Eni è da tempo impegnata invece sull’energia da fusione, quali sono le vostre attività in questo ambito e quali gli elementi abilitanti questa tecnologia in Italia?
Buongiorno a tutti, grazie Onorevole Squeri dell’invito e della domanda. Dunque, sì, non poteva mancare la fusione.
Noi come Eni, faccio una piccola premessa, siamo in un percorso di decarbonizzazione che riguarda tutti i nostri settori. Quindi stiamo lavorando sulle rinnovabili, stiamo lavorando sui biocarburanti, e così via. Abbiamo deciso di investire nella fusione nel 2018. Abbiamo fatto questo investimento in una spin-off dell’MIT, perché ci ha convinto il percorso tecnologico che ci stavano proponendo, con le innovazioni legate a nuovi tipi di magneti che utilizzano i cosiddetti superconduttori ad alta temperatura — che è sempre bassissima, ma permette soprattutto di avere dei campi magnetici molto più elevati e quindi di compattare le centrali.
Quindi, anche qui stiamo parlando di centrali che tendenzialmente saranno piccole. La fusione, tradizionalmente, è appannaggio della ricerca. Lo è stato per decadi. C’è in corso la costruzione di ITER a Cadarache, in Francia, uno sforzo internazionale, e questo ha permesso negli anni di sviluppare tantissime condizioni tecnologiche importanti, dalle competenze a soluzioni tecnologiche vere e proprie che vedono l’Italia uno dei protagonisti. Il nostro investimento, in realtà, è un investimento privato.
Da quando abbiamo investito noi, sono nate altre 40 start-up nel mondo, la maggior parte negli Stati Uniti, ma alcune anche in Europa, anche di matrice italiana, a testimoniare il fatto che il mondo della fusione si sente pronto per fare il passo successivo, ovvero quello di traguardare effettivamente un utilizzo commerciale e industriale.
Difatti, a parte lo sviluppo tecnologico, quello che ci ha convinto della proposta della Commonwealth Fusion Systems — si chiama così l’azienda statunitense — è l’approccio a fasi. Quindi, nel 2021 effettivamente è stato dimostrato l’efficacia del magnete prodotto con questi superconduttori, e questo poi ha lanciato la costruzione dell’impianto sperimentale SPARC, che è in costruzione adesso e che ha cominciato l’assemblaggio. Nel giro di un anno e mezzo o due dovrà dimostrare che cosa? Di fare energia netta positiva, cosa che a livello industriale non è mai stata fatta per la fusione.
Devo dire che i componenti essenziali, il cuore di questa macchina, sono italiani, quindi vengono da aziende italiane che sono le stesse o molto simili a quelle della supply chain del nucleare, e quindi c’è anche un punto di contatto in quello. Quindi c’è un’eccellenza italiana che stiamo esportando. Dimostrato questo Q maggiore di 1, quindi energia netta positiva, si passerà poi alla realizzazione della prima centrale vera e propria. I nostri colleghi americani hanno già comprato il terreno e stanno già firmando i PPA collegati a questo. Però, venendo in Italia, perché ovviamente noi questa energia la vogliamo portare anche qui, il secondo passo che abbiamo fatto è investire nel progetto DTT, guidato dall’ENEA e con una serie di istituzioni italiane di grande livello, quindi le università, i politecnici, il CNR, l’INFN e così via, per aumentare la capacità tecnologica e colmare dei gap che tecnologicamente sono ancora aperti, e lo sappiamo.
E quindi questo è in Italia, è a Frascati, nel centro ENEA di Frascati. E abbiamo creato i presupposti per un ecosistema molto legato all’Italia, perché, appunto, per sfruttare le competenze acquisite e crearne altre, perché ci sarà bisogno di tantissime altre competenze, di tantissime altre persone.
E più recentemente abbiamo firmato due accordi importanti in Inghilterra, che è un’altra delle aree di grande sviluppo, sia per la gestione del trizio, che è uno dei componenti fondamentali, il fuel della reazione, sia per una gara che stiamo vincendo per la realizzazione di un’altra macchina. Allora, vi do anche delle tempistiche, che sono la realizzazione della prima centrale prevista nei primi anni del 2030. È sfidante ed è diverso da quello che è stata sempre la roadmap europea, per esempio, però, appunto, l’approccio a fasi ci dà fiducia di poter seguire il progetto così com’è fatto.
L’ultimo punto importante è naturalmente la parte regolatoria, che è stata citata più volte, perché la fusione è diversa dalla fissione e ha bisogno di un regolamento differente, cosa che è stata già adottata negli Stati Uniti e in Inghilterra e che noi abbiamo portato, anche attraverso l’ottimo lavoro che è stato fatto collettivamente nella Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile, come uno dei punti di attenzione, proprio per essere enabling della tecnologia quando sarà pronta.
Perché magari ci sarà bisogno di un ramp-up, ovviamente, perché una prima centrale nell’arco di una decina d’anni non è un settore. Ci vorranno le flotte, come diceva Daniela giustamente. Però la parte regolatoria per noi è estremamente importante.