AIN ha partecipato al convegno sul nucleare che abbiamo organizzato nel luglio 2023, come valutate la situazione attuale e cosa ritenete di particolare importanza e urgenza per proseguire il cammino verso la riapertura del nucleare in Italia?
Devo essere buono o cattivo? Sono buono, perché, fra l’altro, credo che tutti noi dobbiamo veramente ringraziarti, perché sei tu, di fatto, che con quell’evento di due anni fa hai aperto il dibattito.
La questione è: che cosa è successo? Abbiamo dibattuto e abbiamo approfondito. Questo abbiamo fatto. Dibattuto, direi che abbiamo dibattuto parecchio. Io mi sono messo a fare un po’ i conti della spesa: vengo invitato circa due volte alla settimana per un qualche cosa che riguarda il nucleare.
Due per cinquanta per due fa duecento, quindi 200 eventi di dibattito sul nucleare, non male. Poi ci sono state le audizioni parlamentari, anche lì si è dibattuto parecchio, quindi nessuno può dire: “Io non sono stato ascoltato”. Poi, naturalmente, interventi sui giornali, interviste e quant’altro. E poi, forse anche dal punto di vista tecnico più interessante, abbiamo approfondito.
La Piattaforma Nazionale che ha prodotto, si ricordava prima, sette documenti, 1.100 pagine di approfondimento. A me è piaciuto molto anche il rapporto Ambrosetti su quelli che sarebbero i vantaggi economico-sociali della reintroduzione del nucleare; fra l’altro, un rapporto che fa eco a cose che vengono fatte anche in Europa, per esempio il documento di Nucleareurope. Adesso abbiamo, è stato annunciato oggi da Regina, ci sarà anche un ulteriore approfondimento rappresentato dal documento di Confindustria. Su questi documenti, io ci tengo a sottolineare che è vero, c’è il capofila, ma dietro ci stanno tutti gli stakeholder.
Questo vale per la Piattaforma, vale per il rapporto TEA e vale per il rapporto di Confindustria: in realtà, è partecipato da decine e decine di stakeholder. Quindi abbiamo dibattuto e approfondito in due anni, cosa assolutamente necessaria e di cui siamo contenti, perché in questo consiste un sistema democratico, che uno dibatte, approfondisce e anche si interfaccia, si confronta con chi non è d’accordo.
Però, se siamo veramente contenti della nostra democrazia, dobbiamo anche tenere presente che se il dibattito diventa infinito e non si arriva mai all’implementazione, questo rischia di essere un boomerang per la democrazia. La gente si disaffeziona perché sente molto dibattere, ma poi dopo non vede implementate applicazioni pratiche. Allora, credo che dopo due anni di approfondimenti e di dibattiti sia arrivato il momento almeno di alcune azioni concrete. Noi l’abbiamo già detto varie volte quali sono le cose più urgenti.
Ovviamente il quadro legislativo, quindi quel DdL deve passare, speriamo presto, in Parlamento e poi speriamo venga presto approvato. Nel frattempo che si facciano questi decreti applicativi, tutte le parti in causa sono assolutamente disponibili per lavorarci. E poi abbiamo parlato tante volte di cose che stanno sul cammino critico: l’autorità di sicurezza. Non credo di dire nulla di contrario a quello che dirà dopo Campanella.
Abbiamo ISIN, abbiamo bisogno di un’autorità di sicurezza con le spalle larghe, anche in termini numerici molto più importanti. AIN, proprio nell’ambito di questi contributi, fra due o tre giorni emetterà un suo position paper su come noi intenderemmo un’autorità di sicurezza di livello internazionale.
E poi c’è la questione, naturalmente, della comunicazione. Ne abbiamo fatta tanta a livello nazionale e ne abbiamo fatta poca a livello territoriale. I progetti nucleari, anche se vanno visti, traguardati con la visione internazionale, europea, eccetera, sono progetti territoriali. Quindi bisogna fare comunicazione a 360 gradi su tutto il territorio, indipendentemente da chi poi ospiterà gli impianti. Questo per creare il maggiore consenso. E poi bisognerà arrivare anche alla questione dei siti, con la comunicazione specifica.
Chiudo sulla cosa su cui forse AIN è più focalizzata, che è quella della creazione, o meglio, del rafforzamento della supply chain industriale italiana, una cosa estremamente importante. Ci sono già 70 aziende italiane che lavorano sul nucleare all’estero. Bisogna scalare, così come si era pensato, guarda caso nel 2010, di passare da 70-80 a 400. C’era uno studio proprio di Confindustria. Come farlo? Bisogna cominciare un po’ a focalizzarlo. Io, come ricorderete, ero sempre molto recalcitrante a parlare di tecnologie quando non era ancora il momento.
Adesso credo che sia diventato il momento anche di fare un po’ di scelte tecnologiche, perché non è che noi costruiamo l’autorità di sicurezza piuttosto che la supply chain italiana su qualsiasi tipo di tecnologia nucleare, che ce ne sono delle centinaia.
Abbiamo bisogno un po’ di individuare una linea maestra. Io credo che Nuclitalia abbia una grande responsabilità su quello, almeno di individuare le tecnologie più promettenti, così che tutti gli attori che devono organizzarsi — rispetto all’autorità di sicurezza, piuttosto che le altre istituzioni, piuttosto che la supply chain italiana — abbiano una direttrice da seguire e su cui concentrare gli sforzi. Ci sono delle risorse, ma sono limitate.
Bisogna che le concentriamo su quello che veramente serve.