Come vede il tema della neutralità tecnologica, come ENI sta affrontando in diversi settori queste tematiche, che apporto può dare a una decarbonizzazione pragmatica e sensata, non ideologica?
Grazie a voi dell’invito.
Io penso che stiamo parlando di neutralità tecnologica ormai da troppo tempo. Insomma, sono 5-6 anni che se ne parla, almeno noi, non in Europa. Si parla da troppo tempo di sostenibilità.
Secondo me, si parla troppo. La neutralità tecnologica vuol dire tutto e vuol dire niente. Poi bisogna capire. La neutralità tecnologica vuol dire una diversificazione delle fonti, utilizzare quelle che si hanno. Alcuni hanno toccato questi temi prima, ma il discorso è che adesso si sono aperti molti altri fronti. Noi stiamo parlando di neutralità tecnologica, di sostenibilità, quando ci sono delle guerre, quindi un fronte aperto, e quindi c’è una distrazione anche di fondi, perché quello che andava alla transizione energetica è andato moltissimo, adesso deve andare alla difesa, deve andare alle infrastrutture, deve andare alla rete.
Quindi, secondo me, più che a parlare di neutralità tecnologica, che è una visione quasi monodimensionale, bisogna capire cosa si riesce, quanti soldi abbiamo per fare che cosa, e quindi bisogna fare delle priorità. È chiaro che se non voglio scassare completamente la catena — prima parlavamo della mobilità, dell’automotive — possiamo buttarla sull’elettrico, sì, ma senza delle regole folli che diano delle multe se ci sono delle percentuali di un certo tipo. Il problema è che dobbiamo mantenere l’indotto, mantenere la catena del valore dell’automotive. Prima parlavamo di biocarburanti.
Noi investiamo moltissimo sull’elettrico, moltissimo sulle colonnine, però investiamo anche sulla parte biocarburanti, che in purezza, su Euro 4, Euro 5, Euro 6, non ti fa cambiare nulla, però in Europa non è assolutamente accettato. Non è nella tassonomia. Non so neanche se si parla più di tassonomia, se ha più un senso parlare di tassonomia. La cattura della CO₂, che è un modo per decarbonizzare senza fare investire l’ira di Dio a chi è a valle, è stata accettata dopo la COP28. Adesso è partita prima in UK, in Olanda, adesso penso ieri o l’altro ieri in Italia.
Questa è un’azione tecnologica, sì, ma è finalizzata a non impattare chi è a valle, perché altrimenti bisogna cambiare tutto il sistema. Il problema è che si è semplificata un’equazione che ha tante variabili. Si è detto: “Una sola variabile. Tolgo tutto e metto solo rinnovabili”. Allora, è una semplificazione incredibile dell’equazione, perché non è che posso togliere l’energia.
Negli ultimi 200 anni è stata additiva, non è stata sostitutiva. Il problema è che si parla di energia da due o tre anni. Non si è mai parlato di energia, non ci sono mai stati dibattiti come questi che si è parlato di energia.
Quindi, quando non si parla per 30 anni di energia e si comincia a parlare di energia perché c’è stata una guerra, che poi implica anche altre cose, è chiaro che molte volte manca la grammatica, il lessico, il contenuto, le competenze.
E allora l’Europa ha preso una certa strada, che è assolutamente chiaro che è sbagliata, perché non abbiamo margine fiscale, tutti devono fare rivoluzioni, si sta perdendo occupazione, si sono prese delle strade su cui moltissimi stanno tornando indietro. Questi dibattiti ci sono solo qua da noi. Non ci sono in giro per il mondo. Non ci sono negli Stati Uniti, non ci sono in Asia, non ci sono in Africa, non ci sono in Australia. Ci sono qua da noi. E questa è l’altra cosa che dobbiamo renderci conto. Cioè, mentre noi dibattiamo di queste cose, gli altri vanno avanti come dei treni. Quindi non è che non bisogna pensare alla transizione, ma bisogna essere molto più pragmatici e andare e approfondire le cose e cercare di utilizzare tutto quello che abbiamo a disposizione a costo zero.
E questo non si fa, perché c’è ancora demagogia, c’è un po’ di isterismo su alcuni concetti che sono stati portati avanti per dieci anni e adesso si fa fatica in Europa a tornare indietro. La Cina, anche se produce 4 milioni di barili al giorno, non ha energia come noi, ma da 30 anni fa ha incominciato a pensare alla sua sicurezza energetica.
Noi ci pensiamo quando tutti i buoi sono usciti. Siamo un po’ tardi e ci pensiamo utilizzando stereotipi. Ormai “neutralità tecnologica” è una cosa che mi fa venire il nervoso, non riesco neanche più a sentirla, come “sostenibilità”, perché sono diventati stereotipi, quindi parole, contenitori vuoti, e continuiamo a riempirci la bocca di queste cose, accusando l’Europa. Ma in Europa, non bisogna accusare l’Europa, bisogna convincere l’Europa a cambiare direzione. Questo è ciò che bisogna fare.
E questo non stiamo riuscendoci. Ci sono piccoli cambiamenti, ma non ci stiamo riuscendo. Questa è la verità, e quindi continueremo a fare i convegni dove continueremo a dire queste cose, probabilmente depauperando tutto quello che abbiamo. È vero che abbiamo depauperato un indotto importante nell’auto. Per tutto quello che è il settore energetico, parlo del nostro ancora attuale ma vecchio lavoro in Italia dell’upstream, è completamente raso al suolo. Più di 30.000 posti di lavoro, tecnologie, non so quanti contrattisti che sono dovuti uscire dall’Italia. E questo è un qualcosa che sta andando avanti dal 2000.
Dal 2000 abbiamo avuto 20 anni di cadute, di caduta completa. L’Europa è rimasta con un PIL praticamente costante, gli altri l’hanno triplicato. Ed è questa la sostanza dell’Europa. Ma è importante come mercato. Rappresentiamo il 5% della popolazione mondiale, pensiamo di essere l’ombelico del mondo e di poter risolvere tutto noi, con una sola direzione, senza ascoltare nessuno, soprattutto l’industria. Quindi non so se ti ho risposto alla domanda, tu mi hai fatto una domanda sulla neutralità tecnologica, solo che faccio una fatica terribile anche a pronunciarla, questa parola, perché sta diventando veramente uno stereotipo vuoto di contenuto.
Claudio, grazie, e grazie soprattutto per il lavoro straordinario che in tantissimi settori stai facendo, compreso i satelliti. Quindi, vuoi dirci due parole su questo? Così ti lancio nel futuro, invece che riportarti a un tema che è vecchio?
I satelliti sono una banalità, nel senso che sono delle società che vengono costruite con un concetto di mettere insieme una parte di crescita, growth, che interessa molto gli investitori — interessava, perché poi dopo molte volte si creano delle bolle che scoppiano — però con una parte di valore, di cassa. Noi abbiamo messo insieme parecchie cose che avevamo già in Eni. Avevamo le rinnovabili, avevamo i clienti, avevamo le stazioni di ricarica, avevamo i biocarburanti. Comunque tante cose che alcune erano in perdita e altre erano a break-even, ma soprattutto erano in una scatola, quella dell’Eni, che ha un multiplo sull’EBIT estremamente basso, a tre volte e mezzo.
Quindi il multiplo di una società oil & gas europea va dai tre e mezzo ai quattro. Gli americani hanno sette volte l’EBIT. Però le rinnovabili, quando poi è venuta l’idea, avevano dei multipli da dieci, i clienti da sette, quindi parlo del retail. Quindi è stata un’estrazione di quello, quindi un allineamento del capitale. Mettiamo quello che abbiamo all’interno, che ha un multiplo differente da quello che è la grande scatola Eni, che è soprattutto esplorazione e produzione. Estraiamolo, accoppiamolo con una parte di growth — in questo caso il growth per Plenitude sono le rinnovabili, le cariche, le ricariche nelle stazioni di ricarica — e la parte clienti, che sono la parte value, quindi quello che va a cassa.
Questo abbinamento ha creato delle società che da praticamente zero hanno cominciato a produrre più di un miliardo di EBITDA, ma soprattutto hanno attirato investitori, in questo caso statunitensi, che hanno investito. E questo ci ha permesso di avere, creare una cassa per poter far crescere la società. Il concetto alla base è: la transizione funziona se riesce a costruire degli strumenti che abbiano una loro redditività.
Non puoi pensare che in una situazione come questa, dove ci sono i dazi, ci sono le guerre, c’è stata la pandemia, ci sono tantissimi fronti aperti, gli Stati possano ancora sovvenzionare, come facevano, in modo indiscriminato tutto e tutti. La transizione funziona se crea degli strumenti che hanno del ritorno. Ma è così nella vita, è così nell’economia. Non puoi pensare di sovvenzionare qualcosa per tutta la vita.
Quindi è nato un satellite per la mobilità, che ha questa componente di crescita che sono i biocarburanti, ma in questo caso le nostre tecnologie sulle bioraffinerie — ne stiamo facendo 5 adesso in giro per il mondo: in Sud Corea, stiamo facendo in Malesia, Stati Uniti, 3 in Italia che saranno 4 o 5 — con tutta la catena del valore, quindi dall’agro, quindi dall’olio vegetale, fino al retail. E così per Plenitude.
È stato un modo per dire: la transizione la faccio, visto che noi non siamo regolati, non abbiamo nessun tipo di incentivo, siamo sul mercato e dobbiamo giustificare la nostra esistenza. Se faccio la transizione, devo riuscire a renderla redditizia. E così sono nati questi satelliti. Poi ci sono dei satelliti anche per l’upstream, ma sono di una tipologia diversa.
Grazie.