveri, le donne, gli schiavi e tra coloro che erano ribellati dall'oppressione dell'Impero Romano. Numerosi gruppi cristiani predicavano la condivisione delle ricchezze. La tendenza fu simile alla nascita dell'Islam.
Le grandi religioni, una volta diventate religioni dominanti, hanno cercato di smorzare le speranze messianiche che trasmettono, collocando il paradiso in un aldilà inaccessibile e insistendo sul rispetto del clero e delle gerarchie sociali. Le religioni dominanti si limitano in genere a sottolineare più o meno il dovere dell'elemosina verso i poveri. Sono stati pensatori più marginali a ravvivare le visioni più radicali e i movimenti “eretici”.
Verso la fine del Medioevo in Europa, si verificò un'ondata di rivolte contadine e plebee, in nome di ideologie religiose radicali, prima o poi condannate come eresie. Queste si basavano in gran parte sulle idee di Gioacchino da Fiore (XII secolo), che teorizzava l'arrivo di una nuova era di paradiso terrestre (millenarismo). Si possono citare ad esempio:
La grande rivolta dei contadini inglesi del 1381, con la figura del sacerdote John Ball (nell'immagine a fianco), spesso considerato l'unico vero rivoluzionario del Medioevo europeo. Quest'ultimo è noto in particolare per la sua arringa contro lo sfruttamento dei nobili: "Quando Adamo zappava e Eva filava, dov'era il gentiluomo?".
In Francia ci furono movimenti che si opposero militarmente alla Chiesa, come i Catari (XII e XIII secolo) e i Pastoureaux (1251 e 1320), ma anche movimenti che diedero origine a ordini monastici rivolti ai poveri e tuttavia condannati per eresia, come i begardi e le beghine e i fraticelli (XIII secolo).
In Italia i seguaci di Fra Dolcino o di Cola di Rienzo (XIV secolo)
In Germania i Flagellanti (XIII-XIV secolo) e i Taboriti (XV secolo)
Anche il Giappone medievale conobbe forme di dissidenza religiosa popolare. Nei principali monasteri si assisteva a un accumulo di potere economico e militare e a una corruzione che esasperava le masse popolari. In risposta a ciò, nacquero numerose correnti buddiste dissidenti, in particolare i movimenti amidisti nella prima metà del XIII secolo. La setta ikko sarà la principale espressione religiosa delle grandi rivolte contadine a partire dalla metà del XV secolo.
Le aspirazioni alla libertà e all'uguaglianza furono espresse dai protestanti radicali.
Nel XVI secolo, la Riforma scosse la Chiesa cattolica, il che fu in parte il riflesso ideologico della lotta della borghesia nascente contro una nobiltà arroccata nei suoi privilegi. Ma questo movimento di contestazione suscitò anche una serie di movimenti più radicali (“Riforma radicale”) che esprimevano aspirazioni più popolari e plebee. Come i movimenti religiosi dei secoli precedenti, questi movimenti avevano una forte componente millenaristica:
La guerra dei contadini nel sud della Germania (1524-1526). Tra i suoi diversi ispiratori c'era Thomas Müntzer, che voleva prendere alla lettera Lutero e operare un ritorno al cristianesimo primitivo, abolendo il dominio e la disuguaglianza.
La rivolta di Münster (1534), durante la quale i beni furono messi in comune nella città.
Nel campo letterario e intellettuale, il libro L'Utopia (1516) di Thomas More (nell'immagine a fianco) sarà un evento importante. More descrive un'isola immaginaria in cui l'intera società è organizzata in modo armonioso, senza proprietà privata. Dietro le descrizioni fantasiose si nasconde una critica speculare alla società inglese (in particolare al contrasto tra i poveri e i nobili oziosi). Questo libro crea il termine “utopia” e il genere avrà molto successo nei secoli successivi.
Per immaginare come raggiungere l'armonia, gli utopisti esprimono la loro visione molto soggettiva di ciò che è “giusto” e spesso si lanciano in descrizioni di società in cui la vita è molto regolamentata per evitare conflitti e disgrazie. E non vengono quasi mai indicate prospettive su come passare dalla società attuale all'utopia, se non attraverso la morale; il che fa sì che l'utopia si basi fondamentalmente su una visione idealistica.
Ci sono tuttavia delle intuizioni. Le utopie prodotte saranno molto diverse (alcune sono in realtà puramente conservatrici), ma la critica radicale della proprietà privata si ritroverà in molte di esse, ad esempio nella Città del Sole (1602) del monaco Tommaso Campanella. Questi utopisti proto-comunisti hanno spesso poche speranze che la loro utopia sia altro che un sogno, ma allo stesso tempo si impegnano a dimostrare che, una volta instaurati la comunione dei beni, l'istruzione e il tempo libero (o addirittura l'abbondanza), sarebbe "razionale" supporre che la comunità diventrebbe armoniosa.
La guerra civile inglese è un momento di fermento politico.
Durante la rivoluzione inglese, sotto la Repubblica di Cromwell che aveva condannato a morte il re nel 1649, si svilupparono movimenti radicali minoritari. I Levellers rivendicavano la completa uguaglianza dei diritti, compreso il suffragio universale. Alla loro sinistra, i Diggers non volevano accontentarsi di una parità formale e sostenevano la collettivizzazione delle terre. Uno di questi militanti, Chamberlen, pubblicò un programma che prevedeva la nazionalizzazione dei beni del re, del clero e delle imprese commerciali, un minimo vitale per tutti, la messa al servizio della collettività dei beni nazionalizzati, una politica di grandi opere e lo sfruttamento dei terreni incolti sotto il controllo dello stato.
Ognuno a modo suo, Denis Diderot, François-Marie Arouet (Voltaire), Paul Henri Thiry d'Holbach, Claude-Adrien Helvétius e altri rivoluzionarono il mondo delle idee prima della Rivoluzione francese, sottoponendo tutte le vecchie teorie al vaglio della loro critica spietata. Il loro obiettivo principale era la religione e i pregiudizi in generale, che per loro erano la causa principale delle disgrazie, e il razionalismo avrebbe gradualmente portato un'era di verità e giustizia. Sebbene facessero passi da gigante verso spiegazioni materialistiche della natura, la loro visione della storia e della morale rimaneva profondamente idealistica. Ciononostante, tra loro furono formulate alcune bozze di critica dell'organizzazione sociale, anche se la maggior parte si limitava a una timida "beneficenza" (termine coniato dall'abate di Saint-Pierre) o a progetti più ambiziosi ma utopistici.
La critica sociale verteva essenzialmente sulla miseria contadina, sul problema della proprietà terriera o sulla questione del commercio dei cereali. Le utopie si basano in gran parte su un passato agrario idealizzato e su una distribuzione equa di una produzione appena sufficiente, salvo eccezioni come Étienne-Gabriel Morelly che intuisce la società dell'abbondanza.
Morelly è un precursore dimenticato del comunismo, ma che ebbe un'influenza sulla sua epoca, in particolare su François-Noël Babeuf.
Tra gli autori dell'Illuminismo, alcuni considerano la proprietà privata una fonte di ingiustizia:
Jean Meslier: questo parroco di campagna (in realtà ateo) ha sviluppato una critica feroce alla nobiltà e al clero ozioso che viveva alle spalle dei contadini. Come alternativa, propone il lavoro comune della terra, e non la condivisione, che considera una falsa soluzione (prende l'esempio delle comunità monastiche che lavorano la terra in comune e che sarebbero in discordia se ogni monaco si appropriasse individualmente di un appezzamento). È lui l'autore dello slogan "Che l'ultimo re sia impiccato con le budella dell'ultimo prete".
Étienne-Gabriel Morelly: Nel suo Codice della natura, che avrà una grande influenza (ma che sarà erroneamente attribuito a Diderot), Morelly difende l'abolizione della proprietà privata e uno stato sociale ante litteram. È anche uno dei primi ad avere una visione ottimistica sulla capacità dell'umanità di raggiungere una società dell'abbondanza armoniosa, in cui ciascuno contribuisce secondo i propri mezzi e consuma secondo i propri bisogni.
Gabriel Bonnot de Mably: Una critica alla proprietà simile a quella di Morelly, ma più moralista e anticivilizzatrice. Ciò lo porta a parlare degli operai delle fabbriche come di "uomini vili", a lodare Sparta... Ma a parte il suo utopismo, egli sosteneva solo misure riformiste che si adattassero alla proprietà privata (leggi suntuarie...).
Léger Marie Deschamps, noto anche come Dom Deschamps: Questo monaco, che era segretamente quasi ateo (o deista), criticava con altrettanta fermezza i filosofi dell'Illuminismo del suo tempo. Egli rimproverava alla loro visione razionalista di essere incapace di combattere la religione, se non fosse stata ripristinata la comunità dei beni.
William Godwin: Difendendo l'idea che l'uomo sia soggetto al determinismo della società, lottava per una sorta di individualismo libertario emancipatorio, che lo portava anche a voler abolire la proprietà privata. La sua analisi era tuttavia puramente astratta e la sua strategia limitata all'idea di convincere con le parole.
Questi egualitari mettono in primo piano il diritto all'esistenza e lo pongono al di sopra del diritto di proprietà, per giustificare un'incursione più o meno radicale nelle ricchezze dei potenti.
Alcuni pensatori (Mably, Ferdinando Galiani, Simon-Nicolas-Henri Linguet, Jacques Necker...) si ritroveranno a polemizzare con i fisiocratici, che sono tra i primi economisti a giustificare la libertà del commercio dei cereali, indipendentemente dalle conseguenze sociali (i poveri che soffrono la fame mentre i mercanti speculano sui cereali...). Tuttavia, tra i pensatori convinti dai fisiocratici, si potevano trovare una sorta di antenati dei social-liberali (il marchese d'Argenson René-Louis de Voyer de Paulmy, Guillaume-Thomas François Raynal, noto come abbé Raynal...), preoccupati dalla miseria ma che prevedevano soprattutto uno sviluppo economico controllato in modo tale che i poveri potessero raggiungere i ricchi, una convinzione appunto oggi molto diffusa tra i neoliberali.
Diderot, nei suoi Principi di filosofia morale, deplorava che "tra gli uomini, l'indigenza condanna alcuni al lavoro, mentre altri si arricchiscono con la fatica e il sudore dei primi", ma, essendo molto legalista, prevedeva solo piccoli passi, tranne che alla fine della sua vita, quando sembra radicalizzarsi. Lo stesso vale per Helvétius, che sottolinea il problema della distribuzione della ricchezza: "Non è dalla maggiore o minore entità della ricchezza nazionale, ma dalla sua distribuzione più o meno ineguale che dipende la felicità o l'infelicità dei popoli". Si può anche sottolineare che Jean-Joseph-Louis Graslin fu uno dei primi a difendere un'idea piuttosto precisa di imposta progressiva sul reddito.
Jean-Jacques Rousseau influenzò notevolmente gli intellettuali francesi alla vigilia della Rivoluzione, in particolare con il suo Contratto sociale e il suo Discorso sull'origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini. Egli dipinge un quadro molto critico delle civiltà ("Lo spirito universale delle leggi di tutti i paesi è quello di favorire sempre il forte contro il debole, e chi ha contro chi non ha nulla"), e contrariamente ad altri, considera che questo stato civile sia una costruzione sociale, che non deriva dallo stato di natura. L'idea presente in Rousseau che l'uomo sia originariamente buono, ma avvilito dalla società, è in realtà un'idea che lo precede e che attraversa tutto il secolo, generando molti discorsi e utopie basate sui "buoni selvaggi" (Nicolas Gueudeville, Claude Buffier...), tra l'altro basati sugli echi dei resoconti gesuiti del Paraguay o di Tahiti (in Diderot).
Ma la sua analisi radicale contrasta con le sue conclusioni piuttosto moderate, perché in fondo Rousseau non crede che sia possibile stravolgere radicalmente la proprietà privata. Si limita a sostenere una restrizione dell'eredità, un'imposta progressiva... Alla fine, Rousseau si rifugia in gran parte in utopie romantiche.
Negli anni '60 del Settecento, ci fu un'ondata di filantropia ingenua nella filosofia e nella letteratura (Manco-Capac, primo Inca del Perù, tragedia di Le Blanc de Guillet nel 1763, Le idee di un cittadino su bisogni, diritti e doveri dei veri poveri di Nicolas Baudeau nel 1765, La repubblica dei filosofi o la storia degli Ajaoiens - opera anonima - nel 1768, Epistola ai poveri di Jean Fontaine-Malherbe nel 1769, Paul e Virginie di Bernardin de Saint-Pierre nel 1787, Le Tartare a Parigi dell'abate André nel 1788...). Friedrich Melchior Grimm ricordava, con rammarico, "il numero di questi filosofi speculativi che si è prodigiosamente moltiplicato negli ultimi vent'anni". E Louis-François Metra evocava nella sua Correspondance secrète del 1782 "queste affermazioni ripetute da trent'anni in quasi tutti i nostri opuscoli sulla morale, sull'uguaglianza, sulla perfettibilità dell'uomo, sulla comunità dei beni...".
Tra questi scrittori che ritengono che l'uomo nella società sia diventato meno virtuoso, c'è spesso l'idea (Rousseau, Helvétius, Mably, Bernardin de Saint-Pierre...) che ciò sia il risultato della moltiplicazione dei bisogni, di un "eccesso di civiltà". Rousseau si proclamò addirittura nemico delle scienze e delle arti, ritenute inseparabili dal lusso. Questo tipo di posizione si chiude in atteggiamenti moralistici e, per di più, impotenti. Al contrario, pensatori come François-Jean de Chastellux o Jean-Antoine Caritat de Condorcet respingevano le utopie e le idee di un'età dell'oro, difendendo l'idea positivista di un progresso della Ragione e collocando la felicità umana nel futuro.
Jean Meslier
Dom Deschamps
Joseph-Louis Graslin
Jean-Jacques Rousseau
Gli anni Ottanta del Settecento sono un momento di intensa critica sociale. Si rivendica l'uguaglianza e la fine dei privilegi aristocratici. Ma se la critica alla grande proprietà è ricorrente, in realtà è in nome dell'ideale di una società armoniosa di piccoli proprietari. Un ideale piccolo-borghese ingenuo e generoso.
Così, ad esempio, Jacques Pierre Brissot esprime comprensione per coloro che sono spinti al furto, Jean-Louis Carra difende i concetti di "uguaglianza morale, proprietà ragionevole", e Jean-Paul Marat critica aspramente una società che oppone le classi:
"Perivano dunque finalmente queste leggi arbitrarie, fatte per la felicità di pochi individui a scapito del genere umano, e perivano anche quelle odiose distinzioni che rendevano alcune classi del popolo nemiche delle altre".
L'influenza di Rousseau era predominante in Joseph Saige, Olympe de Gouge (che nel 1791 redige la Dichiarazione Universale dei diritti della donna e della cittadina)... Le rivendicazioni egualitarie si esprimono nei cahiers de doléances, nel quadro della convocazione degli Stati Generali. Alcuni prendono le difese del "quarto ordine", i contadini, invocando la divisione delle terre. Un utopista prolisso come Restif de la Bretonne si accontenta infine di proporre alcune timide misure (limitare il diritto di successione in linea collaterale, fissare il prezzo dei generi alimentari...). François Boissel declama contro la proprietà privata.
Quando scoppia la Rivoluzione, gli utopisti si trovano di fronte a schieramenti politici tra i quali diventa necessario scegliere. La posizione della fantasticheria non è più sostenibile e questo porta a notevoli cambiamenti: alcuni, come Restif de la Bretonne, si tornano rapidamente alla controrivoluzione, Marat difende il liberalismo economico contro i più socialisti, mentre altri, come Babeuf, si evolvono verso il comunismo rivoluzionario. Alcuni, come Claude François Fauchet del Cercle social, pur essendo tra i più socialisti, sono spinti verso destra dall'orrore per la violenza rivoluzionaria.
I sans-culottes, che furono l'avanguardia della rivoluzione, non avevano una visione economica chiara. La fame li spinse alla rivolta contro i ricchi "accapareurs" (accaparatori, i grandi mercanti), ma essi stessi erano quasi tutti piccoli imprenditori, che non vedevano nulla al di là della proprietà. Al culmine della loro radicalizzazione, opponevano un vago egualitarismo alla concentrazione del capitale, rivendicando essenzialmente il controllo dei prezzi del pane.
I giacobini non avevano un'ideologia molto diversa da quella dei sans-culottes. Salirono al potere appoggiandosi all'energia rivoluzionaria delle masse per schiacciare la reazione e per questo dovettero mettere in atto alcune misure sociali (la legge del massimo, che fissava il massimo prezzzo per i generi alimentari di prima necessità...). Ma hanno anche represso le correnti alla loro sinistra, come gli Enragés (gli Arrabbiati). Questi ultimi non avevano una visione molto più chiara (al massimo arrivavano a chiedere la nazionalizzazione della distribuzione), ma minacciavano sempre di travolgere il governo invocando l'insurrezione e la democrazia diretta.
Nella loro lotta contro la nobiltà feudale, i rivoluzionari giacobini poterono presentarsi come rappresentanti non solo della loro classe sociale, ma di tutti i diseredati e gli oppressi. Ciò era vero, in una certa misura, poiché erano in lotta mortale con i sostenitori del ritorno all'Ancien régime. Ma la Rivoluzione finì per dare vita a una Repubblica borghese che non realizzò la giustizia e l'uguaglianza eterna e assoluta, ma l'uguaglianza davanti a leggi spesso fatte per proteggere la proprietà dei possidenti. Certo, fu un enorme progresso e il più grande realizzabile all'epoca. Ma le grandi idee dei filosofi si scontrarono con la realtà economica e sociale. La nuova società non era la società ideale sognata da loro, basata sulla giustizia e sulla ragione.
Anche se la Rivoluzione francese era dominata soprattutto dall'ideale piccolo-borghese della repubblica dei piccoli proprietari, marginalmente alcuni lottavano già per una forma di organizzazione collettivista. È il caso, in particolare, del "primo comunista attivo", Gracchus Babeuf (nell'immagine a sinistra).
La fine del XVIII secolo, con la rivoluzione americana e la rivoluzione francese, favorì la riflessione politica su scala internazionale (si parla di "rivoluzioni atlantiche"). In Inghilterra apparvero i democratici radicali, dando vita a un movimento che si sarebbe diffuso in tutto il mondo, il radicalismo. I radicali erano soprattutto radicati nelle masse piccolo-borghesi. Si concentravano sulle rivendicazioni politiche, difendendo una vera democrazia e non solo un vago liberalismo che accontentava i borghesi. Ma alcuni arrivarono fino alla democrazia sociale e a forme di socialismo agrario.
Thomas Spence sosteneva la collettivizzazione della terra a livello parrocchiale. Diede vita a un piccolo movimento chiamato “filantropi spenceani”, che si lanciò in azioni militanti clandestine.
William Ogilvie of Pittensear denunciava la proprietà privata accumulata da una minoranza di proprietari terrieri, senza arrivare a proposte molto chiare.
Thomas Paine: partendo dall'ideale democratico, giunse a un ideale di stato sociale. Poiché ogni individuo ha un diritto naturale a una parte uguale della terra, un'imposta sulla proprietà fondiaria servirebbe a compensare il danno subito da ogni cittadino privo di terra; a ciascuno di questi cittadini verrà consegnato, all'età di 21 anni, un piccolo capitale e, a partire dai 50 anni, una rendita annuale.
È il contesto della rivoluzione industriale che darà realmente origine al socialismo moderno, inteso come movimento di massa. Infatti, spingendo con forza l'umanità verso un nuovo modo di produzione, il capitalismo, creerà una serie di fattori convergenti:
la proletarizzazione dei contadini e della piccola borghesia, creando un ampio proletariato senza mezzi di produzione,
l'urbanizzazione e l'istruzione di massa, che consentirono lo scambio di idee e l'organizzazione su una scala senza precedenti,
l'emergere di mezzi di produzione di massa interdipendenti, che sollevarono la questione della socializzazione del lavoro.
l'emergere di movimenti operai, spesso difensivi, ma suscettibili di essere ricettivi alle idee socialiste.
L'eredità delle antiche corporazioni, delle associazioni amichevoli o dei circoli di apprendistato ha avuto un ruolo importante nella cultura della solidarietà, ma è stata anche fonte di corporativismo e di nostalgia per il passato. Anche i movimenti operai e socialisti sono stati fortemente influenzati da forme di cristianesimo sociale.
Friedrich Engels definiva il socialismo moderno come l'espressione di una doppia presa di coscienza:
dei conflitti esistenti tra la classe dei possidenti e quella dei non possidenti nella società capitalista.
dell'irrazionalità che regna nella produzione capitalista, più produttiva eppure più ineguale che mai.
Fin dai suoi esordi, esso si ricollega, come continuazione e sviluppo, alle idee dei filosofi dell'Illuminismo, in particolare a quelle dei filosofi materialisti del XVIII secolo. Ma questa infrastruttura favorevole al socialismo non significa automaticamente l'emergere di un movimento con un'analisi scientifica e una strategia chiara. Il XIX secolo ha visto progressivamente emergere dei chiarimenti, ma ciò ha subito una forte battuta d'arresto nel XX secolo.
Si può notare che nel XIX secolo le diverse correnti del socialismo sono essenzialmente denominate in base ai loro fondatori: saint-simonismo, fourierismo, blanquismo, lassallismo, bakunismo, marxismo... Alla fine del XIX secolo, quando è apparso il movimento socialdemocratico di massa, si parlava soprattutto di un movimento “socialista” (che sembrava più unificato di quanto non fosse in realtà), anche se il marxismo era di fatto dominante al suo interno. A partire dal XX secolo, il socialismo si frammenta e emergono altri aggettivi per designare le tendenze all'interno del marxismo: revisionismo, economicismo, riformismo, massimalismo...
Quando il termine socialismo iniziò ad essere utilizzato in Inghilterra, negli anni '30 del XIX secolo, era sinonimo di owenismo. Robert Owen (nell'immagine in alto) fu uno dei primi industriali di successo e un uomo sinceramente preoccupato per la questione sociale. A capo della principale filanda del paese, moderna e redditizia, reinvestì i profitti per migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei suoi operai. Ma non voleva limitarsi alla sua fabbrica, vedeva il sistema attuale come "il più antisociale, il più sgradito, il più irrazionale che si potesse concepire". Cercò quindi di promuovere comunità ideali e, insieme ai suoi sostenitori, tentò più volte di metterle in pratica, in Inghilterra e negli Stati Uniti. Questa ricerca di imprese ideali, che si diffuse a macchia d'olio ma che in realtà fallì, fece di Owen uno dei rappresentanti di quello che in seguito sarebbe stato definito socialismo utopistico.
Verso il 1811 appare un movimento di operai (“luddisti” nell'immagine qui sotto un manifesto che promette premi a chi collabora nella repressione dei Luddisti) che distruggono clandestinamente le macchine, la cui introduzione provoca un brutale degrado sociale (disoccupazione, dequalificazione e calo dei salari...). La paura di movimenti clandestini e quindi troppo esplosivi spinge lo stato ad autorizzare i sindacati nel 1824. Cominciarono così a formarsi le “trades unions” (sindacati). Ma erano ancora limitate soprattutto agli operai qualificati, che difendevano le loro tradizioni.
In maggioranza, il socialismo non riuscì a legarsi al movimento operaio. L'eccezione fu tra il 1828 e il 1834, quando Owen divenne una sorta di guida spirituale. Owen e i militanti owenisti incoraggiavano le cooperative e i sindacati, cercando di unificarli a livello nazionale, per lottare in modo più efficace ma anche con l'obiettivo di socializzare l'economia.
In Francia, la proliferazione delle scuole socialiste fu particolarmente importante. Innanzitutto i grandi utopisti. Saint-Simon esaltava l'industrializzazione e vedeva in essa l'abbondanza per tutti a portata di mano, a condizione che gli “industriali” prevalessero sull'aristocrazia terriera “oziosa” e che la produzione fosse stimolata dal credito, da una pianificazione efficace... Non vedeva grandi opposizioni tra padroni e operai. Charles Fourier fu uno scrittore prolifico contro la società borghese e difendeva un futuro “societario” in cui il lavoro sarebbe stato svolto in comune e non sarebbe più stato alienante. Per lui il modo per raggiungere questo obiettivo sarebbe stato l'istituzione di comunità di vita e di lavoro ben organizzate (falansteri), che avrebbero dato l'esempio e si sarebbero diffuse a macchia d'olio.
Auguste Blanqui (nell'immagine in alto) era un repubblicano che mirava al comunismo. Ma la sua strategia era quella di un'insurrezione di pochi uomini ben preparati, che avrebbero instaurato una dittatura transitoria in nome del popolo. Louis Blanc era anch'egli un repubblicano, molto più moderato, che mirava a una generalizzazione graduale e pacifica delle associazioni operaie con il sostegno iniziale dello stato. Grazie alla Rivoluzione del 1848, riuscì a essere nominato a capo di una "commissione per i lavoratori" (praticamente priva di mezzi). Pierre-Joseph Proudhon si fece conoscere per la sua critica radicale della proprietà ("la proprietà è un furto"), ma ben presto limitò la sua critica allo stato, mentre sosteneva una società di piccoli proprietari.
Questi pensatori ispirarono un numero relativamente elevato di seguaci (senza legarsi realmente al movimento operaio che stava nascendo), ma la loro strategia si rivelò un vicolo cieco. I saint-simoniani divennero borghesi o si orientarono verso posizioni più socialiste. I fourieristi e altri sostenitori delle comunità (Victor Considerant, Étienne Cabet...) fecero diversi tentativi, ma le loro colonie ideali fallirono tutte (o persero ogni idealismo) invece di espandersi. Blanqui, privo di un radicamento di massa, fallì nei suoi colpi di stato e trascorse gran parte della sua vita in prigione. Proudhon ebbe un'influenza piuttosto duratura su un mondo operaio ancora molto artigianale, ma con l'industrializzazione le sue idee finirono per scomparire a favore delle visioni collettiviste del socialismo.
Progressivamente, i socialisti provenienti da queste diverse correnti si mescolarono, si armonizzarono e si legarono al movimento operaio. Verso la fine del XIX secolo, fu il marxismo a cominciare ad essere considerato la teoria e la strategia adatta al socialismo.
Marx ed Engels ebbero un ruolo decisivo nel socialismo moderno.
In Germania lo sviluppo del socialismo fu più tardivo rispetto alla Francia e all'Inghilterra, in relazione alla più tardiva industrializzazione. D'altra parte, il pensiero filosofico vi si sviluppò abbondantemente e cercò attivamente di arrivare a sistemi che descrivessero l'evoluzione del mondo contemporaneo. È questo spirito di sistema, in particolare quello di Hegel, che ispirò i primi intellettuali socialisti tedeschi, tra cui Marx ed Engels. Questi ultimi ebbero un ruolo importante agli albori dell'attivismo socialista durante la rivoluzione del 1848, ma il socialismo era allora molto minoritario. Poi, nel corso degli anni '70 dell'Ottocento, il movimento socialdemocratico tedesco si rafforzò e si legò organicamente alla classe operaia, in particolare grazie agli sforzi dell'Associazione Tedesca dei Lavoratori (Allgemeiner Deutscher Arbeiterverein-ADAV) di Ferdinand Lassalle e del Partito Socialdemocratico dei Lavoratori (Sozialdemokratische Arbeiterpartei-SDAP) di August Bebel (nell'immafine in alto) e Wilhelm Liebknecht. Queste due forze si fusero nel 1875 nel Partito Socialista Operaio di Germania (Sozialistische Arbeiterpartei Deutschlands-SPD), che divenne rapidamente il partito socialista più potente del mondo e che si riconosceva nel marxismo.
Verso la fine del XIX secolo, la serietà e la fecondità del marxismo sono riconosciute dalla maggior parte dei movimenti socialisti nel mondo.
Marx ed Engels, pur riconoscendo per la loro visione del mondo l'importanza dell'opera passata degli utopisti e delle loro critiche spietate al capitalismo, svilupparono analisi (materialismo storico) e una visione strategica essenziali per il socialismo moderno. Il socialismo non è più una visione soggettiva e utopistica, ma uno stadio della società che può essere raggiunto sulla base delle condizioni ereditate dal capitalismo (industria efficiente, classe operaia con interessi comuni...) e delle sue contraddizioni (crisi, rivolte contro lo sfruttamento...). Il mezzo per arrivare al socialismo non è più la predicazione moralizzatrice o il volontarismo insurrezionale, ma l'aumento dell'auto-organizzazione dei proletari, fino alla rivoluzione socialista, cioè la presa del potere politico ed economico da parte della classe maggioritaria e sfruttata.
Il termine socialismo e le sue varianti (comunismo, anarchismo...) si diffusero nel resto d'Europa e nel resto del mondo a partire dal XIX secolo, man mano che il capitalismo europeo si diffondeva nel mondo.
Ma se l'essenziale delle idee del socialismo contemporaneo proviene da teorici e tradizioni filosofiche europee, in alcuni altri paesi le prime preoccupazioni hanno attinto anche da correnti di pensiero (filosofiche, religiose...) locali (in particolare le nozioni di età dell'oro), reinterpretate alla luce delle nuove preoccupazioni.
È così che il socialismo giapponese, ad esempio, ha tratto ispirazione sia dalle idee europee che da alcuni pensatori confuciani rivisitati.
In Cina, il concetto confuciano di Datong è stato ampiamente citato. Sun Yat-sen (nella foto a sinistra), leader socialista del partito nazionalista (Kuomintang), scriveva:
Quando il popolo avrà messo in comune tutto ciò che riguarda lo stato, avremo davvero realizzato l'obiettivo del "benessere del popolo"; avremo realizzato quel mondo di datong auspicato da Confucio. La nuova cultura europea, l'anarchismo e il comunismo, di cui oggi si parla tanto, sono nella nostra Cina vecchie teorie che risalgono a diversi millenni fa; così, le teorie di Huangdi e Laozi (due "padri” taoisti) sono anarchiche, e il regno di Huaxushi, di cui Liezi dice che i suoi abitanti non hanno né capo né legge, è lo stato di natura puro, non è forse anarchismo? (da Tre principi del popolo)
D'altra parte, le tradizioni orientali “pre-socialiste” sono state utilizzate, soprattutto nel XX secolo, come arma contro il socialismo marxista, al quale si opponeva un socialismo più radicato e religioso. Tale utilizzo è stato importante nei paesi islamici (ad esempio il "socialismo islamico" dell'algerino Ahmed Tijani, di ispirazione direttamente antimarxista) e nei paesi buddisti del "Piccolo Veicolo", nel Sud-Est asiatico, in particolare in Birmania e Cambogia.