Frantz Fanon
(1925-1961)
(1925-1961)
Tre immagini di Frantz Fanon
Aimé Césaire
Egli nacque in una famiglia della borghesia nera e, durante gli anni della formazione, soprattutto al prestigioso liceo Schoelcher, seguì i corsi di Aimé Césaire, poeta antillano, uno dei padri della négritude, il martinicano Frantz Fanon non era destinato al ruolo che prese successivamente.
Nella sua formazione fu appunto decisivo l’incontro con Aimé Césaire, importante esponente del Movimento della “negritudine”, il movimento nato nelle colonie francofone, nella prima metà del XX secolo con lo scopo di liberare i popoli colonizzati dal complesso di inferiorità imposto dai colonizzatori attraverso la rivendicazione delle qualità peculiari delle popolazioni nere.
Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Fanon raggiunse la Francia, e partecipò alla resistenza antinazista con le “Forze della Francia Libera” guidate da De Gaulle, per poi trasferirsi nell’Africa del Nord, dove ebbe modo di entrare in contatto con la realtà algerina.
Una volta ultimata l’esperienza bellica e conseguita la maturità, Fanon si dedicò agli studi di medicina presso l’Università di Lione. In questa occasione, ebbe modo di approfondire altre discipline, come la filosofia, e avvicinarsi all’esistenzialismo e al marxismo. Tali esperienze formative condussero Fanon verso una critica nei confronti dell’individualismo borghese e dei suoi metodi alienanti.
Più in dettaglio, durante il periodo universitario a Lione, Fanon condusse le sue prime osservazioni sul rapporto tra la società metropolitana e gli immigrati nordafricani, che costituiscono il materiale confluito poi nel suo primo libro “Pelle nera e maschere bianche”.
Pelle nera e maschere bianche di Fanon presenta forti analogie con i temi da lui trattati nella tesi di laurea che, da un lato, forniva un’analisi psicologica della condizione del nero e dell’antillano, dall’altro lato, presentava uno studio clinico dei processi che avrebbero liberato dall’alienazione i popoli colonizzati.
Intitolata Essai sur désaliénation du Noir (Saggio sulla disalienazione del Nero), la prima versione della tesi venne respinta dall’Università di Lione in quanto ritenuta troppo atipica, per poi essere pubblicata di nuovo, nel 1952, appunto, con il titolo Peau noire, masques blancs. La tesi finale, discussa il 29 novembre 1951 e intitolata Altérations mentales, modifications caractérielles. Troubles psychiques et déficit intellectuel dans l’hérédo-dégénération spinocérébelleuse à propos d’un cas de la maladie de Friedrich avec délire de possession, analizzava il rapporto tra neurologia e psichiatria, organogenesi e psicogenesi, filosofia e psichiatria.
Nel 1954, Fanon decise di trasferirsi per lavoro in Algeria, la sua seconda patria e lì, grazie all’esperienza professionale maturata, sviluppò la critica verso la psichiatria manicomiale europea.
Nei tre anni trascorsi all’ospedale di Blida-Joinville, Fanon elaborò un modello alternativo di analisi dell’alienazione colonialista. Sviluppato grazie allo studio e all'analisi delle malattie mentali osservate nei soggetti colonizzati e in relazione alle tradizioni etnico-culturali del mondo arabo, tale modello permise a Fanon di introdurre elementi innovativi con alta incidenza nella cura dei pazienti. Tra questi vi erano l’abolizione della divisione razziale nei reparti, la fine di trattamenti coercitivi e la promozione di metodi di cura incentrati sulla terapia di gruppo.
Malgrado ciò, il clima politico degli anni successivi, caratterizzato dalla crescente violenza bellica, impedì a Fanon di promuovere una pratica psichiatrica non oppressiva.
Solamente due anni dopo, nel 1956, a causa dell'insostenibilità della situazione, Fanon decise di aderire al Fronte di Liberazione Nazionale algerino (FLN) e di dimettersi dall’ospedale.
Espulso dall’ospedale e dall’Algeria, nel 1957, Fanon si trasferì a Tunisi dove intraprese un rapporto di collaborazione con la redazione “Résistance Algérienne” e con “El Moudjahid”, organo ufficiale del FLN. Attraverso questa nuova forma di attivismo, Fanon poté denunciare le brutalità del sistema coloniale e teorizzare l’unità dell’Africa.
Nonostante il suo impegno diretto, Fanon non ricoprì mai alcuna carica ufficiale nel FLN; egli assunse il ruolo di ambasciatore all’estero della Repubblica algerina e, in qualità di membro della delegazione algerina, partecipò alla Prima Conferenza dei Popoli Africani. La partecipazione a incontri internazionali di cruciale importanza permise a Fanon di entrare in contatto con i principali esponenti dei movimenti indipendentisti africani, tra i quali Lumumba e N’Krumah, maturando così la convinzione che la rivoluzione algerina dovesse essere inserita nel più ampio orizzonte delle lotte di liberazione africane.
Nel 1959, Fanon pubblicò L’an V de la Révolution algérienne: indirizzata all’opinione pubblica francese, l’opera giustificava i metodi violenti utilizzati dal FLN. Nel 1960, si tenne la Seconda Conferenza dei Popoli Africani a cui Fanon partecipò come membro della delegazione algerina: in questa occasione emersero le contraddizioni interne ai movimenti indipendentisti africani e la continua pressione politica ed economica delle ex potenze coloniali.
Consapevole che la fine del colonialismo avrebbe cambiato i rapporti di forza, Fanon riconobbe, all’interno dei movimenti di liberazione, la divergenza tra il mero riconoscimento formale dell’indipendenza e le istanze di democrazia e liberazione che provenivano dal popolo. Fanon trascorse l’ultimo anno della sua vita dedicandosi alla stesura del saggio I dannati della Terra, divenuto ben presto un classico.
Il ribelle, Fanon martinicano di nascita, algerino per volontà e cittadino francese per omissione, combatté per la libertà dell’Algeria, anche se la sua prematura morte nel 1961 all'età di 36 anni, non gli fece mai vedere la concretizzazione di quella indipendenza.
I suoi studi lo avevano fatto incontrare con quella realtà che William Edward Burghardt Du Bois aveva solo intuito con la sua invenzione del «velo del colore» che offusca la coscienza degli afrodiscendenti che furono schiavi. Secondo Fanon c’è una vera e propria realtà psichiatrica del colonialismo che sdoppia la coscienza dell’uomo e della donna neri: quando i colonizzati assumono su di sé il giudizio negativo (da sub-umano) che il colonizzatore ha su di loro. È la colonizzazione profonda, quella che tocca lo stigma della tratta, il tabù più oscuro… della pelle e della razza.
Da qui Fanon prese le mosse con il suo Pelle nera, maschere bianche che sarà il marchio ideologico di tutta una generazione: quella delle indipendenze africane e asiatiche. Superando le barriere linguistiche e culturali, Frantz Fanon divenne in poco tempo la bandiera ideologica della lotta anticoloniale in tutto il mondo, dall’Africa all’Asia.
Il suo I dannati della terra, pubblicato nel 1961, anno della sua morte per leucemia, parlerà a generazioni e in universi talmente diversi da ritrovarsi ancora citato da molti oggi.
Non si rende giustizia a Fanon facendone solo l’apostolo della violenza e della lotta armata. Certamente fu lui che per il Fronte di liberazione nazionale algerino andò in giro per le conferenze asiatiche e africane degli anni Cinquanta e Sessanta a propagandare la rivoluzione algerina. Ma ciò non rende ragione alla complessità del pensiero di Fanon. La questione della violenza fu comunque un vero dramma per lui e per i suoi contemporanei.
Guardiamo soltanto al contesto in cui Fanon si mosse e le personalità che lo ascoltarono, lo incontrarono e con cui parlò. Da una parte, molti gli africani: Azikiwe, Cheickh Anta Diop, Nkrumah, Nyerere, Senghor, Sékou Touré, Padmore… Con loro il suo successo letterario e culturale fu totale, quello politico un po’ meno. Dall’altra c’erano i leader cinesi Mao Zedong e Lin Biao, l’eroe dell’indipendenza della Guinea-Bissau e delle isole di Capo Verde Amilcar Cabral, il vietnamita Ho Chi Minh, il cubano Fidel Castro e il Che, con i quali l’accordo sembrò più facile, anche se non si può dire che Fanon fosse comunista.
E poi c’era ancora l’influenza di Gandhi, molto forte in quei mondi, anche se la questione della cosiddetta “non violenza” era sovrastata dal problema della contrapposizione dei due blocchi. La conferenza di Bandung del 1955 venne proposta sotto il segno del “Non Allineamento”, della terza via tra l’Occidente capitalista e l’Oriente “comunista”, e si dava per scontato (ideologicamente) che la violenza provenisse solo dai due blocchi contrapposti e non dai paesi oppressi dal colonialismo e in lotta per la loro liberazione.
Fino al 1959 la scelta della rivoluzione “violenta” restò marginale, ma il problema emerse con forza straordinaria anche tra i leader africani dopo la vittoria del 1959 di Fidel Castro e del Che a Cuba.
Ci furono infatti alcune indipendenze ottenute in maniera relativamente pacifica, ma in Algeria, in Sudafrica e nel Kenya, ma anche in Camerun, Eritrea, Mozambico, Guinea-Bissau, Namibia, Rhodesia e Angola i movimenti avevano ormai scelto la via della lotta armata.
L'eredità intellettuale di Fanon, la sua biografia, il modello di attivismo da lui incarnato, i suoi metodi psichiatrici e la sua ideologia rivoluzionaria sono tutti fattori che rompono con la comprensione illuminista delle cose. Fanon, infatti, non fu solo un militante rivoluzionario, fu, forse prima di tutto, uno psichiatra, un “un uomo che si interroga sempre”, come si legge nel finale di Pelle nera, maschere bianche. Come militante e come psichiatra diagnosticò i due mali della struttura capitalista: il razzismo e il colonialismo, e ne predisse gli effetti futuri. Osò avanzare teorie coraggiose, come il “potere liberatorio” della violenza nelle società alienate o la umanizzazione della furia e la necessità per gli oppressi di sapere prenderne il controllo, la trasformazione dell'odio in ragioni di battaglia, perché, come scrisse nei Dannati della terra, “l'odio non può costituire un programma”.
La sua cultura spaziava su grandissima parte delle idee che hanno caratterizzato la seconda metà del XX secolo, sia a livello psicanalitico, sia a livello politico: il transfert freudiano, la fenomenologia di Merleau-Ponty, l'esistenzialismo di Sartre, la negritudine di Senghor e di Césaire, il marxismo e l'Orientalismo di Edward Said. La sua morte prematura troncò anche i suoi studi, ma il contributo di Fanon resta centrale nelle migliori elaborazioni dei movimenti del Terzo mondo degli anni Sessanta e Settanta ma anche in quelle dell’ attuale Black Lives Matter.
Non sapremo mai che cosa Fanon avrebbe detto oggi, di fronte alla forza del nazionalismo islamico e islamista che così tanto prolifera anche in Africa, al divario tra liberazione e libertà, ma non si può dimenticare il suo pensiero che affascinò ma anche spaventò la “sinistra” europea e che le élite nere postcoloniali tradirono.