Il vostro gruppo ha una visione della mobilità del futuro, mi corregga se sbaglio, molto smart, molto più legata all’innovazione e al fatto che l’auto non deve solo servire per spostarsi. Ma lei concorda con quello che il dottor Imparato ha detto?
Sì, sicuramente in parte concordo, con la differenza che comunque, come diceva lei, gli investimenti da parte del gruppo Volkswagen ormai da anni stanno andando sulla mobilità elettrica, perché è abilitante alla mobilità connessa e anche alla guida autonoma, a tendere.
Non è una condizione sine qua non, ma sicuramente questo, ovviamente, facilita. La piattaforma elettrica facilita la nuova mobilità. Quindi il gruppo Volkswagen ha da sempre al centro del suo obiettivo quello della mobilità elettrica, per quanto probabilmente un domani non sarà l’unica tecnologia.
Però, se guardiamo il trend, sarà la tecnologia probabilmente che genererà maggiori commesse, pensando alla filiera, e quindi genererà maggiore business. È però fuori di dubbio, ed è chiarissimo questo, che il trend a cui stiamo assistendo oggi in termini di crescita della mobilità elettrica sia più rallentato rispetto a tutte le stime che sono state fatte, che sono le prime nel 2019, quindi prima del COVID, e che non tenevano conto di ciò che poi è accaduto a livello geopolitico e sta ancora accadendo.
Quindi è chiaro che serve una maggiore flessibilità, e quindi da questo punto di vista, in parte, già le revisioni che si stanno facendo del regolamento europeo ci vedono favorevoli. E credo che non ci si possa fermare a quello, tanto che a livello europeo abbiamo, per esempio, proposto che dopo il 2035 si possa pensare di garantire, insomma, di mantenere sul mercato tecnologie come quelle del plug-in hybrid o delle vetture elettriche con range extender, che sicuramente faciliterebbero poi un passaggio a tendere al full electric in modo più facile e più semplice.
Quindi, sicuramente non è una sfida che si può — e questo ci tengo a dirlo — analizzare guardando solo al mercato italiano, perché è una sfida globale, non è nemmeno una sfida continentale, e quindi non possiamo fermarci ai nostri numeri. Porto un numero su tutti: a chiusura maggio, il 28% comunque delle auto, perché parliamo di automobili, in Europa, avevano la spina, o erano plug-in o erano elettriche.
Il 28%, non discuto che sia tanto o poco. In Italia siamo all’11%, con solo un 5% di elettrico. Ecco, stiamo noi combattendo una battaglia di retroguardia. Mantenere la difesa strenua dello status quo e combattere una battaglia di retroguardia vuol dire perdere opportunità industriali e non attirare investimenti, che probabilmente stanno andando da altre parti anche, come diceva il dottor Imparato, per via di altri fattori come il costo dell’energia. Quindi non è solo legato al tema dell’automotive. Che cosa chiediamo all’Europa? E qui allora mi collego. Certezza normativa. Perché quando si tratta di affrontare rivoluzioni, serve certezza normativa. E una volta fissate le regole, serve che queste regole rimangano tali almeno per un periodo di medio-lungo termine, perché comunque gli investimenti che stiamo facendo hanno bisogno di un ritorno di medio-lungo termine, e in parte sono stati fatti con fondi che l’Europa stessa ci ha dato, e quindi ovviamente serve ammortizzarli.
A livello italiano, beh, ritorno ai numeri di prima. Serve sicuramente tenere conto dello stato dell’arte del nostro mercato. È inutile parlare di Green Deal o di flotte green se poi non affrontiamo, per esempio in Italia, la questione della fiscalità delle flotte.
È inutile avere una fiscalità totalmente lontana da quelli che sono i principali mercati europei e pensare di voler sviluppare quindi le vetture a basse emissioni all’interno delle flotte aziendali. Quindi, revisione della fringe benefit, portandola allineata a quella del resto d’Europa, revisione della deducibilità.
Ecco, già questo sarebbe un valore aggiunto.
Grazie.