Bene, grazie mille per l’invito, buongiorno a tutti.
In effetti, quello che è successo nel corso degli ultimi mesi è qualcosa di molto importante, perché quello che qualche addetto ai lavori forse sapeva già, è entrato violentemente nel dibattito quotidiano. Perché le bollette le paghiamo tutti e paghiamo, più o meno, tre volte quello che pagavamo qualche anno fa.
E quello che è successo in un Paese vicino, ci fa un po’ riflettere. Molti di voi erano fisicamente in Spagna ma credo che molti dei colleghi, in questo mondo globalizzato, avevano qualche figlio, qualche parente o qualche nipote che si trovava da quelle parti e che ci raccontava di un evento tragico, disastroso, peraltro fortemente connesso non solo all’interruzione dei servizi elettrici — forse il minore dei problemi — ma all’interruzione di tutto quello che oggi è il mondo civile, funzionante con una grandissima componente di digitale. Forse questo ci spinge a pensare che dobbiamo smetterla di trovare un nemico. La narrazione sui temi dell’energia in questi ultimi anni è sempre andata alla caccia di un nemico. Il tradizionale è il nemico da abbattere e il cavaliere bianco saranno le rinnovabili. Il gas è un altro nemico da abbattere e il cavaliere bianco sarà l’idrogeno.
Io credo che questa narrazione non sia innanzitutto corretta dal punto di vista tecnico, ma poi, soprattutto, non sia sostenibile. Andiamo a vedere qualche numero di come si fa l’energia in Italia, di come si è sempre fatta l’energia in Italia e di come, presumibilmente, continuerà ad essere fatta. L’energia che noi produciamo sul nostro Paese l’abbiamo cominciata a fare più di cento anni fa con l’idroelettrico e, più o meno, è una legacy importantissima.
Sono impianti straordinari, costruiti dai nostri nonni con grandissima perizia, opere straordinarie. Anzi, nella migliore delle ipotesi, se siamo bravi e facciamo tutto bene senza commettere errori, continueremo a mantenere questa capacità. Dopodiché, ci sono un po’ di rinnovabili: tante, tante in termini di potenza, meno in termini di energia, è stato detto molte volte dai miei predecessori, perché inevitabilmente le rinnovabili possono funzionare un certo numero di ore e non altre. In certe ore del giorno ci sono, in certe ore della notte tipicamente no. Il resto è sostanzialmente importato. Importiamo una grande quantità di energia sotto forma di elettricità dall’estero, prevalentemente dalla Francia, prevalentemente da fonte francese, da macchine che hanno la loro età.
Così come il nostro idroelettrico ha una sua vetustà ma resiste meglio agli attacchi del tempo, un po’ meno lo si può dire del nucleare francese. Periodicamente vengono fuori un po’ di polemiche sulla effettiva capacità nel lungo termine di continuare ad assicurare un servizio di esportazione. Il resto lo facciamo nel nostro Paese ma lo facciamo nel nostro Paese trasformando energia importata, che viene importata sotto forma di gas. E quanta ne trasformiamo? Ne trasformiamo tanta, perché noi movimentiamo nelle nostre reti circa 60 miliardi di metri cubi di gas all’anno, un po’ di più. Tradotto in termini di paragone, parliamo di circa 600 terawattora. Di questi 600 terawattora una parte significativa va al termoelettrico nazionale, che poi, trasformato in energia elettrica, diventano i 120-130 terawattora che costituiscono una parte essenziale del bilancio energetico del Paese.
E guardate, in queste trasformazioni che sono state citate — il passaggio dall’olio al gas e il futuro passaggio dal gas al rinnovabile — attenzione: stiamo passando da un percorso di transizione energetica dove, all’inizio di questo percorso, si poteva effettivamente sostenere che un megawatt di rinnovabile potesse agevolmente sostituire un megawatt di tradizionale, a un punto in cui questo non è più vero e non è più possibile. Perché del termoelettrico c’è bisogno, ce n’è un bisogno importante, sia per la stabilizzazione dei sistemi elettrici — come ha detto l’ingegner Di Foggia poco fa, è importante che ci sia un ammontare che continui a svolgere il suo meccanismo di stabilizzazione — ma poi anche perché le rinnovabili hanno dei limiti di applicazione su alcuni settori industriali, i cosiddetti hard-to-abate, che hanno bisogno però di una certa potenza.
Per mandare avanti un’acciaieria, una vetreria, un impianto di ceramica, non basta evidentemente il pannello solare, che può avere un’applicazione importantissima, e la sta avendo, per esempio, a supporto dei consumi civili, con tutte le implicazioni di cui parlava Vincenzo, perché ci sono tante installazioni civili, tanti prosumer e tanta energia che risale all’interno delle reti. E quindi, se passiamo da questo meccanismo di energy transition a energy addition, dobbiamo cominciare a pensare che dobbiamo smetterla con questa narrazione dei guelfi contro i ghibellini, di chi vince e chi perde.
C’è bisogno di tutti. Forse dopo il COVID, nel corso degli ultimi cinque anni, la più grande crisi che il Paese ha gestito, in modo a mio avviso eccellente, è stata la trasformazione dei percorsi di approvvigionamento del gas che sono passati da un percorso, sulla cui correttezza storica non spetta a me giudicare, ma dal punto di vista della comodità tecnica super efficiente — gas che arrivava dalla Russia, commercialmente impeccabile — a un sistema che adesso deve essere maggiormente alimentato dal Nord Africa e deve tenere conto, strutturalmente, di nuovi pezzi del sistema che hanno fatto la loro apparizione nel sistema energetico, che sono i sistemi di rigassificazione.
Perché una parte importante dell’energia del Paese comincerà e continuerà ad arrivare via GNL.