Come Gas Intensive, lei ha acceso i riflettori sulla gas release in due recenti eventi, indicandola come misura indispensabile per la competitività delle imprese.
Le chiedo di descriverci la vostra proposta e quali altre politiche energetiche dovrebbero essere attuate a livello nazionale per il vostro settore.
Sì, grazie della domanda, grazie dell’invito a questa interessantissima iniziativa.
Come ricordava lei, io rappresento la società consortile Gas Intensive, che è promossa da otto associazioni di categoria che sono AssoCarta, Assofond, AssoGesso, AssoMet, Assovetro, Cama, Confindustria Ceramica, Federacciai. Raggruppiamo oltre 138 aziende per un consumo di 5 miliardi di metri cubi.
Abbiamo sentito parlare prima del tema del nucleare, che è un tema interessantissimo, che naturalmente ci interessa e che riguarda il futuro. Ma il tema è che oggi le imprese italiane pagano il prezzo dell’energia, che è troppo elevato. Mi riferisco in particolare al tema del gas. Il gas costa in Europa più che nelle altre parti del mondo, e il posto in Europa in cui costa di più è l’Italia. Quindi questo è insostenibile per l’impresa italiana, che sostanzialmente si è già data i dazi senza che arrivassero quelli di Trump.
La nostra mission come Gas Intensive è sempre stata quella di rappresentare le istanze della domanda di gas, e in questi anni ci siamo occupati di diversi temi, non ultimo l’interrompibilità. Prima ci siamo occupati dello stoccaggio, del decreto legislativo 130, delle precedenti gas release. Il prezzo del gas è estremamente volatile. C’è un dato che mi piace ricordare: successivamente alla crisi russa, il gas spot è passato da circa il 15% della domanda a circa il 50%. Abbiamo oggi il 48% del gas che viene da prezzi, da forniture spot.
Questa volatilità non ci fa bene. Dobbiamo anche ricordarci che sul più grande hub europeo, il TTF, i volumi trattati sono 5-6 volte quelli fisici reali, il che vuol dire che c’è una fortissima speculazione sul gas. Noi non abbiamo nulla contro la speculazione, è una delle attività che sostengono il nostro mondo occidentale, però questo colpisce in modo ingiustificato le imprese. Poi abbiamo il tema dello spread tra quanto costa il gas in Italia al PSV rispetto al TTF. Lo citava prima il dottor Regina.
Questo spread, che viaggia a 2, 3, 4, qualche volta anche 5 euro per megawattora, costa alle imprese e alle famiglie italiane, calcolando uno spread medio di 2 euro, 1 miliardo e 300 milioni. Il gas in Italia genera un sovraccosto per questa cifra molto importante. Che cosa si può fare in proposito? È stata citata la gas release, che avrebbe dovuto consentire di mettere a disposizione delle imprese una parte del gas nazionale estratto.
Uso il condizionale “avrebbe dovuto”, perché è una misura del 2022 ma noi non abbiamo visto nulla. Anzi, l’estrazione del gas nazionale in questi anni è solo calata. Quindi ci chiediamo che cosa ancora si possa fare per ridurre oggi il prezzo del gas. Perché, ripeto, il tema per le nostre associate è il prezzo del gas oggi.
Vorrei ricordare inoltre che per molte delle nostre associate non si può pensare a soluzioni diverse da quelle del gas in modo sostenibile, intendo. Cioè, molte delle nostre produzioni non possono essere elettrificate. Non è economicamente, e qualche volta neppure tecnicamente, possibile.
Quindi il gas resta per noi il miglior compagno di strada nella decarbonizzazione e nella transizione energetica. Recentemente noi abbiamo fatto una proposta che abbiamo chiamato “biometano release”, che coglierebbe due obiettivi: quello di sviluppare una vera filiera del biometano in Italia e, nello stesso tempo, di ridurre il prezzo del gas per le imprese gasivore.
Si tratterebbe, in buona sostanza, di mettere a disposizione delle imprese un quantitativo di gas — potrebbe farlo il GSE utilizzando una componente parafiscale — per imprese che poi si impegnino, attraverso un contratto per differenza simile a quello dell’Energy Release che finalmente ha visto la luce, in modo tale che possano poi impegnarsi a sviluppare una vera produzione di biogas.
Forse anche il CSAF, il Clean Transition Strategic Action Framework, che recentemente la Comunità Europea ha lanciato, potrebbe dare una mano in questo senso, e noi pensiamo che questa sia, non l’unica soluzione, ma la nostra proposta.